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(24 Febbraio 2008)
La Serbia, supportata dalla Russia, ignora gli ultimatum. Ne consegue la guerra. Questo era lo scenario nell’estate del 1914, quando il mondo piombava nella guerra, che doveva essere la fine di tutte le guerre. Dopo un secolo, la situazione è del tutto simile, in maniera inquietante.
Malgrado l’Occidente minacci di riconoscere l’indipendenza del Kosovo, Belgrado vi si oppone recisamente. Le forze armate Serbe sono pronte a rivendicare la Provincia con la forza, se necessario. La Russia ha promesso alla Serbia il suo appoggio.
Se la guerra dovesse scatenarsi, senza ombra di dubbio la Serbia verrebbe accusata dai governi Occidentali di non essersi messa in riga. Ma questa sarebbe un’accusa ingiusta e disonesta.
La presente crisi nel Kosovo è stata prodotta non tanto dall’intransigenza Serba, ma dalla politica Occidentale di ingerenza negli affari interni di Stati sovrani, che, nel secolo scorso, ha generato caos, non solo nei Balcani, ma in tutto il mondo.
Dieci anni fa, il Kosovo viveva una pace relativa. Le richieste Albanesi per una indipendenza da Belgrado venivano incanalate nell’alveo del partito moderato della Lega dei Democratici di Ibrahim Rugova, mentre i piccoli gruppi di paramilitari Albanesi erano isolati e ricevevano scarso sostegno da parte della pubblica opinione.
Secondo un rapporto del 1996 dell’agenzia di informazioni Jane, l’UCK, l’Esercito di Liberazione del Kosovo, il più estremista fra i gruppi paramilitari Albanesi, non faceva considerazioni sull’importanza politica o economica delle sue vittime, e comunque non sembrava essere in grado di procurare danni ai suoi nemici. Non era mai arrivato vicino a costituire una sfida agli equilibri del potere militare nella regione. Si poteva valutare che, alla fine del novembre 1997, l’UCK, classificata ufficialmente dagli Stati Uniti come organizzazione terroristica, non contasse più di 200 uomini.
Allora, con uno slittamento politico le cui ripercussioni sono oggi sotto gli occhi di tutti, l’Occidente ha cominciato ad interferire alla grande. Gli Stati Uniti, la Germania e la Gran Bretagna sempre più andavano affermando che l’UCK era una forza alleata, che aveva le potenzialità per fare loro acquisire l’obiettivo di destabilizzare ed eventualmente di rimuovere dal potere il regime di Slobodan Milosevic, il quale non mostrava alcuna propensione a collegarsi alle strutture Euro-Atlantiche.
L’anno seguente, l’UCK fu sottoposta ad una drastica trasformazione. Il gruppo venne depennato dal Dipartimento di Stato USA dalla lista delle organizzazioni terroristiche e, come era avvenuto con i Mujahideen in Afghanistan un decennio prima, veniva avvolto da un’aura totale di “combattenti per la libertà”. All’UCK veniva assegnata assistenza su larga scala da parte delle forze di sicurezza Occidentali. La Gran Bretagna organizzava campi di addestramento segreti nel nord dell’Albania. I servizi segreti della Germania provvedevano alle uniformi, agli armamenti e agli istruttori.
The Sunday Times in Gran Bretagna pubblicava un articolo che affermava come agenti dello spionaggio Americano avevano ammesso di avere contribuito all’addestramento dell’UCK, prima dei bombardamenti NATO sulla Jugoslavia.
Nel frattempo, la Lega dei Democratici di Rugova, che sosteneva i negoziati con Belgrado, veniva trattata con freddo distacco.
Quando la campagna di violenza dell’UCK, diretta non solo contro i funzionari di Stato Jugoslavi, i civili Serbi e gli Albanesi desiderosi di collaborare che non appoggiavano l’agenda estremistica, provocò la risposta militare di Belgrado, i Britannici e gli Statunitensi furono subito pronti a lanciare i loro ultimatum.
Durante i 79 giorni di bombardamenti della NATO sulla Jugoslavia, l’Occidente lanciava promesse di indipendenza all’UCK che, otto anni dopo, stanno continuando ad ossessionare.
Con il riconoscimento dell’indipendenza del Kosovo, la Serbia verrà spinta fuori dalla zona di influenza dell’Occidente e si produrrà una reale possibilità di guerra. E questo creerà un precedente: se i diritti di autodeterminazione per gli Albanesi del Kosovo devono essere riconosciuti, allora cosa dire sui diritti di autodeterminazione per i Serbi di Bosnia, che hanno la ferma volontà di unirsi alla Serbia? Però, attuando una conversione ad U, e tentando di rimandare l’indipendenza, si corre il rischio di violenze da parte della maggioranza Albanese del Kosovo. Questo è un enorme pasticcio, comunque confezionato dall’Occidente.
Non si fosse intervenuto negli affari interni della Jugoslavia dieci anni fa, è verosimile che sul problema del Kosovo si sarebbe sicuramente trovato un compromesso pacifico fra il governo di Belgrado e la Lega dei Democratici. L’obiettivo di Rugova era l’indipendenza del Kosovo dalla Serbia, ma solo con l’accordo fra tutte le parti.
Quello che è certo è che, senza il padrinato dell’Occidente, l’UCK non avrebbe mai acquisito il potere che certamente ha conseguito.
Sostenendo la forza più integralista in Kosovo, l’Occidente non solo ha contribuito a far precipitare la guerra, ma ha reso la questione del Kosovo più difficile da risolvere. Risulta denso di ironia il fatto che per i sostenitori dell’intervento “umanitario” si consideri che le azioni dell’Occidente in Kosovo abbiano conseguito un grande successo.
Era proprio durante il corso della campagna di bombardamenti della NATO contro la Jugoslavia nel 1999 che l’allora Primo Ministro Britannico, Tony Blair, nel suo famoso discorso a Chicago metteva in risalto la sua dottrina di “comunità internazionale”.
Blair argomentava che il principio della non-interferenza negli affari di Stati sovrani – da tanto tempo considerato come un importante principio per l’ordine internazionale – dovesse essere sottoposto a revisione. Blair perorava: “E io vi dico: mai più abboccare alla dottrina dell’isolazionismo!”
Ma, dopo avere sotto gli occhi le macerie prodotte in tutto il globo da un decennio di interferenze Occidentali, dai Balcani all’Afghanistan e Iraq, ci si meraviglia che l’isolazionismo e l’osservanza del principio di non-interferenza negli affari degli Stati sovrani sembrino ancora così tanto attraenti?
Neil Clark, collabora regolarmente con The Spectator e The Guardian in Gran Bretagna, ed insegna relazioni internazionali all’Oxford Tutorial College.
Articolo pubblicato dal The Australian il 24 dicembre 2007 (http://www.theaustralian.news.com.au/story/0,25197,22966948-7583,00.html) e messo in diffusione dal Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia – ONLUS http://www.cnj.it/
(Traduzione di Curzio Bettio di Soccorso Popolare di Padova)
Neil Clark
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