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Sasà Bentivegna, Partigiano

Sasà Bentivegna, Partigiano

(3 Aprile 2012) Enzo Apicella
E' morto ieri a Roma Rosario Bentivegna, che nel 1944 prese parte all’azione di via Rasella contro il Battaglione delle SS Bozen.

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No al razzismo, ora e sempre resistenza

(26 Aprile 2008)

Ogni anno festeggiamo il 25 aprile ricordando la lotta di liberazione dall'occupazione tedesca. Ricordare quella liberazione significa ricordare migliaia di partigiani che combatterono a prezzo della propria vita e di enormi sacrifici.

La lotta dei partigiani non fu condotta solo contro l'occupazione nazi-fascista, ma fu combattuta in primo luogo per un futuro diverso, per la costruzione di una società di liberi e di eguali in cui poter decidere cosa produrre, come produrre e per chi produrre. Uomini e donne lottarono per una società nuova, libera da ogni ingiustizia e da ogni sfruttamento. Combatterono perché le macellerie come la prima e la seconda guerra mondiale fossero spazzate via per sempre dalla storia.

Ma il senso di quella lotta fu cancellato il giorno dopo la liberazione. All'occupazione tedesca si sostituì l'occupazione militare, politica e culturale della "liberatrice" Nord-America. Coloro che dovevano essere "emarginati" definitivamente, e cioè i fascisti, continuarono ad imperversare ad ogni livello (organi dello Stato, forze del cosiddetto "ordine"), mentre lo Stato continuò a colpire e perseguitare coloro che avevano liberato questo paese.

Questo era ciò che voleva il capitalismo, e questo fu.

Di quell'antifascismo militante oggi rimane solo una tragica parodia, buona per le parate istituzionali, e funzionale ad una identità nazionale resa insopportabile dalla retorica nazionalista dei presidenti partigiani di turno (da Ciampi a Napolitano). Una retorica usata per giustificare da un lato il continuo attacco alle condizioni di vita e di lavoro del popolo italiano e, dall'altro, le decine di missioni di occupazione-aggressione militare che lo Stato italiano continua a sviluppare a 360 gradi (Libano, Afghanistan, Iraq, Palestina, Yugoslavia...), con il conseguente massacro di civili e le contaminazioni ambientali a base di uranio impoverito e fosforo bianco che, nei decenni, daranno luogo a centinaia di morti innocenti.

E' chiaro che quello che muove i "nostri ragazzi" in giro per il mondo sono gli interessi, principalmente economici, che l'Italia spera di mantenere o incrementare, fungendo da zerbino delle forze occupanti. Non si spiegherebbe altrimenti come mai l'Italia, ad esempio, a inizio 2008 si sia precipitata a riconoscere, per voce dell'allora ministro degli Esteri D'Alema, la secessione unilaterale del Kosovo, sostenuto da quelle forze che, solo pochi anni prima, lo avevano chiamato "assassino" nelle tende per la pace. Chiaramente si è trattato di una secessione voluta e imposta dagli USA per contrastare la crescente influenza russa in quella zona. E l'Italia si è mostrata ancora una volta prona dinanzi ai diktat americani, come già avvenuto nella vicenda relativa all'ampliamento della base Usa di Vicenza.

Oggi, chi resiste nei paesi invasi dalle truppe di occupazione è definito terrorista. Ieri, chi combatteva contro la barbarie nazi-fascista era definito bandito. Per questo oggi più che mai sosteniamo tutte le resistenze che in giro per il mondo, dall'America Latina al Medio Oriente, combattono anche al prezzo delle propria vita, come fecero i nostri partigiani per cacciare l'invasore. Sosteniamo i nostri fratelli palestinesi, e in particolare quelli che a Gaza, resistendo ad un vero e proprio genocidio, si sono schierati dalla parte della resistenza.

Certo la fase storica che viviamo è molto preoccupante.

Esiste una cultura generale che sarebbe meglio definire sub-cultura reazionaria, retrograda e medievale. Non vogliamo e non possiamo sottovalutare il problema posto dalla presenza e dalla crescita di formazioni razziste e xenofobe (come Forza Nuova). Tutt'altro. Ma esiste qualcosa di ancora più profondo.

Oggi per noi, che mai abbiamo abbandonato gli ideali della Resistenza italiana, che mai come altri hanno avallato (come l'ANPI) il bombardamento dell'ex Yugoslavia, dichiararsi antifascisti significa lottare contro questa sub cultura che prende di mira in particolare gli immigrati, imponendo loro condizioni di lavoro che abbassano allo stesso tempo il valore della forza lavoro degli italiani, e ciò grazie all'affermarsi di quella precarietà del lavoro voluta dalla cosiddetta sinistra-sindacato di regime, e meglio articolata dalla destra. E ciò facendo pagare ai lavoratori, tra l'altro, un prezzo altissimo in termini di vite umane sui posti di lavoro. Per questo oggi è necessario continuare a lavorare all'unità di classe fra lavoratori immigrati e italiani. Solo così si potrà ottenere un reale avanzamento dei diritti e della dignità per tutti i lavoratori.

Le condizioni in cui vivono gli immigrati nel nostro paese sono molte dure. Basta pensare ai permessi di soggiorno (una vera e propria arma di ricatto) e, soprattutto, ai lager dei CPT, voluti e riconfermati dalla cosiddetta "sinistra". Del resto tutti sanno che "l'immigrazione irregolare" rappresenta una panacea per i profitti dei padroni italiani, che possono disporre di un potente esercito di riserva in grado di fornire forza lavoro a bassissimo prezzo, e senza la garanzia dei diritti.

Del resto l'espressione "immigrazione irregolare" è stata coniata dall'imperialismo per tranquillizzare i "buoni cittadini", e ciò coniando due termini. Il primo è "emigrazione", che si riferisce a un diritto fondamentale, e il secondo è "illegale", termine che pretende di ostacolare quel diritto.

Per questo abbiamo sempre sostenuto che nessun proletario è illegale. Illegale è chi costringe milioni di uomini e donne a condizioni miserevoli di lavoro, rubando la parte migliore della loro vita.

Per questo saremo sempre contro ogni forma di razzismo.

Per questo saremo sempre contro il capitalismo.

Oggi molti "piangono" la scomparsa dal parlamento delle forze cosiddette "comuniste". Ma se negli ultimi trenta anni abbiamo assistito a un continuo regresso delle nostre condizioni di vita (a botte di controriforme) che hanno portato il salario dei lavoratori italiani agli ultimi posti in Europa, a fronte di un incremento spropositato di produttività, queste forze una "qualche" responsabilità l'avranno pure avuta! O serve ricordare il ruolo che quelle forze hanno rivestito di fronte alle guerre di aggressione imperialiste, alla moneta unica dell'Europa di Maastricht, all'attacco al diritto di sciopero, al pacchetto Treu, allo scippo del TFR, alla controriforma delle pensioni del governo Dini e, infine, all'ultimo vergognoso accordo e referendum sul welfare?

Esiste in realtà, da tempo, un unico polo capitalistico antipopolare. Dentro le istituzioni che sono espressione di quel polo i lavoratori, i giovani e gli immigrati non hanno e non troveranno amici.

Rifiutiamo sia l'antifascismo di facciata, come gli appelli elettorali a chi si richiama ancora ai valori fondanti dell'antifascismo, sia qualsiasi sorta di pacifismo opportunista.

Dobbiamo smettere di delegare a chiunque il nostro destino.

Dobbiamo lottare per contrastare questa sotto cultura. Dobbiamo impedire lo sviluppo in senso reazionario delle tensioni che esprimono le masse popolari e i giovani.

Non sarà facile. Ma non esiste un'altra strada.
"Solo la lotta coerente per la trasformazione rivoluzionaria dell'esistente saprà offrire a tanti giovani la scelta giusta". Così come volevano i nostri partigiani.

25 aprile 2008

Laboratorio Marxista Toscana del Nord
Compagne e compagni veneti per un'organizzazione politica marxista

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