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Kosovo: un altro tassello della diplomazia di guerra italiana.

(23 Febbraio 2008)

La decisione del governo Prodi di schierarsi attivamente a favore dell’indipendenza del Kosovo chiarisce ulteriormente il ruolo svolto in questi anni dalla diplomazia e dall’esercito italiano nelle varie aree del conflitto.

L’attivismo dalemiano di questi giorni, in sede europea e italiana, atto a velocizzare i tempi di una vera e propria “secessione pilotata” dalle pericolosissime conseguenze politiche e militari, nasconde un orientamento dettato dal ruolo che la cosiddetta “azienda Italia” si è ritagliata in questi anni nell’area balcanica, soprattutto in Albania.

Nella spartizione di territori e mercati in quella che fu l’Europa “oltrecortina”, l’Italia ha progressivamente trasformato il paese delle aquile in un protettorato de facto. Dall’inizio degli anni ’90 sino ad oggi, il sistema istituzionale albanese, l’esercito, le polizie, la pubblica amministrazione sono stati ricostruiti grazie all’attivo sostegno italiano.
In un contesto di disgregazione istituzionale, sociale ed economica, la debolissima struttura produttiva e commerciale albanese è stata facile preda dell’imprenditoria e della speculazione finanziaria italiana. Basti ricordare il famoso scandalo delle “piramidi finanziarie”, che a cavallo tra il 1996 ed il 1997 ridusse sul lastrico il 50% dei risparmiatori albanesi.
La manodopera a bassissimo costo in loco, un sistema di potere corrotto e permissivo, fanno dei territori albanesi terra di conquista ed affari per le piccole e medie imprese italiane, le quali esternalizzano produzioni altrimenti poco remunerative nel nostro paese.
La “grande Albania” che si intravede dietro l’attuale secessione kosovara è quindi una proiezione del controllo italiano di un territorio ancora più vasto al di là dell’Adriatico.
Il fatto che ciò avvenga in dispregio del diritto internazionale, contro gli accordi che sancirono la fine dei bombardamenti NATO del 1999 poco importa ad una diplomazia determinata a ritagliarsi nicchie di potere nei territori sconvolti da guerre e occupazioni.
L’operazione “Leonte” in Libano, il ruolo centrale giocato dall’esercito italiano in alcune aree strategiche dell’Afghanistan, la firma degli accordi per lo “scudo antimissilistico” USA, l’accordo militare Italia – Israele, l’accettazione di una nuova base operativa dell’esercito statunitense a Vicenza, oggi il sostegno alla secessione kosovara, sono inequivocabili segnali del “destino manifesto” concepito per il nostro paese dalla diplomazia dalemiana.
Nel rispetto delle gerarchie e dei rapporti di forza in campo, che vedono il colosso statunitense dettare legge, le armate del “peacekeeping” italiano occupano fette di territorio oltremare, appannaggio delle industrie tricolori, di Finmeccanica ed ENI.

I venti di guerra spirano di nuovo forti sui cieli d’Europa e in Medio Oriente.
Il centro sinistra italiano indica una via per affrontare questa temperie, effettivamente nuova rispetto al ruolo giocato storicamente nel bacino mediterraneo. La vecchia diplomazia della mediazione e dell’equilibrismo tra interessi occidentali e paesi arabi è morta e sepolta.
L’Italia si è trasformata in una penisola corazzata, pronta a salpare verso i nuovi fronti di conflitto armato.

Il movimento contro la guerra, in questi giorni difficili a causa del clima pre elettorale, ha battuto un colpo, scendendo in piazza contro il rifinanziamento delle truppe italiane all’estero, votato da un Parlamento oramai delegittimato dalla caduta del Governo. Si decide così di mantenere truppe in guerra all'estero con un atto di “ordinaria amministrazione”.

Nei prossimi giorni continueremo ad essere in piazza, contro la guerra e le sue missioni, attraverso i banchetti per la Legge d’iniziativa Popolare contro trattati segreti, basi e servitù militari.

La Rete nazionale Disarmiamoli!

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