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Il solo segnale possibile

(9 Aprile 2008)

Ad una settimana dal voto del 13 Aprile l'attenzione degli osservatori appare attirata, soprattutto, dal fenomeno della possibile crescita dell'astensione: molto di più degli annunci di distacco acquisito o di rimonta in atto da parte dei leader dei partiti più forti.

In realtà questa campagna elettorale è parsa proprio non “battere chiodo” dal punto di vista della volatilità elettorale da uno schieramento all'altro (si prevede una “trasmigrazione” dalle dimensioni consuete: all'incirca 300-400.000 voti).

Il problema vero è quella della “rimotivazione” dei propri elettori da parte di forze politiche uscite tutte, chi più o chi meno, screditate dall'esperienza della legislatura appena conclusa e con in più la necessità di “rimodellare” la propria iniziativa in funzione delle novità che l'offerta politica presenta, al riguardo delle importanti modificazioni nel sistema, avvenute proprio dalla parte degli attori presenti nell'arena.

Sotto questo aspetto la possibile crescita dell'astensionismo rappresenta la vera e propria chiave di volta dell'esito elettorale: perché non soltanto determinerà il risultato dal punto di vista del governo, ma anche della stessa sopravvivenza di determinate forze politiche, come nel caso della Sinistra Arcobaleno, il cui sviluppo e passaggio da lista elettorale ad eventuale soggetto politico strutturato appare strettamente legato a ciò che, dal punto di vista numerico, verrà fuori dalle urne (il discorso comunque vale per tutti, beninteso: PD in primo luogo).

Appare quindi innegabile il particolare valore politico dell'astensionismo in questa occasione, anche se va ricordato alle compagne ed ai compagni che si apprestano ad esercitarlo che non sarà possibile, alla fine, esprimersi correttamente sull'entità reale del fenomeno: come sempre, del resto, il computo dei non partecipanti al voto risulterà l'insieme di un calderone indistinguibile e ci si dovrà accontentare di una analisi di tipo globale (salvo verificare situazioni di carattere locale, ben precisamente definite da opzioni concrete, per le quali determinanti movimenti sociali hanno promosso il fenomeno del “non voto” come, ad esempio, i “NO TAV” in Val di Susa).

Non a caso, domenica 6 Aprile, sulle colonne di “Repubblica” Ilvo Diamanti si è esercitato in una sorta di catalogazione dei possibili astensionisti, suddividendoli in tre categorie: “vaffa”, “tradizionalisti”, “radical”.

Ci sarebbe da discutere, in particolare, per quel che riguarda i “tradizionalisti” ( mi è capitato, qualcuno lo ricorderà, di affrontare più o meno lo stesso concetto, qualche settimana fa definendoli “orfani”) mi limito a considerare che il tipo di astensione prodotto da questi cosiddetti “tradizionalisti” rappresenterà, probabilmente, alla fine il fattore più rilevante di incidenza del “non voto” sull'esito elettorale complessivo.

Questo perché l'astensionismo derivante dall'assenza di “tradizioni politiche di riferimento” (come proprio Diamanti le definisce) rappresenta il solo segnale possibile da lanciare, al fine di richiedere – da sinistra – una rimodellazione nella struttura dell'offerta politica che, davvero, il “melting pot” della Sinistra Arcobaleno non è assolutamente in grado di rappresentare.

Queste brevi considerazioni dovrebbero, a mio avviso, essere tenute presenti nel momento di una scelta che si presenta davvero difficile, soprattutto per assegnare un valore politico alla necessità di prendere radicalmente le distanze da questo quadro politico, ed aprire la strada ad una diversa prospettiva.

Savona, li 7 Aprile 2008

Franco Astengo

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