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Osteria del Vaticano

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il partito del lavoro (il partito che non c'è...)

(9 Marzo 2008)

E’ da parecchio tempo che insisto sul fatto che in Italia vi è uno spazio politico vacante che è quello di un “partito del lavoro”, autogestito dai protagonisti del lavoro, dai precari, dai disoccupati, che se vogliono ottenere qualcosa devono gestire in prima persona il conflitto con i padroni.

Se ne sono perfino accorti i partitini dell’Arcobaleno, che, pur riferendosi al comunismo ed alla classe operaia, non hanno dirigenti operai di alto livello, e si affrettano a candidare qualcuno per darsi una riverniciata di “lotta di classe”, ma credo che la direzione politica rimarrà ancora in mano a intellettuali, giornalisti, e politicanti a vita.

Personalmente sono da sempre sbalordito e disgustato dal fatto che la classe operaia si sia fatta storicamente rappresentare da gente che non vive la sua situazione, che ha cultura e linguaggi differenti, che non vive nei suoi quartieri e che, nella più benevola delle ipotesi, non è adatta a comprendere il peso reale che grava sui lavoratori, in termini di ritmi, pericoli, nocività, usura fisica e mentale.

A me sembra banalmente evidente che questa tutela degli intellettuali e dei politicanti vada respinta e che nasca un “partito del lavoro” costituito esclusivamente dai lavoratori e che, anzi, ci sia una rappresentanza proporzionale al peso numerico delle categorie, senza dimenticarne nessuna (in questa fase la eterogenea e datata “sinistra arcobaleno” si pone come un ostacolo alla nascita del ”partito del lavoro”).

Questa è una “semplificazione” essenziale, anche per non assistere più alla svendita, mascherata da “modernità”, che gli intellettuali dirigenti della “sinistra” hanno operato CONTRO la classe operaia, facendola finire come è ora: emarginata, senza identità, precarizzata, ricattata dalla immigrazione, con l’aumento di infortuni e morti sul lavoro.

Un’altra “semplificazione” auspicabile sarebbe quella di abolire la “CASTA” dei politicanti a vita, introducendo la regola (semplice, semplice) che nessuno, dico nessuno, può restare in Parlamento per più di due legislature e che questa regola riguardi anche le cariche dirigenti all’interno dei partiti.

8 marzo 2008

Paolo De Gregorio

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