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IL PANE E LE ROSE - classe capitale e partito
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Primo Maggio 2008

Tempi difficili

(26 Aprile 2008)

La crisi economica mondiale che si sta manifestando attraverso la tempesta finanziaria del dollaro, i tracolli bancari causati dalle insolvenze dei mutui subprime e l’aumento vertiginoso del prezzo di tutte le materie prime, petrolio e prodotti agricoli in testa, è solo l’ultimo atto delle gravi difficoltà che il capitale incontra sempre più nella accanita spartizione delle quote di profitto prodotte su scala internazionale. Il “mondo libero” occidentale, da parte sua, ha reagito alla ennesima crisi capitalistica scaricandola come al solito sulle spalle dei lavoratori. Gli effetti di questa grave situazione infatti, non sono solo il crescente contrasto fra le varie potenze imperialistiche e il proliferare di guerre che interessano ormai ogni angolo del mondo, ma il persistente e profondo attacco alle condizioni di vita e di lavoro di tutti i salariati, la cui costante precarizzazione procede oggi in modo irreversibile.

I tagli ai posti di lavoro e le delocalizzazioni, la frantumazione contrattuale, i salari da fame e gli aumentati ritmi e orari di lavoro che caratterizzano oramai tutte le attività produttive e commerciali, continuano a preservare il sistema bancario ed aziendale, mentre al contempo precipitano in una massiccia concorrenza economica e lavorativa la classe operaia mondiale, che oggigiorno subisce passivamente questa situazione proprio perché ha purtroppo perso la coscienza politica della sua forza.

Nello specifico, la frantumazione contrattuale della forza lavoro porta alla attuale esasperazione della frammentazione e della divisione all’interno della classe lavoratrice (per categoria, per salario, per territorio, per razza, ecc.), rappresentando sempre più uno dei fattori necessari per la sopravvivenza e la conservazione del sistema capitalistico. Ad esempio, il fatto che nei paesi a capitalismo avanzato i salari di una parte dei lavoratori permettano loro l’acquisto di beni che vanno oltre la soddisfazione dei bisogni legati alla normale sussistenza, è il classico fumo illusorio che ha finora velato gli occhi e offuscato la mente della maggioranza del proletariato. Il conto dei salari deve essere invece fatto sull’intera classe operaia, per avere così una visione chiara del rapporto reale dello sfruttamento capitalistico. Non è quindi indicativo il salario del singolo lavoratore o di una parte garantita di essi, ma il salario medio erogato a tutti i lavoratori, compresi precari e sottopagati.

Oltretutto, il lavoratore moderno è da decenni ingozzato di prosperità statistica e di libertà commerciale, è abbagliato da merci varie e ruffiane, è viziato dalle mode e dai mille gusti. Ma è anche prigioniero del consumo a credito, e con questo sistema egli, illuso magari di essere partecipe del capitale d’azienda, non è più padrone, ma debitore del valore della sua casa e dell’arredamento di essa, della sua auto, dei suoi elettrodomestici. Praticamente è come lo schiavo, che era debitore del valore netto della sua persona, dopo nutrito.

Il sistema del credito, però, lega il lavoratore “ricattato” al suo luogo di lavoro, e di debito. Ed egli medesimo è vittima dell’odierna “miseria crescente”, che significa perdita di ogni riserva economica. Ovvero, i pochissimi proletari sdebitati sono a riserva zero, mentre quelli indebitati (ossia la maggioranza!) hanno una riserva negativa: devono pagare una forte somma a rate mensili per potersene andare nudi dove vogliano.

Quale il fosco futuro allora per i proletari, lavoratori-consumatori vittime del mercato, di fronte alla crisi economica che porta alle stelle il costo della vita, taglia drasticamente il loro potere d’acquisto e acuisce l’offensiva padronale contro le loro condizioni lavorative?

Proletari!

L’attacco al vostro salario, al lavoro e alla sua sicurezza, alla vostra salute e alle vostre pensioni, prosegue indisturbato, e nulla cambia neppure in Italia, nonostante l’avvicendarsi dei governi sostenuti tutti indistintamente da una organizzazione ideologica e politica fatta di menzogne, di rincretinimenti mediatici, di onnipresenti manovre clericali e di interessi gestiti nella segretezza da manager e politicanti per l’ovvio mantenimento dello stato di cose presente. Il potere di classe del capitale e del profitto resta sempre, e la borghesia dirige e controlla partiti, sindacati e istituzioni in funzione proprio di questo potere.

Ciò dovrebbe bastare per mettere fine alle vostre illusioni e “speranze”, che vi fanno ancora sostenere il democratico carrozzone elettorale ed istituzionale, che vi fanno convinti del presunto “diritto di scegliere” da quale bandito farvi governare, come se i supposti “interessi del Paese e della collettività” non fossero da sempre coincidenti con gli interessi del capitale e con i profitti dell’economia nazionale. Voi operai, voi lavoratori tutti non avete “governi amici”, non avete sindacati di classe autonomi che vi rappresentano, ma avete oggi e domani la necessità di organizzarvi e di lottare per difendere realmente le vostre condizioni di vita e di lavoro. Di sicuro l’obbiettivo condiviso di tutti i governi e relative cricche politiche e sindacali è stato sempre quello di colpire e deviare il movimento dei lavoratori, che nel corso di questi ultimi secoli è stata l’unica forza che, chiedendo una rivoluzione dei rapporti di proprietà ha rivendicato in modo scientifico un modo di produzione alternativo a quello attuale. Oggi i rapporti di forza tra proletariato e capitale sono estremamente sfavorevoli, e quello che emerge è un comando spietato del capitale che tenta in tutti i modi di annullare qualsiasi opposizione. Molte lotte nel mondo però lasciano emergere con chiarezza le falle della distruttività sociale, energetica e climatica di questo sistema di produzione, falle e contraddizioni che determineranno nel tempo una svolta epocale.

La resistenza contro il peggioramento della vostra situazione economica e lavorativa non può che passare attraverso la spaccatura e le contraddizioni che vi sono fra gli interessi del lavoro e quelli del capitale: salario contro profitto, lavoratori contro padroni, questo è l’antagonismo reale! A tal proposito, la rivendicazione di forti aumenti salariali e di riduzione della giornata lavorativa per mezzo dell’arma dello sciopero improvviso e ad oltranza, senza divisioni di sorta, è l’unico collante per affasciare ed organizzare tutti i proletari in una comune lotta generalizzata e sempre più necessaria. Questa è e rimane l’unica via, l’unica vostra azione diretta per cercare di contrastare la volontà del padronato, dei suoi referenti di governo, delle sue marionette politiche e sindacali, la cui decantata concertazione non può che approdare alla famigerata riforma del sistema contrattuale, riducendo i contratti nazionali al puro recupero dell’inflazione statistica e non reale, duplicandone la durata (da due a quattro anni), rafforzando il secondo livello di contrattazione e collegando sempre più gli aumenti salariali alla crescita della produttività. Mentre passa l’idea che se i salari sono troppo bassi bisogna defiscalizzare gli straordinari per far lavorare così più ore voi lavoratori, già si scopre un pianificato ed ulteriore aumento dello sfruttamento capitalistico del lavoro salariato. Il che significa: progressivo ritorno al salario a cottimo, incremento dei ritmi e degli orari lavorativi, conseguente crescita degli infortuni… Se per i padroni questo non è il Paese dei Balocchi, poco ci manca!

Proletari, compagni!

I sindacati che ci invitano a “festeggiare” il Primo Maggio con il concertone di Roma o con le passeggiate rituali per le città, non ci vuole di certo in piazza o fuori dai cancelli delle aziende a lottare per i nostri interessi di classe e in difesa delle nostre stesse condizioni di vita e di lavoro. Ci hanno già chiesto di accettare senza colpo ferire i “tempi difficili” ed i sacrifici per la salvaguardia dell’economia nazionale. Come se per i lavoratori ci siano mai stati “tempi buoni”; ci hanno chiesto di condividere le imprese di guerra dell’italico capitalismo straccione, sempre alla ricerca di “un posto al sole” fra le potenze imperialiste mondiali, con il finanziamento delle missioni militari in Libano e Afghanistan e con la concessione all’ampliamento delle basi militari. Chi fa questo, chi vuole continuare a “festeggiare” il Primo Maggio tra sventolii di bandiere tricolori, concerti e messe di benedizione, lo fa a suggello di una vittoria consolidata su noi lavoratori, a difesa del sistema capitalistico, del suo sfruttamento e dei suoi omicidi nei luoghi di lavoro, dei suoi Stati armati e delle sue costituzioni, delle sue violenze e delle sue guerre.

Che il Primo Maggio torni ad essere una giornata di lotta e non una festività “pagata” dai padroni!

Partito Comunista Internazionale, Schio (VI)

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