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(25 Aprile 2008)
In questi giorni fioccano le interpretazioni relative all'esito del voto del 13-14 Aprile scorsi: interpretazioni diverse, basate su analisi degli scostamenti elettorali spesso inesatte e fondate su dati non sufficientemente esaminati in profondità.
Vale allora la pena di fare il punto attorno a dati elaborati dai principali centri di studio dei flussi elettorali (mi riferisco in particolare ad autori come Natale , D'Alimonte, Ignazi, veri specialisti in questo campo): in questa occasione mi limiterò quindi ad una esposizione del tutto didascalica dei principali movimenti di flusso fatti registrare nel corso di questa tornata elettorale, con una brevissima appendice rivolta ad una previsione riguardante la prossima fase politica.
In questo senso mi rivolgo, ad esempio, ai compagni del PCL, il cui documento di analisi del voto parte da alcuni presupposti di fondo inesatti (come al solito, nell'ambito della sinistra, l'analisi più centrata, pur ancora molto sommaria, viene da “Lotta Comunista”, anche perché da quel versante si è sempre esaminato con grande attenzione ed interesse diretto il fenomeno dell'astensionismo).
Una premessa di carattere linguistico: alcune affermazioni che saranno contenute nelle brevi note che seguiranno vanno assunte attualizzandole, ad esempio quando si parlerà di “strutturazione” dei soggetti politici, nessuno è autorizzato a pensare ad un ritorno al vecchio partito di massa alla Duverger, ma ad una “raccolta” del “partito leggero” o “di cartello” (Kaltz- Mair) attorno ai due elementi chiave della spettacolarizzazione e del leaderismo (in questo senso, rispetto alla crisi verticale di Rifondazione Comunista, appare emblematico il modo di trattare la questione da parte del “Manifesto”, che ha già individuato i capi delle tre correnti, dedicando ad essi tre interviste apparse nei giorni scorsi, senza mai abbozzare autonomamente una analisi “propria” della crisi di quel partito: un arrendersi dello “storico” giornale di quella che fu la vera sinistra extraparlamentare dei primi anni'70 che la dice lunga circa la situazione che si cercava di descrivere qualche riga sopra).
Andiamo, allora, al dunque.
Il primo dato da rimarcare è quello della vittoria piena, netta, incontrastata e presumibilmente duratura della PDL. Una vittoria che ricorda, anche nei numeri, il successo della DC il 18 Aprile 1948, pur nella necessaria attualizzazione dei riferimenti riguardanti il sistema politico. Tra l'altro se sessant'anni fa si fosse votato con l'attuale legge elettorale l'effetto semplificazione del quadro politico sarebbe stato ancora più drastico: alla Camera sarebbero rimasti soltanto la DC, il Fronte Popolare e l'Unità socialista (poi il Fronte si divise, ma questa è un'altra storia che potrebbe, però, riguardare anche il futuro più o meno immediato del PD). Tornando, comunque, alla PDL: questo soggetto si afferma quale unico “partito nazionale” (torna l'analisi di Ilvo Diamanti in “Bianco, Rosso, Verde”: testo stilato dopo le elezioni del 2001) e si rafforza sul piano della struttura interna grazie alla tenuta di AN, che porta in dote militanza e radicamento territoriale, sconfiggendo seccamente l'assalto della destra massimalista. Quindi un successo pieno e incontestabile, anche se ottenuto senza una avanzata elettorale nel paragone della somma potenziale dei voti del 2006 tra F.I. E A.N.
Il PD, per contro, è sconfitto altrettanto nettamente, fallendo soprattutto la prova della “dimensione nazionale”: il partito è debole al Sud (vedi la sconfitta della candidatura Finocchiaro alle regionali siciliane: una vera e propria “rotta”) come al Nord, ed ha i suoi punti di forza , ancora come sempre, nelle antiche regioni rosse. La forza del PD appare risiedere soprattutto nella fedeltà del vecchio elettorato dell'Ulivo (il 78% degli elettori della vecchia lista unitaria ha confermato il proprio voto tra il 2006 ed il 2008), mentre soltanto il 13% dell'elettorato democratico proviene dalle forze che hanno composto la sinistra arcobaleno (in questo si sfata, in parte, il mito della consistenza del cosiddetto “voto utile”, ma torneremo sull'argomento). Inoltre il PD ha effettuato uno scambio in perdita tra l'ingresso del voto radicale e l'uscita del voto cattolico verso l'UDC: in questo senso si può parlare di un vero e proprio errore strategico ( i radicali andavano apparentati al di fuori della lista e non dentro). Va chiarito, ancora, come le possibilità di “rimonta” debbano essere rimandate “sine die”: ci sono 4.000.000 di voti di scarto (esattamente gli stessi intercorrenti tra la DC ed il FDP nella già citata occasione del 18 Aprile 1948), in una situazione dove non esistono margini di manovra politica. Veltroni, infatti, con la sua (insensata? O insensata, ma non troppo?) campagna elettorale imperniata sulla “rimonta” si è bruciato, in questo senso, tutti i vascelli alle spalle.
L'analisi del voto all'UDC appare di particolare interesse, anche nella prospettiva che il PD ha aperto circa una possibile collaborazione futura. Attenzione: se mai ci fosse stata una possibile componente di “cattolicesimo democratico” (di ispirazione dossettiana, tanto per intenderci) questa si è indebolita, all'interno dell'UDC. Accanto ad una cessione unidirezionale di voto verso la PDL (la scissione capitanata da Giovanardi ha contato parecchio; a differenza di quella, sul versante di sinistra, capitanata da Mussi dal PD all'Arcobaleno), abbiamo un ingresso molto importante (l'8% dell'elettorato UDC) da AN composto da cattolici integralisti che hanno rifiutato sia l'estremismo fascista della destra, sia il “super-secolarizzato” Berlusconi; certo ci sono voti provenienti dalla Margherita (e, magari, anche un po' di “stizzosa” fronda prodiana) e da FI (voti antifascisti che hanno rifiutato il connubio con AN), ma la sostanza è che il voto cattolico tradizionalista ed il peso del rapporto con le gerarchie ecclesiastiche rendono molto difficile un possibile ruolo dell'UDC in funzione di una manovra d'alleanza con il PD.
Ha fatto molto clamore la crescita al voto alla Lega Nord (che, comunque, non raggiunge il massimo storico del 1996, allorché concorse con le “mani libere”). Attorno a questo fenomeno sono state dette tante cose, che riassumerei brevemente: la Lega Nord è un partito “vero” (non a caso è il più “vecchio” di militanza parlamentare tra quelli che sederanno sui banchi di Montecitorio e di Palazzo Madama nella legislatura che sta per cominciare), un partito sul modello tradizionale del forte “insediamento territoriale” (tipo la CSU bavarese), in condizioni di “proteggere” i propri soggetti di riferimento (pensiamo alla popolarità di proposte come quelle del ripristino della scala mobile e delle gabbie salariali). In ogni caso il voto alla Lega Nord non può essere catalogato semplicisticamente come “voto di protesta”, soprattutto per via del permanere in evidenza della antica “frattura” centro – periferia (confrontare il “vecchio” Rokkan, 1983).
Arriviamo così al dato fatto registrare dalla Sinistra Arcobaleno.
E' evidente le caratteristiche di tracollo fatte registrare dal voto per questa lista, nella comparazione tra i suffragi ottenuti tra il 2006 dai tre partiti che l'hanno composta (senza considerare la SD) ed il 2008. Un tracollo omogeneo che non presenta difformità rilevanti nella sua estensione territoriale ( ed i dati delle amministrative ci dicono anche che si tratta di un tracollo “strutturale”, che potrà essere contenuto qua e là, ma non arginato a sufficienza, almeno nel breve periodo).
Verifichiamo due elementi, quello riguardante le cause complessive di questo disastro, e la direzione assunta dai voti in uscita ( con le relative, specifiche, motivazioni).
Le cause principali del crollo della Sinistra Arcobaleno vanno ricercate in due fattori principali: l'assoluta insufficienza dell'offerta politica (avvertita immediatamente dall'elettorato come del tutto interna ad una logica di tipo meramente politicista) e una totale crisi di identità, evidenziata dalla assoluta rinuncia a qualsiasi richiamo,anche simbolico,alla tradizione del movimento operaio.
A questo punto va chiarito in maniera definitiva che la maggior parte dell'elettorato di PRC, PdCI, Verdi (questi ultimi,poi, assolutamente disastrosi sul piano della tenuta del consenso accumulato in precedenza: un vero tallone d'Achille per l'alleanza) è fuggito verso l'astensione (per il 38%) con una quota riservata al voto per PCL, Sinistra Critica e “Bene Comune” (è bene ricordare che, pur esprimendo in questo caso, una vera e propria forzatura sul terreno dell'analisi elettorale, sono stati i voti a queste tre liste quelli decisivi per il mancato “quorum” alla Camera. I dirigenti di PRC e PdCI dovrebbero riflettere su questo dato e sulla facilità con cui hanno aperto le porte a scissioni che si sono rivelate modeste sul piano numerico generale, ma micidiali nel particolare. Una situazione paragonabile a quella della divisione tra PSIUP e Manifesto nel 1972, pur in un quadro, ovviamente, del tutto diverso). La motivazione di chi si è astenuto o ha votato le liste “ a sinistra” è stata però comune: il rifiuto e la delusione circa il governo Prodi. Qui sta il punto: l'errore strategico compiuto da PRC e PdCI nell'operazione di governo (modestamente ci eravamo permessi di sottolinearlo fin dal congresso di Venezia, 2005, del PRC: congresso che approvò una linea assolutamente disastrosa, rivelatasi tale nei fatti) ha informato decisivamente l'insieme di questa vicenda politica. Inserisco una sola annotazione a questo proposito: un gruppo dirigente che, complessivamente, commette un errore del genere ha il dovere di sparire dalla scena politica, a meno che l'obiettivo non fosse quello di sciogliere la baracca e dirigere la prora verso il PD per occupare lo spazio “a sinistra” (in questo caso, allora, amaramente ed ironicamente verrebbe da dire “ben scavato vecchia talpa”). La seconda causa del tracollo dell'Arcobaleno è stata dovuta al cosiddetto “voto utile” verso il PD (alimentato dalla già citata campagna elettorale di Veltroni sulla “rimonta”). Attenzione però si tratta di un voto assolutamente “in prestito” che spiazza lo stesso PD fornendogli un pezzo di elettorato assolutamente spostato rispetto all'orientamento generale del partito. Nonostante dichiarazioni, inviti, appelli (penso alle affermazioni del segretario regionale della Liguria del PD, Tullo) non esiste la possibilità di una rappresentanza da parte del PD di questa area sociale e politica del paese che ha bisogno di qualcosa di molto diverso; così come è assolutamente in prestito il voto raccolto dell'IDV (stranamente assente da molte delle analisi lette in questi giorni). L'IDV ottiene un consistente successo elettorale, sull'onda di un “voto utile di protesta” (quasi un ossimoro di memoria morotea), intreccio tra “antipolitica” e “antiberlusconismo” (sulla linea di “Micromega”, che aggiunge anche un pizzico di laicismo “d'antan”). Non crediamo, però, che l'IDV saprà capitalizzare questo fenomeno e, presto, ci troveremo con un altro pezzo di elettorato in movimento. Infine, un po' dell'ex-voto della Sinistra Arcobaleno è andato alla Lega Nord, specie in settori operai che già avevano votato il Carroccio in precedenti occasioni: un voto proveniente, in particolare, da settori della “nuova aristocrazia operaia” consolidatasi nella media impresa (da qui anche la crescita elettorale della Lega in regioni come l'Emilia Romagna e la Toscana).
Ecco: questo è il quadro complessivo,così come può essere delineato dalle prime analisi plausibili, su di un piano scientifico.
Quale prospettiva si apre, allora.
Ci sia consentita una sola annotazione, in questo senso: la situazione italiana continuerà ad essere dominata dalla confusione tra spinte iper-liberiste e populiste che si configureranno in misure stataliste e di difficoltà nei rapporti con il capitalismo europeo (vedi Alitalia). Confusione che contraddistinguerà sia PDL, sia PD, impegnati in una solidificazione del proprio essere politico verso la ricerca di una ulteriore stretta “bipartitica”. A questo proposito non ci saranno modifiche sensibili alla legge elettorale (che ha dimostrato di funzionare: il problema vero era quello dell'adattamento dell'offerta. In più era stato sottovalutato,perché nascosto dalla coperta delle coalizioni molto estese, il valore delle soglie di sbarramento. Al massima “la casta” concederà il ritorno al voto di preferenza). Piuttosto si rimetterà in moto il meccanismo di adattamento della regolazione del sistema politico attraverso una torsione presidenzialista di riforma della Costituzione. Questo, del presidenzialismo, sarà, sul piano della dinamica politica “pura” (tralasciando i temi dell'economia e del conflitto sociale) la prospettiva più ravvicinata che ci attende, oltre a quella del federalismo fiscale. E' ancora incerto il “come” arrivare a questo tipo di soluzioni: via parlamentare o nuova Bicamerale? Nell'attesa per la sinistra sbalzata fuori dal Parlamento ( e tra pochi giorni ci si renderà meglio conto del peso di questo fatto) sarebbe il caso di avviare una discussione molto diversa, da quella triste e inadeguata che stanno portando avanti i presunti “leader” delle correnti interne al partito della Rifondazione Comunista: un partito, mi permetto questa annotazione conclusiva,che è sempre stato del tutto inadeguato, sia sul piano culturale, sia sul piano politico, al compito storico che si era assegnato con la scissione di Rimini del 1991.
Savona , li 25 Aprile 2008
Franco Astengo
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