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Seppellire l’Arcobaleno

Ricostruire il Prc dall’opposizione

(15 Aprile 2008)

Il risultato elettorale della Sinistra arcobaleno è per generale ammissione al di sotto delle peggiori aspettative. Per la prima volta da 126 anni, da quando nel 1882 Andrea Costa venne eletto primo parlamentare socialista, non esiste nel parlamento italiano né un socialista, né un comunista. Non esistono precedenti, almeno nel nostro paese, che possano fare da guida per darci un orientamento.

Nel 1948 il Fronte popolare costituito da comunisti e socialisti subì una disfatta storica che aprì la strada a vent’anni di pesante egemonia democristiana, agli anni duri della discriminazione anticomunista, alla scissione della Cgil. Tuttavia le strutture portanti ressero, il Pci rimaneva un partito forte e radicato profondamente nella classe operaia.

Oggi la portata della sconfitta non discende solo dall’esclusione dal parlamento, ma soprattutto dalla sensazione di tracollo e di disfacimento che traspare in queste prime ore.

Che una sconfitta ci sarebbe stata, era scritto in partenza. Un’esperienza di governo fallimentare, terminata ingloriosamente per mano di Mastella e Dini: una rottura col Pd subìta con rassegnazione da parte dei gruppi dirigenti dell’Arcobaleno, che in buona parte hanno continuato a piagnucolare per la protervia di “Walter” che non ha voluto stringere accordi (e c’è chi continua anche dopo il voto con lo stesso ritornello); una campagna elettorale zoppicante, parole d’ordine vaghe e contraddittorie, dirigenti in larga misura screditati che si rivolgevano a piazze quasi sempre semivuote. Tutto questo lasciava presagire un esito negativo, ma i numeri, smentendo anche i sondaggi più negativi, dicono che si è aggiunto qualcosa di più.

Alla semplice domanda: “C’è un solo motivo per cui valga la pena di votare l’Arcobaleno?” oltre due milioni e settecentomila elettori che nel 2006 avevano votato le forze dell’Arcobaleno (senza contare Sinistra democratica) non hanno saputo dare risposta. Il voto della sinistra è esploso in frammenti, chi nell’astensione, chi nelle liste del Pcl e di Sinistra critica, chi nel “voto utile” al Pd, diversi, c’è da supporre, anche nel voto a Di Pietro e alla Lega nord. Il terreno è franato sotto i piedi di un gruppo dirigente che fino all’ultimo minuto non ha dimostrato di avere il minimo sentore di quanto si stava preparando. È la fine di un’epoca.

Al capolinea arriva non solo una linea politica fallimentare che dal 2005 ha condotto Rifondazione da una sconfitta all’altra. Finisce l’epoca della sinistra glamour che invece che ai cancelli delle fabbriche convoca i giornalisti nei locali alla moda; finisce la lunga stagione delle “trovate” bertinottiane, dei giochi di parole, delle “mosse del cavallo” e dei “balzi della tigre” che tanto piacevano all’ex presidente della Camera.

Si potrebbe scrivere un lungo catalogo degli argomenti con i quali questi dirigenti intelligenti attaccavano noi e tutti coloro che criticavano la loro linea negli anni scorsi, in particolare quando ci opponevamo all’entrata nel governo Prodi. Per non dilungarci citiamo solo il più (involontariamente) umoristico: “Se seguissimo le vostre posizioni – dicevano –, usciremmo dalla politica e finiremmo col fare gli extraparlamentari!”. I signori strateghi sono ora serviti!

Si apre una probabile diaspora, l’attrazione verso il Pd sarà irresistibile per larga parte del ceto politico dirigente dell’Arcobaleno. Gran parte dei Verdi si prepara a una precipitosa correzione di rotta. Sinistra democratica ha ripetuto per tutta la campagna elettorale e anche oltre che prima o poi col Pd bisognerà riaprire il dialogo. Le sirene si fanno sentire anche in Rifondazione.

Bene: chi deve andare vada, senza farsi trattenere dai rimpianti; vadano ad accomodarsi nel loft di Veltroni, nessuno li rimpiangerà, per ricostruire dopo questa sconfitta ci servirà ben altro materiale umano e ben altra linea politica e se nel fuggi-fuggi dovesse essere travolto qualche spezzone del Prc, tanto meglio. Se il Prc ha un futuro, può averlo solo liberandosi dei tanti che invece di vivere per la politica hanno deciso di vivere di politica, di carriera, di amministrazioni locali, dei traffichini della politica pronti a tutto pur di salire un gradino di carriera.

Comincia una lunga marcia verso i lavoratori, le fabbriche, i conflitti, gli immigrati, le donne (quelle vere, che subiscono sulla loro pelle il pesante ritorno del clericalismo e dell’oppressione familiare e lavorativa; non le immaginette da convegno che fanno solo battaglie per le candidature), le periferie, i tanti luoghi nei quali nessuno sa più a cosa debba servire un partito comunista e di classe.

Questa lunga marcia la faremo, ne siamo certi, assieme a tante migliaia di compagni e compagne che non sono disposti a vedere andare in liquidazione le idee e il partito per il quale abbiamo combattuto tante battaglie.

Il presidente uscente di Confindustria Montezemolo esulta perché il risultato elettorale non solo garantisce la governabilità, ma anche per “la netta sconfitta delle forze politiche portatrici si una cultura anti-impresa, anti-mercato e anti-sviluppo”.

C’è solo una strada per smentire l’arrogante trionfalismo del capo confindustriale: ricostruire, con pazienza certosina, tanta umiltà e tanto spirito di sacrificio, la presenza dei comunisti nei conflitti di classe che inevitabilmente torneranno ad attraversare il nostro paese. Che non si tratti di pie illusioni lo conferma il fatto che molti commentatori qualificati, dal direttore del Corriere della Sera in giù, hanno manifestato la loro preoccupazione per la cancellazione della sinistra dal parlamento: temono, dicono, una deriva radicale. Faremo di tutto per far sì che il loro timore sia la nostra speranza, che nelle lotte future si ricostruisca un Prc che possa andare a testa alta non nei salotti televisivi, ma fra gli sfruttati che lottano per i propri diritti e il proprio futuro.

Per fare una lunga marcia occorre tuttavia una direzione credibile, per idee e personaggi. Uno dei pochi punti oscuri di questo risultato elettorale è come faccia Franco Giordano a occupare ancora la carica di segretario del Prc. Diciamo questo non perché cerchiamo facili consolazioni o capri espiatori, ma per la convinzione profonda che sarebbe un primo atto volto a ridare credibilità al nostro partito.

Quanto alle “dimissioni” annunciate da Bertinotti, non siamo propensi a prenderle troppo sul serio. È noto che gli dèi non si dimettono dall’Olimpo, e il compagno Bertinotti ha già abbondantemente dimostrato in questi mesi e anche nella campagna elettorale di preferire di gran lunga il ruolo di deus ex machina che dall’alto della sua posizione pronuncia sentenze oracolari piuttosto che tornare a mischiarsi con noi, poveri plebei della politica militante, ai quali tuttavia non si perita di lasciar pagare il conto (politicamente parlando) dei suoi festini. E cosa dovremmo pensare di quei dirigenti che come un disco rotto ripetono “guai se si ferma il processo unitario!”… e viene da domandarsi quali altri guai dovrebbero ancora capitarci prima che ci si decida a buttare alle ortiche una linea fallimentare!

Il compagno Alfonso Gianni ha il pregio di parlare sempre chiaro. Su Liberazione del 15 aprile si esprime come segue: “idea personale: lanciare subito un appello per una costituente della sinistra, contare insomma chi ci sta, nei partiti e nella società”.

Per l’ennesima volta, che sarebbe anche l’ultima, si tenta di porre il partito di fronte a un fatto compiuto; ma è anche, dobbiamo esserne coscienti, il tentativo disperato di una componente politica sconfitta, che minaccia neanche tanto fra le righe nuove scissioni (“chi ci sta… nei partiti”) pur di sottrarsi a un dibattito democratico. Possiamo e dobbiamo battere questo tentativo in un confronto serrato, implacabile e soprattutto che coinvolga finalmente quelle migliaia e migliaia di compagni che sono stati espropriati da tempo del loro diritto a dibattere e a decidere del futuro del partito.

Una nuova linea di classe e di opposizione può e deve affermarsi nel congresso del Prc, che rivendichiamo si apra in tempi brevissimi. Vengano i compagni, gli iscritti, i militanti, quelli del 20 ottobre, e mettano a riposo un gruppo dirigente fallimentare e impongano un drastico cambio di rotta. Questa è la battaglia che faremo nel congresso, aperti a collaborare con tutti i compagni, comunque l’abbiano pensata fino a ieri, che condividano con noi due semplici cose: un’idea politica e un sentimento.

L’idea politica è che possiamo ricostruire un partito comunista all’altezza delle necessità se sapremo calarci fino in fondo nel conflitto di classe nella società e nella politica, interpretandolo nel solo modo concepibile oggi, e cioè come un conflitto che ci contrappone a entrambi gli schieramenti dominanti del Pd e del Pdl.

Il sentimento è quello di chi non è disposto a permettere che dopo averci condotto a questo disastro, i responsabili principali compiano l’ultimo scempio usando una sconfitta causata da loro stessi per dissolvere in un nulla politico il lavoro e le battaglie di centinaia di migliaia di compagni.

Falce e Martello

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