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Argentina: La «spontaneità» delle masse

Non si può ignorare un decennio di lotte dei piqueteros
di Jorge Altamira (da «Prensa Obrera» n. 375)

(9 Febbraio 2002)

Con un certo anticipo rispetto alle giornate rivoluzionarie del 19 e del 20 passato, si è sviluppata una lotta ideologica più agguerrita, sotto un certo punto di vista, di quella che si è avuta materialmente dall'Obelisco alla Casa Rosada [residenza del Presidente della Repubblica argentina ndr].

Appena comparvero le prime «proteste delle casseruole» [«cacerolazos»] nelle vie commerciali di alcuni quartieri, i mezzi di comunicazione e, ovviamente, numerosi progressisti e membri della sinistra, cominciarono a raccontare la storiella secondo la quale queste proteste delle casseruole erano manifestazioni «spontanee» e, ovviamente, «pacifiche».

La cosa curiosa in tutto ciò è che gli assalti ai supermercati - che già in quel momento avvenivano a Entre Rios e a Mendoza - non meritavano la stessa caratterizzazione, indipendentemente dal fatto che fossero spontanei in misura assai maggiore rispetto delle proteste delle casseruole. Dopo tutto, queste ultime erano state convocate in più di un'occasione dalle associazioni dei commercianti.

La «spontaneità» attribuita alle proteste delle casseruole, nascondeva il fatto che esse avevano cominciato ad attaccare la proprietà privata dei grandi gruppi commerciali, come per esempio Masimundo, o delle grandi farmacie con modalità simili a quelle con cui le masse affamate assaltavano i supermercati.

La tesi della «spontaneità» del movimento popolare ha raggiunto il delirio di fronte alla mobilitazione che iniziò tra le 10 e le 11 di notte di mercoledì 19 e terminò, provvisoriamente, all'alba. Il punto di vista più rozzo attribuisce alla «spontaneità» le azioni di massa che non appaiono ispirate o promosse da una tendenza politica riconosciuta.

Dietro l'aureola anarchica o liberale di quest'impostazione si nasconde lo stalinismo più puro giacché, da un lato, identifica l'azione cosciente con la presenza decisiva di un apparato e, dall'altro, considera l'azione creativa delle moltitudini e delle masse (creativa perché, per esempio, sconfigge uno stato d'assedio e rovescia un governo) come fenomeno senza punti di riferimenti ideali, non preceduto da una riflessione politica.

E' evidente che i sostenitori della «spontaneità» vogliono idolatrare le masse per meglio sfruttarle politicamente, ma in realtà non fanno nient'altro che denigrarle. La sommossa popolare del 19 e del 20 è stata la meno «spontanea» della storia argentina, fatta eccezione per la «settimana tragica» del 1919, e si trova su di un piano relativamente simile all'insurrezione operaia del 1959 contro Frondizi e al Cordobazo del maggio 1969.

Gli avvenimenti del 1919 furono preparati da quasi un quarto di secolo di lotte e di scioperi generali del movimento operaio ed anarchico; quelle del 1959 dai grandi scioperi del 1956/57, dallo sciopero nel settore petrolifero e dalla lotta per l'insegnamento laico del 1958.

Il Cordobazo fu preceduto dagli scioperi dei grafici e degli operai del settore petrolifero del 1968, dalla sommossa di Cordoba del giugno di quell'anno (Pampillon) e dagli scioperi dei metallurgici e dei trasporti agli inizi del 1969.

Storia e memoria

La sommossa popolare del 19 e del 20 dicembre scorso è stata preparata più di tutte quelle che l'hanno preceduta, poiché è stata la conseguenza di oltre un decennio di scioperi e di mobilitazioni per i diritti umani e contro il «grilletto facile»; è stata soprattutto il risultato del movimento piquetero e di blocchi stradali più importante di tutta la storia argentina e di ogni altro paese del mondo; è stata un General Mosconi e Tartagal (importante ondata di lotte piquetere del giugno 2001) estesa su scala nazionale.

Solamente alla fine di questo lungo periodo di preparazione sistematica e metodica, una parte della classe media della capitale che non era intervenuta nelle lotte precedenti si è convertita in «piquetera» (picchettatrice). Molto prima, anche se con caratteristiche contraddittorie, era entrata in azione la classe media di buona parte del paese: quella del «Santiaguenazo», i commercianti nel «Cutralcazo», i portegni durante il black-out del 1998, i medi produttori frutticoli del Rio Negro, le donne contadine nei «tractorazos» nella Pampa humeda; la mobilitazione degli insegnanti di Cordoba nel 1998, nelle proteste delle casseruole «frepasiste» contro Yabran; nelle partecipazioni di massa della classe media, in particolare della capitale, agli scioperi generali degli ultimi due anni, e in primo luogo a quello del novembre 2000 quando ci fu il grande blocco stradale piquetero a La Matanza.

Le tendenze «sovversive» del popolo si manifestarono perfino durante le nozze della figlia di Cavallo, e furono fomentate nientedimeno che da Jorge Lanata. Non sono forse l'espressione di tutta una preparazione dell'insurrezione popolare, le recenti mobilitazioni di solidarietà con la lotta delle Aerolineas, i blocchi delle piste degli aeroporti, i blocchi delle strade nella capitale in occasione delle inondazioni a Belgrano e a Villa Crespo, i picchetti nella provincia di Buenos Aires, in particolare Pehuajo, motivati dal disprezzo delle autorità di fronte alle inondazioni che avevano colpito i centri urbani, lo sviluppo straordinario del movimento piquetero nella città di Buenos Aires, le sue ripercussioni alle elezioni e la formazione del Polo Obrero portegno, per impulso del gruppo consiliare del Partido Obrero? /// Si può per caso affermare che una manifestazione sia «spontanea» quando è autoconvocata, in un paese dove l'autoconvocazione è sempre stata la parola d'ordine dei partiti e delle tendenze sindacali rivoluzionarie per affrontare gli apparati della burocrazia e dello Stato? La parola d'ordine dell'assemblea popolare e dell'assemblea costituente, ossia le parole d'ordine della democrazia più conseguente e dei metodi di lotta più radicali, non sono nati «spontaneamente» sotto nessun cavolo, ma sono stati l'espressione politica più diretta dei partiti di lotta ed in primo luogo del Partido Obrero.

Le giornate che abbiamo alle spalle non solo sono state una rivoluzione popolare: la classe sociale che tra tutte ha giocato un ruolo dirigente è stata la classe operaia. In primo luogo, perché il movimento dei piqueteros è diretto da delegati storici della classe operaia oggi disoccupati, i quali però rappresentano la continuità storica del movimento operaio combattivo dell'Argentina. In secondo luogo perché ci sono state le occupazioni della Telecom e la lotta della Telefonica, il recente sciopero del personale tecnico delle Aerolineas, l'occupazione di Zanon, gli scioperi e i blocchi delle ferrovie e della Fraternidad, l'occupazione d'Emfer, gli scioperi di San Sebastian e Aceros Bragado, e soprattutto la sommossa popolare degli ex operai del settore petrolifero e gli operai delle costruzioni di Generale Mosconi e di Tartagal, e prima ancora gli scioperi delle industrie del pesce di Mar del Plata, senza dimenticare il grande sciopero di Suteba di pochi mesi fa contro il «pataconazo» e quello degli impiegati statali e municipali di numerose province: queste sono state le forze motrici culminate con l'insurrezione popolare della settimana scorsa.

Quest'ondata di lotte operaie rappresenta l'inizio di una nuova ascesa dall'epoca degli scioperi che fecero sbaraccare Cavallo nel 1996. Da ultimo, non dimentichiamo la natura politica di tutte queste lotte. Contro De La Sota, in occasione delle privatizzazioni d'Epec e del Banco de Cordoba, e contro il pagamento del salario in buoni. Contro Sobisch, contro la serrata di Zanon e il pagamento in buoni; oltre ad innumerevoli altre lotte, come quella contro i tagli di Centenario o lo sciopero nell'ospedale pubblico. Contro Ruckauf, contro intendenti come Di Dio o Aprile, o quello di Salta, o Ibarra, o quelli di Romero a Mosconi e Tartagal. E' stata una lotta non solo contro il governo nazionale, ma contro tutto il regime politico. Questa è stata la scuola che ha preparato il 19 e il 20 dicembre

Parole d'ordine e politica

Come si può dire che la caratteristica principale di un'insurrezione che ha lanciato la parola d'ordine decisiva «Fuera Della Rúa-Cavallo», fosse la «spontaneità»? Una parola d'ordine che non ha solo una base ma anche tutta una storia.

Lanciata per la prima volta dal Partido Obrero nel 2000, ha avuto un percorso tormentato, è stata adottata ufficialmente dall'Assemblea nazionale dei piqueteros del giugno 2001 e trasformata nella parola d'ordine centrale del fronte dei partiti della sinistra che cominciò ad operare nel passato mese di novembre.

Nel caso ci fosse ancora qualche dubbio sul significato di questa parola d'ordine, ricordiamo semplicemente che 48 ore prima della sommossa popolare di una settimana fa, l'ala della Cta nell'assemblea dei piqueteros chiese che la parola d'ordine fosse ridotta alla sola richiesta «Fuera Cavallo», proprio «la carta salvatrice» che molti chiedevano a De la Rúa nelle sue ultime ore.

Quando questa proposta fu respinta, il settore della Cta non partecipò alla mobilitazione del 20 dicembre dal Congresso a Plaza de Mayo. Come ignorare poi, nel momento in cui si giudica la coscienza dei protagonisti dell'insurrezione popolare, i risultati delle ultime elezioni politiche che «Prensa Obrera» sintetizzò col titolo profetico «Non è che l'inizio»? Gli «spontaneisti» rivendicano a loro pro i milioni di votanti che hanno lasciato la scheda in bianco.

Ma il voto in bianco non è servito a nulla, né è stato usato per spodestare il duo De la Rúa-Cavallo. Chi ha votato scheda bianca ha dovuto fare l'esperienza della sterilità della protesta senza contenuto che si limita all'urna elettorale e arrivare alla conclusione che dovevano passare all'azione diretta o, più precisamente, rivoluzionaria.

Se sono stati «spontaneisti» in ottobre, in dicembre non lo erano già più, mentre si scagliavano non contro la politica ma contro il potere politico, facendo propria la parola d'ordine centrale della sinistra rivoluzionaria nelle elezioni di due mesi fa. La crescita elettorale della sinistra e del PO ha anticipato politicamente e in modo cosciente gli avvenimenti che stavano maturando.

L'educazione della classe media

Tra tutte le manifestazioni della lotta popolare di mercoledì 19 dicembre, il «cacerolazo» a Plaza de Mayo, verso la mezzanotte, ha avuto un significato straordinario e persino unico, ma per ragioni esattamente opposte a quelle che pensano gli «spontaneisti»: non per la sua spontaneità ma per la sua coscienza.

Il problema politico essenziale di quel mercoledì, che era stato acutamente segnalato in prima pagina dal numero precedente di «Prensa Obrera» (preparata prima del cacerolazo di mezzanotte), si riduceva essenzialmente alla questione di come avrebbe reagito la classe media, specialmente i piccoli proprietari, di fronte all'ondata di assalti ai supermercati che proprio quel giorno era cominciata.

Esisteva la possibilità, per esempio, che la piccola borghesia abbandonasse la lotta contro il governo per far fronte all'azione degli affamati. E' proprio ciò che deve aver pensato De la Rúa quella notte proclamando lo stato d'assedio - uno stato d'assedio pensato contro il popolo che andava nei supermercati, non contro la classe media portegna! De la Rúa aveva progettato lo stato d'assedio per guadagnarsi la classe media contro i proletari.

Evidentemente si era sbagliato. Ma in che cosa si era sbagliato? Nel non accorgersi che, come andava dicendo il Partido Obrero, la classe media portegna era già diventata piquetera da alcuni giorni, da alcune settimane e perfino da alcuni mesi. Era già piquetera nel pomeriggio del 19, quando iniziò con rabbia il cacelorazo, mentre in periferia si assaltavano i supermercati. A partire da questo sviluppo - ed ogni sviluppo consiste precisamente in una crescita dalla non coscienza alla coscienza - la piccola borghesia urbana, premette il grilletto della rivoluzione perché, lungi dall'unirsi al governo contro i proletari, uscì per le strade e con questo ratificò politicamente ciò che era stato fatto dai proletari durante tutta quella giornata, ossia si unì ai proletari contro il governo dei banchieri.

Lo stato d'assedio che doveva servire per seppellire i più sfruttati con l'aiuto della piccola borghesia, si convertì nella tomba del potere ufficiale giacché saldò l'unità della piccola borghesia con i settori più umiliati del paese. La piccola borghesia della Città autonoma non agì in forma «spontanea» ma rivoluzionaria; invece di lasciarsi trasportare dalla sua «istintiva» paura nei confronti degli assalti ai supermercati, si orientò con in modo cosciente: la continuità del governo fondo-monetarista era la vera minaccia mortale contro tutto il popolo che vive e muore del suo lavoro.

L'idea della spontaneità può venire in mente (effettivamente è l'unica cosa che possono concepire) a coloro che sono stati sorpresi dall'insurrezione popolare, che poi sono quelli che hanno alimentato la «consulta popolare» del Trenapo e coloro che vi hanno partecipato, perché si aspettavano non un'insurrezione popolare ma un'«autodeterminazione» popolare tramite le urne. Non a caso la critica maggiore del nostro partito a questa «consulta» ha preso di mira il suo carattere di «diversivo», la sua totale mancanza di attinenza con la situazione politica, caratterizzata dallo sviluppo della ribellione popolare.

Coloro che non sono stati in grado di prevedere gli avvenimenti né tanto meno di prepararli, coloro che sono stati colti di sorpresa, sono coloro che oggi pontificano con naturalezza e ignoranza di «spontaneità» delle masse. Il significato ideologico della «operazione spontaneità» è molto chiaro: sottrarre all'insurrezione popolare la sua storia, privarla di contenuto, nascondere la sua intima relazione con un processo storico di decomposizione del capitalismo, di decomposizione dei grandi partiti borghesi popolari dell'Argentina e di crescita della lotta e della maturità degli sfruttati di fronte a questo processo storico; dell'intimo legame dell'insurrezione popolare con la lotta degli operai senza lavoro - i piqueteros -, del ruolo educativo, di preparazione, di organizzazione e di orientamento dei partiti politici combattivi e in definitiva, del Partido Obrero.

Classe, partito e direzione

Non si può parlare dell'esperienza e dell'azione delle classi durante un processo storico senza fare riferimento ai partiti, e in special modo a quelli rivoluzionari. Questi partiti sono laboratorio e lievito dell'esperienza popolare; nessuna classe sociale ha mai giocato un ruolo fondamentale senza aver prima stabilito un determinato metabolismo politico con i partiti che si costituiscono e sviluppano come conseguenza di tutta l'esperienza storica di una società; un metabolismo fatto di identità, che a volte sfocia in idolatria, e di contraddizioni, che in certi casi si esprimono in grandi malintesi.

La settimana scorsa la classe media della capitale non ha partorito la storia dal niente; si è fatta parte della storia. Una parte di questa classe media è entrata per ultima in una lotta che dura almeno da un decennio, e mercoledì e giovedì scorsi ha avuto il suo battesimo; non un battesimo «spontaneo» ma un battesimo di fuoco. Benvenuta.

Per gli «spontaneisti» la rivoluzione del 19 e del 20 dicembre è sorta da una terra incolta, non concimata. Invece, persino il prezzo in vite umane che hanno pagato i compagni motociclisti giovedì pomeriggio non si spiega con la «spontaneità» ma con la storia. Già da molti mesi i ragazzi che lavorano in motocicletta erano diventati un'avanguardia della lotta contro la flessibilità del lavoro e soprattutto contro la complicità del governo frepasista portegno con la polizia, che ostacola e reprime in mille modi la loro attività e la ricerca di un lavoro. Con la lotta per il proprio sindacato, sono diventati il settore più agguerrito della gioventù sfruttata.

Tutto questo hanno fatto vedere giovedì scorso, quando si sono distinti come i più combattivi! «Spontaneità?» Balle! Lo Stato ha concentrato una repressione pianificata, non «spontanea» contro di loro. E loro hanno dimostrato il grado più elevato della coscienza di classe, cioè spirito di lotta e di organizzazione.

Inoltre, la giornata del 20 si divide in due parti: quella decisiva è stata la seconda. Da mezzogiorno del 20 c'è stata una lotta fisica, organizzata e tenace contro la repressione della polizia e dei suoi corpi speciali. Questa lotta non è stata da nessun punto di vista «spontanea». Per un verso, è stata il risultato di una lunghissima esperienza di lotta contro la polizia; il Consiglio della Città autonoma di Buenos Aires è arrivato a votare un ordine del giorno che proclama «giornata di lotta contro la violenza della polizia» l'anniversario dell'assassinio di Bulacio.

Ma anche una lotta per occupare Plaza de Mayo, ossia una lotta contro il potere dello Stato, una delle forme più elevate di lotta cosciente. Nel pomeriggio del giorno 20 iniziò la guerriglia di strada che ricorda il combattimento del 30 marzo 1982 quando 50.000 operai affrontarono la polizia di Galtieri. E questo sarebbe un popolo senza storia? Gli spezzoni dei partiti della sinistra erano lì presenti chi più, chi menoS Quando i «postmodernisti» credevano di aver definitivamente seppellito la presa della Bastiglia, la decapitazione da parte del popolo londinese di Carlo I (1640), l'insurrezione di Shanghai del 1927 e la presa del Palazzo d'Inverno, quando avevano certificato la morte della classe operaia e dell'insurrezione, i «pazzi di Buenos Aires» sono tornati a far diventare reale ciò che non aveva mai smesso di essere razionale, ovvero il fatto che la lotta di classe porta alla rivoluzione.

I «fattori soggettivi» abbondano

Sui giornali della sinistra e dei trotskisti all'estero c'è, anche se più scusabile, una confusione affine a quella dei nostri «spontaneisti»: si lamenta (fatto un po' rituale nella sinistra straniera che si rispetti) della mancanza nella rivoluzione argentina del «fattore soggettivo».

La storia delle lotte e dei partiti negli ultimi decenni dimostrano piuttosto il contrario. Si potrebbe perfino affermare che i «fattori soggettivi» abbondano. Non si sarebbe arrivati alle giornate rivoluzionarie del 19 e del 20 senza il costante sviluppo dei diversi fattori soggettivi e senza il ruolo del Partido Obrero.

La stessa cosa era successa nel processo che portò al Cordobazo. Il fattore soggettivo non manca; la storia sta mettendo alla prova i partiti che vogliono indossare queste vesti. I fattori soggettivi della rivoluzione non esistono né si sviluppano indipendentemente da questi, e questi a loro volta dipendono tanto da fattori nazionali che internazionali, ossia dalla rivoluzione mondiale più in generale.

Esiste, di nuovo, un metabolismo tra la rivoluzione ed i suoi fattori soggettivi; l'incapacità di analizzarlo non autorizza ad affermare che quei fattori soggettivi e lo stesso partito rivoluzionario non esistano. Da ciò, ossia dalla coscienza organizzata in partito, dipende, in ultima analisi, la vittoria della rivoluzione.

Coloro i quali rinnegano la storia dell'insurrezione popolare (ciò che fa la «spontaneità») si proclamano logicamente difensori della posizione «antipolitica» (o «apolitica»). Il carattere reazionario di questa posizione salta subito agli occhi perché essa mette sullo stesso piano i politici che hanno preparato e organizzato le grandi lotte che hanno condotto all'insurrezione popolare e che l'hanno sostenuta e difesa nelle strade, con i «politici» che hanno difeso lo Stato durante tutto questo periodo di lotte e che giovedì 20 dicembre hanno cospirato contro il popolo per preparare il riscatto lo Stato capitalista.

Ma il crimine politico dell'atteggiamento «antipolitico» è addirittura maggiore di quello descritto. Questa posizione cerca di nascondere l'esatto significato politico della caduta dei politici tradizionali, cioè che si tratta della caduta dei partiti popolari storici della borghesia, della caduta del nazionalismo borghese. Diluire la bancarotta del nazionalismo borghese nel concetto generico di politica, aiuta il tentativo di Rodriguez Saá e dei suoi di presentarsi come i fautori del risorgimento del peronismo del '45; un tentativo truce e demagogico, giacché quel nazionalismo borghese ha già dimostrato le sue possibilità storiche nei dieci anni di governo di Menem e nei due anni di appoggio all'Alleanza (per non parlare del fallimento con cui si concluse il ritorno di Peron nel 1972 e della collaborazione del vertice peronista con la dittatura militare).

E' una mera coincidenza che il neo presidente abbia ricevuto i suoi primi appoggi dalle madri della Plaza de Mayo e dalla Ccc (coordinadora combattiva e classista, maoisti, ndr), da sempre «antipolitici» e per la scheda bianca? Negando importanza al nazionalismo borghese, diluito nella cornice astratta della «politica», gli «antipolitici» ripudiano l'unica alternativa storica di contenuto progressista al crollo del nazionalismo: la prospettiva della rivoluzione socialista e della dittatura del proletariato.

Che cosa dicono al popolo gli «spontaneisti» ora che Rodriguez Saá e perfino i più squalificati elementi del peronismo si travestono da antimperialisti, cianciano di non pagare il debito estero, di ripristinare il salario minimo, di creare un milione di posti di lavoro, cioè quando sembrano (tirar lastre) sotto la pressione delle masse insorte? Sarà sufficiente continuare ad attaccare i «politici», quando i politici del regime danno l'impressione di raccogliere le bandiere del popolo? La fiaccola della spontaneità e dell'antipolitica è già virtualmente spenta prima ancora che si asciughino il sudore ed il sangue del popolo insorto. Alle manovre disperate del nazionalismo borghese, appoggiato da un'ala del sistema bancario imperialista e dalla grande industria, è necessario opporre un programma; non è sufficiente reclamare «l'autodeterminazione popolare»; questo programma si deve appoggiare su un'organizzazione. Occorre cioè dare una direzione operaia cosciente all'insurrezione popolare.

I compiti

Chiamiamo i rivoluzionari delle ultime giornate a battersi per la convocazione dell'Assemblea nazionale dei piqueteros, degli operai occupati e disoccupati; per la cancellazione del debito estero; per la nazionalizzazione del sistema bancario e per il controllo operaio; per promuovere assemblee popolari in tutti i quartieri e in tutte le province, per organizzare la distribuzione dei generi alimentari e contrastare la disorganizzazione economica causata dal governo e acuita dai capitalisti; per promuovere una mobilitazione nazionale per farla finita con questo regime e sostituirlo con un'Assemblea costituente a livello nazionale e provinciale.

Il congresso che ha eletto Rodriguez Saá, ha accettato di defenestrare De la Rúa e di indire nuove elezioni nel tentativo di salvare il regime nel suo complesso: il regime dei banchieri, del Fmi, dei governatori, dei consiglieri provinciali. E' una soluzione conservatrice ed antinazionale. La demagogia di Rodriguez Saá, di fronte all'enormità del fallimento capitalista, è senza limiti.

Viva la lotta operaia e popolare.
Per un governo di lavoratori.

Fonte

  • (da «Prensa Obrera» n. 375)

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