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Angelo Vassallo

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Alcune osservazioni a ridosso della giornata del ricordo

(20 Febbraio 2008)

La giornata del ricordo viene celebrata il 10 febbraio, che è la data del Trattato di pace di Parigi, nel 1947 tra gli alleati vincitori della II guerra mondiale e Ungheria, Romania, Bulgaria, Finlandia e Italia.
Quest’ultima cede l’Istria ( e le città di Rijeka/Fiume e Zadar/Zara) alla Jugoslavia, come del resto Rodi e l’arcipelago del Dodecaneso alla Grecia.
Tale data è inoltre molto vicina alla giornata della memoria, di fine gennaio, che ricorda, come ben noto, gli orrori del nazi-fascismo.
In questo modo gli Italiani sono portati, in modo subliminale, a pensare che il nostro popolo abbia vissuto anch’esso una specie di piccolo olocausto, o quantomeno una specie di pulizia etnica.
Se poi hanno anche conoscenza di un po’ di storia, pensano quanto meno che il trattato di pace per i confini orientali sia stato ingiusto.
Ora è indubbio che ai crimini compiuti dal nazifascismo il nostro Paese abbia contribuito, sicché la manovra per farlo passare da carnefice a vittima è veramente acrobatica.
Per quanto riguarda la coincidenza con la data del Trattato di Parigi (poi integrato dal Trattato di Osimo il 10 novembre 1975), è bene ricordare alcune date.
Nel 1918 nacque il Regno di Serbi, Croati e Sloveni, detta qualche anno dopo Regno di Jugoslavia.
La Jugoslavia nacque, un po’ come l’Italia e altri Stati nazionali, da istanze intellettuali, politiche e militari. L’Istria era popolata da Croati, Sloveni, Italiani, e da altre popolazioni meno numerose, quali gli Istro-rumeni. Gli Italiani, che non erano la maggioranza, abitavano per lo più le città costiere, l’interno dell’Istria era invece popolato quasi esclusivamente da Slavi (Croati e Sloveni, ma non solo). La popolazione dell’Istria era inoltre mescolata, dati i matrimoni misti.

L’Istria, dopo la sconfitta dell’Impero austro-ungarico, venne data all’Italia (secondo i patti con Francia ed Inghilterra nel 1915, stipulati prima dell’entrata in guerra dell’Italia, in caso di vittoria all’Italia sarebbero spettati i territori del Trentino Alto Adige e il confine orientale sarebbe arrivato allo spartiacque alpino; Lenin rivelò l’esistenza di tali patti segreti, quando la guerra non era ancora terminata, suscitando molto scalpore).
Le condizioni della popolazione slava peggiorò notevolmente rispetto alle già pesanti condizioni subite dai contadini slavi, carne da macello per l’esercito austro-ungarico durante ogni guerra.
Gli Italiani si comportarono peggio degli Austriaci, in quanto poco per volta tolsero l’uso della lingua serbo-croata e slovena, eliminarono i centri culturali, cercarono di “Italianizzare” l’Istria, e ciò avvenne già prima dell’avvento del fascismo, nonché di togliere ogni diritto alle minoranze slave che abitavano le Venezie Giulie.
Man mano che il nascente fascismo prendeva forma, bande fasciste provenienti da Trieste distrussero centri culturali sloveni in Venezia Giulia e seminarono il terrore squadrista in Istria. Il fascismo era razzista, come il nazismo, e riteneva la razza slava inferiore. Quando il fascismo prese il potere, le cose, come ovvio, peggiorarono ulteriormente, e, come noto, divenne perfino illegale parlare in lingue diverse dall’italiano.
Nel 1941, l’aviazione tedesca bombardò selvaggiamente Belgrado: a distanza di pochi giorni, la Jugoslavia fu invasa da truppe tedesche, italiane, bulgare ed ungheresi.

L’Italia occupò parte della Slovenia (la cosiddetta provincia di Lubiana, che fu inglobata nel Regno d’Italia), parte della Croazia, che era nel frattempo diventata NDH (Stato indipendente di Croazia), retto da Ante Pavelic, il duce croato, capo del famigerato movimento fascista ustaa., il Montenegro, e il Kosovo, che donò all’Albania, che divenne così Grande Albania (peraltro all’interno dell’Impero di Vittorio Emanuele III....). I campi di concentramento in cui vennero segregati popolazione civile, tra cui donne, donne incinte, vecchi e bambini furono sparsi in Italia, in Jugoslavia ed in Albania: le vittime furono decine di migliaia.
L’occupazione italiana fu paragonabile a quella tedesca. Non mancarono rappresaglie sulla popolazione civile, stragi anche di donne e bambini, incendi di villaggi, addirittura dei capi di bestiame, che erano il mantenimento dei contadini. Feroci furono le torture inflitte a comunisti e combattenti della resistenza partigiana, ingenti le fucilazioni di combattenti e prigionieri politici. La popolazione jugoslava si dimostro piuttosto mite all’indomani dell’8 settembre, alla caduta dell’Italia, spesso nascondendo soldati allo sbando, che potevano venir catturati dai Tedeschi. Del resto alla resa delle guarnigioni italiane, furono chiesti dagli jugoslavi spie, carnefici fascisti, comandanti particolarmente crudeli, sia nell’esercito che nelle camicie nere, che furono subito fucilati, ma la maggioranza dei soldati poté scegliere se tornare a casa, o entrare nelle file dei partigiani titini.

Ci furono indubbiamente episodi di crudeltà della popolazione, di jacquerie, che furono però sedate dall’intervento dell’esercito combattente jugoslavo. Soprattutto in Istria vi furono un certo numero di morti dopo l’8 settembre (decine).
Dopo la liberazione di Trieste dal nazifascismo da parte dei Titini, vi furono processi e fucilazioni di repubblichini di Salò, di fascisti. Inoltre, molti funzionari statali italiani furono internati in Jugoslavia, alcuni di essi fecero ritorno, altri dopo il processo furono fucilati, altri ancora non ce la fecero a sopravvivere agli stenti. Peggiore fu il trattamento che gli Alleati riservarono ai prigionieri tedeschi o ai collaborazionisti di Vichy, o nella stessa Jugoslavia il nuovo governo comunista agli ustascia, e ai cetnici (il movimento serbo, fedele al governo jugoslavo in esilio, feroce nemico dei partigiani comunisti e alleato degli Italiani). Del resto, Draza Mihajlovic, il loro capo, fu processato e fucilato subito dopo la guerra, il suo omologo croato, Ante Pavelic invece riuscì a fuggire con l’aiuto del Vaticano e degli Alleati.

Pertanto, parlare di pulizia etnica da parte dei titini verso gli Italiani è assurdo, visto che si trattò di resa dei conti finale con il fascismo, da quello di Salò a quello dei collaborazionisti locali, serbi, croati o sloveni che fossero:
Quando si parla di esodo di profughi, che peraltro durò svariati anni, e contro cui si batté il governo jugoslavo, bisognerebbe ricordare che spesso fu una scelta politica, o economica, che li spinse ad andarsene dalla Jugoslavia socialista, e che se mai fu l’Italia a non accoglierli, visto che l’Italia pagò i danni di guerra alla Jugoslavia con i beni da loro lasciati in Jugoslavia.
La giornata del ricordo è una invenzione grottesca, che parrebbe uscita da un film di Totò o di Sordi: si tratta invece di un’operazione di revisionismo storico: da un lato essa si inserisce nella riabilitazione del fascismo, visto che la maggior parte delle vittime al confine orientale, processate, fucilate e poi gettate nelle “foibe”, furono fascisti che avevano commesso crimini anche contro la popolazione civile, dall’altro si iscrive nel mai sopito revanscismo italiano nei confronti dell’Istria e della Dalmazia. Sarebbe interessante analizzare come mai la retorica fascista abbia potuto far presa, a tale punto che territori popolati da Slavi siano stati rivendicati in nome di un’italianità dovuta a invasioni romane o venete. Del resto, anche il Dodecaneso greco fu inglobato nel Regno d’Italia in nome di lontane imprese addirittura della cavalleria tardo-medievale (I cavalieri di San Giovanni, poi di Rodi, poi di Malta...).

In Italia il mito degli “Italiani brava gente” ha prevalso sull’analisi storica dei crimini (né minori né maggiori di quelli degli altri popoli) del colonialismo e del fascismo, sicché si è arrivati a scambiare la pagliuzza negli occhi di un altro con la trave nei nostri.
Sarebbe più bello, invece ricordare gli Italiani che dopo l’otto settembre restarono in Jugoslavia, combattendo al fianco dei partigiani jugoslavi, o creando addirittura una loro brigata, la Garibaldi, di cui una consistente parte morì in terra jugoslava, o il contro-esodo, cioè il lavoro che molti comunisti italiani fecero in Jugoslavia, per aiutare lo sviluppo di un Paese socialista, dopo la guerra.

Torino 16 febbraio ’08

Tamara Bellone

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