">
il pane e le rose

Font:

Posizione: Home > Archivio notizie > Imperialismo e guerra    (Visualizza la Mappa del sito )

All'altare della patria

All'altare della patria

(27 Aprile 2011) Enzo Apicella
Napolitano sostiene la decisione del governo Berlusconi di bombardare la Libia, su richiesta degli USA

Tutte le vignette di Enzo Apicella

costruiamo un arete redazionale per il pane e le rose Libera TV

SITI WEB
(Imperialismo e guerra)

Basta alle strumentalizzazioni, apriamo il vero dibattito.

(27 Febbraio 2008)

Questo intervento in merito al boicottaggio della Fiera del Libro di Torino è stato richiesto nella prima metà del mese di febbraio da "La Stampa" a Tariq Ramadan, per dargli modo di esprimere compiutamente le sue posizioni e rispondere alle violente accuse che gli erano state rivolte distorcendo le sue posizioni e il senso del suo appello.

Dopo un'attesa di quasi due settimane il quotidiano torinese ha proposto a Ramadan la pubblicazione di una versione pesantemente tagliata e in sostanza non consona all'articolazione del suo discorso.

Il professor Ramadan ha respinto tale riduzione e diffuso il testo integrale del suo intervento.

Da giorni e settimane i media si sono mobilitati, e talvolta scatenati, intorno alla questione del boicottaggio della Fiera del Libro di Torino che celebra Israele in occasione del suo sessantesimo anniversario. Abbiamo ascoltato di tutto, controverità, falsità e dichiarazioni che hanno seminato la confusione sui termini del dibattito e sulle rispettive posizioni. E' importante incominciare a chiarire che cosa ho davvero detto e le posizioni che ho preso nelle ultime settimane.

Non sono stato io a lanciare l'appello al boicottaggio della Fiera e quando sono stato interpellato da un giornalista dell'agenzia ATIC, ho effettivamente appoggiato l'iniziativa affermando che questa celebrazione era inopportuna e provocatoria, che il silenzio della comunità internazionale di fronte alle sofferenze dei palestinesi era insopportabile e che non si poteva accettare qualsiasi cosa dallo stato di Israele (non ho mai detto che "non si poteva accettare niente dallo stato di Israele": è stata una cattiva traduzione dall'arabo compiuta dall'agenzia ATIC che ha riconosciuto l'errore).

Boicottare non significa assolutamente negare l'esistenza di Israele : io non nego la sua esistenza, ma mi oppongo alla politica d'occupazione e alle campagne repressive e disumane messe in atto dai vari governi israeliani. Ho combattuto e continuerò a combattere l'antisemitismo e ogni forma di razzismo, non mi stanco mai di partecipare ai circoli di riflessione su queste questioni e ai dibattiti ebraico-musulmani, ma non accetto il ricatto al quale ci sottomettono politici, intellettuali e alcuni media. Confondere la critica allo stato di Israele e alla sua politica con l'antisemitismo è un'impostura intellettualmente disonesta. E' un'offesa alla coscienza umana e alla dignità dei palestinesi: significa mettersi ciecamente e con arroganza dalla parte dei più forti considerando che la vita dei più deboli non vale nulla e può essere sacrificata in nome del calcolo politico.

La celebrazione di uno Stato e del suo sessantesimo anniversario – a meno che non ci consideriate degli imbecilli – è un gesto eminentemente politico ed è questo che noi boicottiamo. Non si tratta di negare la libertà d'espressione o la cultura degli scrittori e degli artisti. Gli inviti che sono stati loro rivolti sono benvenuti e io stesso ho sempre partecipato a questi dibattiti (anche se è interessante interrogarsi su questa strana dimenticanza: l'assenza di inviti agli autori israeliani arabi, cristiani o musulmani: che idea hanno gli organizzatori della Fiera della composizione della cittadinanza nella società israeliana?)

E infine è stato detto che il mio appoggio al boicottaggio aveva il valore di una fatwa ! Non contenti di aver deformato la mia posizione e le mie dichiarazioni sono andati oltre con l'intenzione di spaventare utilizzando la parola "FATWA" che ricorda la triste storia del tentativo di far tacere Salman Rushdie. A parte il fatto che io ho condannato fin dall'inizio la fatwa contro Rushdie, bisogna dire con chiarezza che il mio appoggio al boicottaggio non è assolutamente un pronunciamento religioso né un provvedimento della legge islamica. Che ignoranza, che strumentalizzazione! Essendo privi di argomenti, i miei avversari mi vogliono demonizzare: "Tariq Ramadan è antisemita e ha lanciato una fatwa!". Un'affermazione del genere è vergognosa e falsa, indegna di persone che dicono di voler rispettare la cultura e il dialogo. E su questo non voglio aggiungere altro.

Se gli organizzatori della Fiera di Torino volevano aprire un dialogo e dei veri dibattiti tra gli autori e gli scrittori israeliani, palestinesi o più apertamente ancora arabi, non avrebbero dovuto imporre un quadro che altera la natura stessa di questi incontri. E invece tutto quanto non può che essere preso per una provocazione, ragione per la quale io penso che la scelta di Israele come invitato d'onore e del quale si celebra l'anniversario nel momento in cui il popolo palestinese muore a Gaza a causa della politica israeliana è come minimo una gaffe e nei fatti un errore. Questa scelta che si definisce "culturale" riflette esattamente la posizione politica di oggi dell'Europa e dell'occidente: si celebra Israele, si continua ad attizzare la confusione tra critica politica e antisemitismo e soprattutto si tace sull'indegna sofferenza dei palestinesi. Questa scelta "culturale" fa l'eco al "silenzio politico" contribuendo a deviare la questione come sanno fare bene i ciechi sostenitori dello Stato di Israele: lanciamo dei dibattiti "culturali" e facciamo finta di non accorgerci che in questo modo giustifichiamo il "silenzio politico"! Questo uso della cultura è politico e, lo ripeto, bisogna che smettano di prenderci per degli imbecilli.

E allora, voglio porre una semplice domanda, nel momento in cui l'Iran è lo spauracchio della scena politica internazionale e il bersaglio preferito della bellicosa amministrazione Bush. Gli organizzatori della Fiera sarebbero arrivati fino al punto di invitare l'Iran affermando che si trattava di un incontro strettamente culturale e che i veri invitati sono gli autori e non lo Stato? No, è evidente. Con questo non intendiamo proporre agli organizzatori di invitare l'Iran, ma soltanto a riconoscere il carattere politico del loro invito! Noi opponiamo loro lo strumento del boicottaggio che manifesta chiaramente il rifiuto della violenza ed è – in realtà – l'accettazione del dialogo! Che altri mezzi abbiamo noi? Ho detto e ripetuto che è il nostro silenzio sulla scena internazionale una delle cause della violenza in Medio Oriente: il boicottaggio è uno degli strumenti pacifici per rompere il silenzio, eppure ecco che subito ci viene risposto con una incredibile violenza verbale e moltiplicando le menzogne. Gli intransigenti chiusi al dialogo non sono quelli che si pensa.

Ho molto apprezzato che il direttore della Fiera Ernesto Ferrero e il presidente Rolando Picchioni mi abbiano indirizzato un appello al dialogo in una lettera aperta. Noi siamo in disaccordo sul senso da dare a questa celebrazione e sulla sua portata politica. Mi viene chiesto di riconoscere la sua dimensione culturale: la mia posizione, secondo loro, equivarrebbe a impedire la libertà di espressione degli scrittori e degli autori israeliani. I due firmatari della lettera mi ricordano che io stesso sono stato invitato alla Fiera e che dunque la mia posizione sarebbe paradossale. Effettivamente io sono stato invitato alla Fiera e ne ho apprezzato l'apertura di spirito e lo spazio del dibattito. L'ho riconosciuto e lo riconosco ancora oggi con forza e con rispetto. Ma ora voglio precisare che avrei partecipato senza alcuna esitazione a dei panels di discussione e di dibattito con autori israeliani su questioni letterarie o filosofiche o ancora, per esempio, sul senso e il diritto di criticare Israele. Sarei stato il primo a rispondere a questo invito e a incoraggiare gli autori arabi, palestinesi, cristiani e musulmani a parteciparvi. Ma una cosa è la libertà di espressione e il dibattito intellettuale in uno spazio libero (come dovrebbe essere la Fiera di Torino) e altra cosa è organizzarlo mentre si festeggia l'anniversario di uno Stato che non rispetta le risoluzioni dell'Onu, pratica gli assassini politici mirati e affama un intero popolo. Mi impegnerei con tutto il cuore in liberi dibattiti, critici e aperti, alla Fiera di Torino o altrove, ma con tutta la forza della mia intelligenza e della mia coscienza mi opporrò alla strumentalizzazione e ai silenzi politici quando alcuni festeggiano e altri muoiono in silenzio e senza dignità.

Tariq Ramadan
Professore presso l'Università di Oxford e la Erasmus University

Fonte

Condividi questo articolo su Facebook

Condividi

 

Ultime notizie del dossier «Boicottiamo la Fiera del libro di Torino»

2828