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Sinistra italiana

(24 Aprile 2008)

Conta davvero, quanto conta e come conta l’esclusione dal Parlamento della sinistra italiana?

Molti si stanno arrampicando sugli specchi di questa sconfitta, proponendo ripartenze o “riappartenenze”, sviluppando paralleli storici, rifugiandosi nell’idea antica delle “lotte sociali” bastevoli per sé stesse, oppure tirando fuori frasi roboanti sulla globalizzazione ed il conflitto interno ad essa da far avanzare in maniera “comunitaria” (il conflitto, di per sé, lo dice la parola stessa deve essere “conflittuale” e tali i movimenti, più o meno specifici, debbono essere: niente di più e niente di meno. Il resto appartiene al rapporto tra struttura e sovrastruttura, modificatosi nel tempo dalle analisi sviluppatesi tra ‘800 e ‘900, ma sicuramente sempre esistente e valido nella sua essenza).

Dunque la sinistra italiana scompare dal Parlamento, dove sedeva dal 1882, dieci anni prima della costituzione del suo partito di riferimento (prima Partito dei Lavoratori, poi l’anno successivo, 1893 congresso di Reggio Emilia, Partito Socialista), via, via, attraverso un’interessantissima storia di un pezzo fondamentale del sistema politico italiano, tra rotture, ricomposizioni, battaglie vinte, perse (Gino e Michele scrivevano, a cavallo del’77, la classe operaia vince o perde ma è sempre in “media inglese”, ma non spiego certo qui agli ignari di calcio come funziona la “media inglese”).

Quale sinistra italiana scompare dal Parlamento? Questo l’interrogativo da porsi, al quale cercare di rispondere.

Prima di tutto una parte importante del ceto politico italiano ha fatto scomparire la sinistra attraverso l’abiura: sì, in questo caso il termine è esatto. Si è trattato di una vera e propria abiura quella attuata da una parte del ceto politico italiano, in alto e in basso, quella che ha portato ad una ridefinizione e ad un riallineamento del nostro sistema politico. Tutto ciò è avvenuto in seguito a quella che si è ritenuta una sconfitta ( il crollo del tentativo di inveramento statuale del marxismo, frutto di un fraintendimento di fondo attorno all’idea leninista della rivoluzione attraverso il “nucleo d’acciaio”. L’idea hegeliana dello Stato come “nucleo d’acciaio” questo non ha funzionato, non semplicemente le scelte tattiche: dal “socialismo in un solo paese”; fino alla “logica dei blocchi”) dalla quale allontanarsi, senza mutare l’idea di fondo dell’assalto alla cittadella del potere.

Il resto dell’operazione, sulla quale molti stanno piangendo per il latte versato, è stato compiuto dall’arroganza: l’arroganza di un altro pezzo di ceto politico (di dimensioni ridotte) convinto di cavalcare opportunisticamente la rendita di posizione derivante da quanti, nella società italiana, non condividevano l’abiura e concedevano loro spazio, posti, soldi, onori, presenze televisive, tutto ciò che serviva, nel 2000 inoltrato, per svolgere in pace il ruolo di parassiti della storia.

Mi rendo conto di usare parole pesanti, ma se non troviamo la lucidità di analizzare fino in fondo la realtà, difficilmente ci sarà spazio per le “ripartenze”: pur tenendo conto che non siamo a zero, che qualche decina di migliaia di donne e di uomini condividono questa aspirazione e sono disponibili, di nuovo, a dare la propria disponibilità in termini di pensiero ed azione.

Nonostante tutto, infatti, nonostante le abiure ed i parassitismi la storia complicata della sinistra italiana è lì e merita di essere ripercorsa, almeno nei suoi passaggi fondamentali.

Non credo che serviranno a qualcosa i congressi dei vari partitini, lì si tenterà di riperpetuare l’eterno gioco del ceto politico; le lotte sociali, così come si configurano nella società odierna, marceranno (e moriranno) da sole; la società, multiforme e complicata, si muoverà attraverso le sue istanze più diverse chiedendo a chi c’è ciò che potrà servirle per la condizione materiale delle diverse stratificazioni che la compongono (sarà, come sempre, un problema di rapporti di forza); dalle istituzioni si continuerà ad agire di conserva, per soddisfare desiderata immediati, conservare privilegi (ed in questo la sinistra istituzionale, dalle Regioni in giù e proprio ben assestata).

L’uscita della sinistra dal Parlamento significherà, però, la scomparsa di un soggetto nell’arena politica italiana (ce ne accorgeremo meglio fra qualche giorno, vedrete): una scomparsa fondamentale per l’immaginario collettivo, le cui conseguenze saranno davvero catastrofiche, anche volendo valutarle con il massimo del disincanto.

Dunque, l’obiettivo deve essere quello di tornare in Parlamento, con una sinistra provvista di una robusta iniezione di collegamento con la storia e la tradizione del movimento operaio italiano (parlo di socialisti e comunisti: del filone centrale di questa storia, tanto per non lasciare adito a dubbi); una sinistra capace di riprodurre l’idea della politica, questa volta sì intesa come di “parte” (peccato citare uno slogan così sfortunato, ma non trovo altra definizione) che produca alterità ed egemonia.

Per fare ciò l’arroganza dell’attuale ceto politico non serve, e non servono i suoi partitini: serve, dentro o fuori dal parlamento, un partito (la politica non può essere elaborata, alimentata, prodotta da nessun altro soggetto: non siamo ancora riusciti a scoprire niente di diverso), posto sul terreno ben preciso del rapporto tra progetto di trasformazione, analisi della qualità della crisi, intreccio tra valori senza eclettismi, ricostruendo una teoria, una prassi, una memoria.

E’ troppo chiedere un gesto di umiltà da parte di tutti, un percorso “democratico” di rinnovamento radicale, un nuovo orizzonte posto proprio sul piano della presenza della sinistra nel sistema politico italiano?

Savona, li 23 Aprile 2008

Franco Astengo

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