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L’Italia della Ue riconosce il Kosovo e fa sua l’unilateralità statunitense

(22 Febbraio 2008)

Molti politici europei, fra cui i rappresentanti dell’uscente governo Prodi che oggi hanno riconosciuto ufficialmente l’indipendenza del Kosovo, continuano a ripetere che questo passo è realistico e utile. Ma la mossa d’un riconoscimento a senso unico e sotto la tutela dell’Unione Europea, francobollata alla politica Usa, sembra rinfocolare tutto il nazionalismo serbo possibile, che ha ripreso fiato nelle piazze e nelle rivendicazioni di Belgrado. Anche a Roma la diplomazia viene ritirata e sulla Sava crescono le proteste. Parlare d’inserimento serbo nella grande famiglia europea mentre si opera uno strappo in un Paese che doveva dimenticare i folli anni della satrapismo di Milosevic mostra in pieno le contraddizioni della linea dell’Ue, priva d’un’autonomia dai desideri statunitensi. Prodi e D’Alema s’allineano allo zelo filoamericano di Sarkozy e della Merkel, parlando di coerenza nel mantenimento dei propri 2.600 militari e dei 200 funzionari civili presenti nel territorio di Pristina, e ratificano l’impegno anche per altre iniziative militari, fra cui Afghanistan e Libano, col solo dissenso del ministro Ferrero.

E’ grave che mentre si discetta d’autoderminazione della pur consistente maggioranza albanese del Kosovo si ratifichi una scelta unilaterale avvenuta fuori dai dettami delle Nazioni Unite. Come per le missioni risibilmente definite umanitarie in Irak e Afghanistan Prodi non s’è per nulla distinto dall’operato del governo di centrodestra, prestando il fianco alla politica statunitense non certo pacificatrice in tante aree di crisi del mondo, politica palesemente invasiva e di controllo. Dopo la guerra del ’99 e i tentativi di distensione nella regione balcanica la Serbia e i mai seppelliti revanscismi nazionali possono trovare argomenti per rinnovate ostilità. Preoccupa che la linea statunitense di pesi e misure diversi da applicare sullo scacchiere internazionale sia diventata, sull’asse dei paesi guida, un comportamento seguito nello stesso Parlamento di Bruxelles. A dimostrazione che l’antico americanismo tedesco, che aveva trovato un formidabile alleato nella politica post tacheriana di Tony Blair, prosegue col nuovo premier Brown e ha una forte sponda in Sarkozy.

Europa succube più che sovrana, che amplia l’adesione degli stati membri pensando solo al mercato, crea figli e figliastri, esalta opportunisticamente alcuni umiliando altri secondo la logica che nonostante le 15, 27 o 30 nazioni saranno sempre in quattro a orientare e governare. E’ la strategia cieca del G8, la legge muscolare dei più forti incarnata negli ultimi anni dalla politica di Bush che ha creato problemi senza risolverli, fomentando i focolai d’instabilità internazionale e a breve dovrà fare i conti coi nuovi giganti, non solo economici, cinese e indiano. Sappiamo che c’è un modo d’incentivare la guerra parlando di pace o fingendo di perseguirla senza considerare le ragioni di tutti. Organismi come il Parlamento Europeo stanno mostrando apertamente la funzione di copertura di altri centri di potere, palesandosi quali costosissimi apparati la cui sovranità è resa inefficace e bypassata dalle vecchie logiche di controllo politico e militare del globo.

21 febbraio 2008

Enrico Campofreda

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