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Ai giornalisti prezzolati

Ai giornalisti prezzolati

(9 Ottobre 2012) Enzo Apicella
Chavez viene rieletto con il 54% dei voti, con grande dispetto dei giornalisti prezzolati dall'imperialismo che davano per sicura la sua sconfitta

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(La rivoluzione bolivariana)

«Il mio Venezuela è antiliberista»

Intervista al presidente Hugo Chavez, assediato dalla guerra americana per il petrolio

(14 Gennaio 2003)

Caracas - nostra inviata

Guardie armate tutte intorno, l'intero isolato sorvegliato a vista, rotoli di filo spinato all'imbocco della strada. Nei saloni di Miraflores la cortesia è assoluta, il protocollo quasi inesistente. Tutti in jeans e maglietta. Tutti all'erta. A fatica si distinguono i ministri dagli agenti di sicurezza. Una semplicità sobria, elegante. Dalle finestre del palazzo entra il vento fresco di dicembre e il tintinnio assordante dei cacerolazos dei quartieri alti. Hugo Chavez Frias, il presidente assediato dal capitolo tropicale della guerra per il petrolio, ci riceve al suo tavolo da lavoro. Un enorme ritratto di Simon Bolìvar, el libertador alla parete.
Corpo granitico e cordialità caribeña, lo sguardo acceso da un'enfasi a tratti mistica, il "presidente dei poveri" giura a sé stesso: resisteremo. Da questo ufficio, lo scorso aprile, i generali golpisti lo tirarono fuori, armi in pugno, minacciando di bombardare l'edificio. Da qui, promette ora spalancando le braccia «me ne andrò solo quando sarà il popolo a chiedermelo».

Contro il suo governo è stata scatenata una violenta campagna di disinformazione che dispone di tutte le tv private e dei maggiori quotidiani del paese. La crisi venezuelana è ignorata o stravolta dalla stampa internazionale. Come intende far fronte al terrorismo mediatico?
E' una guerra. Siamo pronti a lottare, come in ogni battaglia. E' chiaro che siamo in svantaggio. Mi ingiuriano in ogni modo. Mi hanno detto di tutto: che sono legato alla guerriglia colombiana, che sto formando l'Internazionale della Spada, che sono un assassino. Mi hanno dato del carapintada argentino. Del pazzo. Dello squilibrato. La guerra mediatica va affrontata con una strategia razionale. E' una battaglia cruciale. Stiamo cercando soluzioni.

Presidente, ordinerà la chiusura di alcuni canali televisivi?
Qualsiasi misura verrà presa al riguardo, sarà tra quelle consentite dalla nostra Costituzione. Servono sanzioni di fronte alla manipolazione della realtà. Molte persone hanno già presentato esposti ai tribunali per proteggere sé stessi e i loro figli da questa strategia di menzogne.

La società venezuelana appare drammaticamente divisa. Tenterà una riconciliazione del paese?
Io non ho tanto potere da poter riconciliare i venezuelani. Questa frattura è profonda e esiste da tanto tempo. Il riavvicinamento tra settori sociali, la riunificazione delle coscienze e dell'anima della nazione sono parte degli obiettivi della rivoluzione. La frattura che osservi, ciò che sta accadendo in questi giorni, non sono altro che impatti momentanei del processo di cambiamento. La rivoluzione bolivariana ha a che vedere con la lotta di classe, nel senso inteso da Carlo Marx. Ma va oltre, è il prodotto di qualcosa di più profondo. E' la lotta tra la dignità e la miseria tra la giustizia e l'ingiustizia. Tra la pace e la guerra. E' la lotta per la vita.

Soffiano venti di guerra in Iraq. Quale posizione assumerà il suo governo di fronte alla prossima guerra imperiale?
Ci siamo dichiarati da subito contrari a tutte le guerre. La nostra Costituzione ci obbliga a mantenere una politica internazionale di ricerca della soluzione pacifica dei conflitti. Sia di quelli interni, come quello colombiano, nel quale appoggiamo una soluzione negoziata, sia di quelli internazionali. Siamo contrari alla guerra in Iraq. In questo siamo d'accordo con la Cina, con la Francia, con il Messico. Si cerchino vie diplomatiche. La guerra è un atto criminale.

Il movimento mondiale contro la globalizzazione neoliberista si sta opponendo con forza a questa nuova guerra. Come guarda, presidente, dal suo Venezuela, al movimento?
Mi rende felice constatare come questo movimento sappia farsi presente. In tutti i continenti. Siamo milioni, ormai, a sostenere che si deve cercare un'alternativa al modello neoliberista di dominio del pianeta. Quello che sta accadendo in Venezuela, compreso il tentativo di golpe e l'assalto all'impresa petrolifera statale, è l'attuale scenario di battaglia tra il modello neoliberista e le sue alternative. Qui è precipitata al momento la lotta tra un modello putrido, vecchio, perverso e un modello nuovo che sta nascendo. Il fenomeno è mondiale, ma in Venezuela, in questi giorni, si sta concentrando la battaglia. Lasciami utilizzare uno schema. Ignacio Ramonet sostiene che la globalizzazione proceda per fasi successive. In un primo momento, quello della nascita del modello, si rimane come stupefatti, sconcertati. Sorge l'idea del pensiero unico e della fine della storia. Reagire al modello è difficile, perché lo sanno vendere manipolandone mediaticamente gli effetti. Nel nostro continente ce l'hanno fatto arrivare nello stile Chicago boys. Modello elegante, pettinato, ben vestito, occhi verdi, speak in english. Non c'è spazio per noi, i neri, gli indios. Il modello è escludente, razzista, violento. E' un assassino dal bello aspetto e dal buon eloquio. Ci sono voluti dieci anni per decifrare il fenomeno. Poi il mondo ha cominciato a svegliarsi. Inizia la seconda fase: la contestazione. Sorgono le manifestazioni di Seattle, del Quebec, di Genova. Cosa è accaduto, solo qualche settimana fa, a Firenze? Un'enorme protesta nella terra di Machiavelli, dei Medici, di Girolamo Savonarola, il profeta disarmato. Ecco, io non farò la parte del profeta disarmato.
Comunque Ramonet dice che dopo la fase della protesta si entra in quella della proposta. In Venezuela questo schema si è rotto. Qui siamo passati subito alla protesta insieme alla proposta. E' l'unico caso in America, perché quella di Cuba è un'esperienza differente. In Venezuela, nel 1989, si assiste a una rivolta enorme contro un pacchetto di misure imposte dal fondo monetario internazionale. E' stata presentata come una ribellione contro il governo, ma era un'autentica ribellione popolare contro il modello che il fondo monetario voleva imporre. Contro l'aumento del costo del combustibile, contro la privatizzazione delle imprese, dei servizi, della salute, dell'educazione. Io ho partecipato a una ribellione militare, progressista, a lato del mio popolo. Contro le oligarchie, contro quelle stesse persone che mi vogliono far fuori adesso. Quella rivolta antiliberista è costata la morte a studenti, giornalisti, dirigenti politici. Altrove, nel continente, accettarono il modello. In Argentina si sono fatti un'overdose di neoliberismo. Hanno privatizzato tutto. Si vede ora con quali risultati. Se il Venezuela nell'89 non si fosse ribellato ora starebbe come l'Argentina. Da tre anni, a Caracas, siamo nella fase della proposta. La proposta si è fatta Costituzione. E' antiliberista la nostra norma fondamentale e sono antiliberiste le leggi che stiamo approvando. L'ultima l'abbiamo appena votata: la legge che impedisce la privatizzazione del sistema pensionistico.

Ha detto più volte di non condividere il progetto statunitense dell'Area di libero commercio delle Americhe. Gli Stati Uniti sono il primo partner commerciale del Venezuela, a loro vendete il vostro petrolio. Quali alternative di mercato ha in mente?
Con l'Alca siamo in disaccordo. In Quebec siamo stati gli unici, purtroppo, a votare contro la data di inizio del piano fissata al 2005. Quella data è un suicidio collettivo, se venisse rispettata milioni di esseri umani si incamminerebbero verso un abisso. Come possiamo competere, a queste condizioni, con i paesi del Nord? I campesinos che coltivano il cotone, che non ricevono sussidi, che devono lavorare utilizzando il machete o gli strumenti antichi degli indios, gli stessi di 500 anni fa, come possono competere con economie protette da sussidi, studi scientifici, e semi migliorati in laboratorio? Se vogliamo realizzare un'area di libero commercio, ripristiniamo prima condizioni di uguaglianza. Io all'Alca non dico no. Dico dipende.

Lula definisce l'Alca «un piano di annessionismo economico». La nuova presidenza del Brasile, crede possa esserle di sostegno?
In America Latina stanno cambiando molte cose. Per anni io sono andato ai vertici e mi sentivo solo. Soltanto quando veniva Fidel, vedevo qualcuno col quale identificarmi, in quanto a criteri di analisi. Credo che a lui succeda lo stesso.
A un vertice, una volta, mi ha fatto arrivare un bigliettino. «Finalmente non sono l'unico diavolo» c'era scritto. Siamo solo esseri umani con idee nostre. Persone che non hanno paura delle parole che pronunciano. Sai quante volte dirigenti latino americani mi hanno detto: è molto utile che tu dica queste cose. E io rispondevo: perché non lo dite pure voi? Adesso, mi pare, che i discorsi dei leader del continente stiano cambiando. Cardoso, poche settimane fa, mi diceva: nell'intero periodo del mio governo, non ha mai smesso di crescere il prodotto interno lordo. L'anno in cui è cresciuto di meno è avanzato del 3%. In nessuno di questi anni ha smesso di crescere la povertà.
E' un modello di disuguaglianza mostruoso. E' un modello selvaggio di distribuzione delle ricchezze. Questo continente cambierà, però. Con l'elezione di Lula, per esempio, con Lucio Gutierrez in Ecuador, rafforzeremo le nostre posizioni. Lula è un amico. Lucio non lo conosco, ma sono sicuro che condividiamo idee importanti. Altri presidenti ci seguiranno in America Latina. Nasceranno nuovi movimenti sociali e politici.

Da più parti, anche dall'Europa, si guarda con sospetto alla rivoluzione bolivariana e si chiede a lei di spiegare chi è davvero Hugo Chavez.
Faccia l'Europa lo sforzo di farsi capire. Io sono Hugo Chavez e amo il mio paese. L'Europa ci ha fatto molto male. Erano altri tempi, certo, ora gli europei sono fratelli. Ma l'Europa non ha mai capito l'America Latina. Fate uno sforzo maggiore, cancellate le cicatrici. Sai cosa diceva Simon Bolivar? Io sono una foglia soffiata dall'uragano. Capite l'uragano non me. Non è importante decifrare Hugo Chavez, è importante capire cosa rappresenta la fase del processo venezuelano. Qui, fratelli, una rivoluzione è in marcia. Pacifica e democratica. Che importanza ha capire chi sono io? Perché si ribellano i contadini? E gli studenti? E gli indios? Quando capiranno il processo, capiranno le ragioni di queste rivolte e capiranno anche perché è in corso il tentativo di strapparmi dal governo del paese. Capiranno tutto insieme, perché si tratta di un processo storico.

L'opposizione, al tavolo delle trattative, pretende un'uscita elettorale dalla crisi. Non anticiperà le elezioni?
Sono disposto a discutere di qualsiasi cosa, ma dentro il dettato costituzionale. Un piano golpista, assassino, vuole imporre al paese un cammino che non è nel tracciato costituzionale. A un tavolo di trattative, senza golpe, senza imprese paralizzate, senza sabotaggi del paese, senza guerra mediatica, si può discutere qualsiasi cosa. Di un referendum consultivo, se vogliono. Di un referendum revocatorio. La Costituzione, però, stabilisce molto chiaramente il periodo di mandato presidenziale di sei anni. Io ne ho fatti due e mezzo. Un'anticipazione delle elezioni è una opzione anticostituzionale, quindi impossibile. Si può cambiare la legge fondamentale, ma bisogna passare per il Parlamento, perché quello è il centro della discussione politica. Qualcuno l'ha già proposto. Se i deputati, a maggioranza, approvano la modifica, si deve andare a un referendum popolare. E' questa una delle meraviglie della nostra democrazia: non è un'élite a decidere passi storici. Le rappresentanze prendono accordi politici, ma solo il popolo può approvare una modifica costituzionale. Se il popolo votasse a favore, rimarrebbe comunque un problema da risolvere: in Venezuela le leggi non possono essere retroattive. Un'eventuale modifica, quindi, potrebbe valere per il periodo futuro ma non per questo. Io sono stato eletto per sei anni. Se in questo momento fosse davvero in corso uno sciopero, se davvero fossero i lavoratori ad essersi fermati, se fossero i poveri e gli studenti universitari a protestare, se l'impresa petrolifera fosse paralizzata dagli operai non da un'élite padronale, se questo stesse succedendo, e non succede, io avrei già rimesso il mio mandato. E' stato il popolo a contrattarmi per questo lavoro politico di governo, io sono il loro impiegato, se io sbaglio sono loro a stracciarmi il contratto. Il popolo, però, i poveri soprattutto, mi vogliono qui, mi amano e io amo loro.
Abbandonarli? Tradirli? Preferirei morire. Te lo giuro. Quali garanzie ci sono? Conservare l'appoggio popolare perché l'amore del popolo e per il popolo ha delle radici concrete. Continuiamo a realizzare microcrediti per le donne povere, a dare le case a chi non ce l'ha, a cedere la terra ai contadini, a costruire scuole bolivariane per i bambini. Ne abbiamo recuperati un milione e mezzo dalle strade. Non potevano andare nelle scuole private a pagamento. Ora hanno una scuola e prima delle lezioni mangiano. Perché non si studia volentieri a pancia vuota. Questa è la nostra rivoluzione. Sono pronta a difenderla.

Non ha paura?
Usciremo vittoriosi da questa guerra. Rafforzati anche nello spirito.

Buona fortuna, presidente.
Buona fortuna.

Angela Nocioni

Fonte

  • dal sito dei giovani comunisti. Temi Internazionali.

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