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(14 Novembre 2010) Enzo Apicella

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Qualche spunto sulle elezioni politiche dell’aprile 2008

(27 Aprile 2008)

I risultati li sappiamo tutti:
Un’astensionismo cresciuto di circa il 3% rispetto alle precedenti politiche (l’80% degli aventi diritto sono andati a votare…)
Una vittoria netta del partito di Berlusconi (PDL, Lega,…) di oltre dieci punti percentuali sul partito di Veltroni.
L’eliminazione dal parlamento di tutti i piccoli partiti, tranne quello di Casini che ce la fa per mezzo punto a superare lo sbarramento del 5%; e il partito di Di Pietro che “inaspettatamente” supera lo sbarramento.
Una batosta sonora, anche oltre le nostre (e loro) “nere” previsioni, all’Arcobaleno; Questo infatti che sulla carta, oltre al 6% di rifondazione, avrebbe dovuto raccogliere almeno un altro 3-4% dalle altre componenti, raggiungendo nel complesso un 9-10%. In tutto ottiene invece appena il 3%, perdendo tutti i parlamentari e buona parte dei finanziamenti pubblici.
Una Lega che nel Nord si attesta mediamente intorno al 20% e forse più, soprattutto col contributo di Lombardia a Veneto, ottenendo in alcune piccole o medie città (es. Bergamo, Verona…) oltre il 30%, fino al 35%, piazzandosi, in alcune di esse, addirittura al primo posto, superando lo stesso Pdl.

Il dato principale dell’esito elettorale, già inscritto nelle modalità con cui i poteri forti ed i principali partiti avevano preparato il terreno, è sicuramente la “semplificazione” del quadro partitico parlamentare. Avevamo già anticipato che la martellante campagna sui costi della politica e sulla sua inefficacia, piuttosto che sfociare in una diffusa antipolitica, intesa come distacco dalle istituzioni, avrebbe prodotto una maggiore centralizzazione del potere politico ed un ulteriore distacco della rappresentanza parlamentare da un legame diretto con i propri elettori. Il risultato elettorale, con l’affermazione di un sostanziale bipolarismo e solo 5 partiti presenti in parlamento, rappresenta solo un passaggio nella direzione di un definitivo bipartitismo e di una ulteriore blindatura istituzionale finalizzata all’affermazione di un unico programma di difesa degli interessi capitalistici. Le richieste dei cittadini ed a maggior ragione dei proletari non dovranno riflettersi nemmeno indirettamente in tali istanze, spazzando via definitivamente non solo i partiti a connotazione formalmente classista, sebbene subordinati alla conservazione capitalistica, ma anche quelli basati su un interclassismo cementato da un diffuso clientelismo. Le estenuanti mediazioni devono essere superate da una gestione sempre più centralizzata del potere, proporzionale al crescente dominio del capitale su tutti gli aspetti delle relazioni sociali ma anche al crescere delle difficoltà che si prospettano all’orizzonte.
Non si tratta di un dato solo italiano che anzi in questo senso rappresentava ancora una anomalia non più tollerabile dal punto di vista borghese. Su tale esigenza i leaders dei due principali schieramenti hanno avuto effettivamente una convergenza bipartizan, ristrutturando i propri schieramenti e rinunciando a quelle alleanze che nelle precedenti elezioni avevano finito per condizionare la compagine governativa. Stesso discorso vale per le reciproche assicurazioni di voler collaborare in sede di riforme istituzionali per completare quel processo di cui le attuali elezioni sono state solo un significativo passaggio.

Sul piano dei risultati delle votazioni sicuramente i dati più significativi sono stati la forte affermazione della Lega ed in misura minore della lista Di Pietro e la scomparsa parlamentare della cosiddetta sinistra radicale.
Indubbiamente nel Nord la Lega ottiene molti voti operai. Molti operai sono iscritti alla FIOM ma hanno votato Lega. Il che vuol dire che se a livello sindacale si sentono ancora difesi di più dalla CGIL che da altri sindacati, a livello politico pensano che i loro interessi possano essere difesi meglio dalla Lega piuttosto che da Veltroni o dalla sinistra radicale.
La Lega, infatti, oltre all’idea che l’autonomia e lo scrollarsi di dosso il “peso del sud clientelare” gioverebbe non solo ai padroni ma anche al proletariato del nord, porta avanti, , una politica di “legge ed ordine” nei confronti soprattutto degli immigrati. Ormai in larghe fette del proletariato italiano è passata l’idea secondo cui non ci sono le condizioni per potersi permettere di ospitare immigrati sia se lavorano, perché fanno concorrenza sleale agli italiani e ancora meno se non lavorano perché sono fonte di spese aggiuntive per la collettività oltre che di criminalità aggiuntiva.
Molti proletari (confondendo il degrado con la microcriminalità, e quest’ultima con la criminalità) non attribuiscono l’abbassamento degli standard di sicurezza della propria esistenza, ai padroni;
Essi tendono invece ad attribuire l’abbassamento degli standard di sicurezza della propria esistenza proprio agli immigrati che si accalcano sempre più numerosi nei quartieri proletari. I proletari si lamentano che oltre ad aumentare la sporcizia e il degrado aumenta anche la pericolosità stessa della vita a causa degli immigrati.
Naturalmente queste idee, contraddette dalle stesse statistiche ufficiali del ministero dell’interno, vengono amplificate generosamente dai mass media del capitale che spingono i proletari a prendersela, invece che con i padroni, proprio con i più indifesi, i quali invece sono le prime vittime del capitale e fuggono dai loro paesi appunto per la tremenda oppressione lì esercitata dall’imperialismo, compreso quello di casa nostra.
In tale contesto di disgregazione e di estremo indebolimento del precedente tessuto unitario del movimento operaio, frutto dell’attacco padronale e della fine della vecchia divisione bipolare del pianeta, purtroppo le sirene borghesi liberiste e securitarie, nonostante l’oggettivo peggioramento delle condizioni di vita proletarie anche in paesi imperialisti come l’Italia, fanno comunque presa.
Tutto questo a nostro parere spiega le fortune odierne della Lega e del partito di Di Pietro, il quale della versione ordine e sicurezza ha interpretato soprattutto la denuncia della casta e della corruzione politica.

In verità i voti dei proletari sono ben distribuiti anche verso il Partito Democratico ed il Partito delle Libertà. E ciò ci dice che non esiste più una rappresentanza parlamentare univoca dei lavoratori, e ancora meno si può individuare una tendenza che raccolga le istanze più radicali di tale classe.
Sul piano politico sembra prevalere uno spalmamento delle preferenze dei proletari in quasi perfetta sintonia con altri settori sociali.
I voti “sottratti” all’arcobaleno e in particolare a Rifondazione sembrano aver preso varie direzioni:
a) verso Veltroni, nell’ottica del voto utile per evitare il ritorno di Berlusconi”;
b) verso l’astensionismo nell’ottica della “protesta contro questa sinistra radicale che pur essendo stata al governo due anni non ha fatto proprio nulla per i lavoratori”;
c) al Nord in parte verso la Lega che viene appunto, vista sempre più anche dagli operai tradizionalmente più a sinistra come chi può difendere meglio i lavoratori (a livello corporativo);
d) Un'altra quota è andata verso le liste di Sinistra Critica e del Pcl, anche se probabilmente sarebbe un errore ritenere che tutti i voti raccolti da queste due liste fossero prima in carico a Rifondazione.

Tale constatazione fa saltare definitivamente qualsiasi riferimento ad un movimento operaio pressoché unitario a cui relazionarsi privilegiandone le sue rappresentanze, come pure continuano stancamente a ripetere alcune formazioni politiche.
Ma apre il rebus di una riflessione per comprendere come e a quali condizioni possa ridarsi una ricomposizione della classe sul terreno di una sua indipendenza ed autonomia dalle compagini borghesi.

Che ne sarà dell’Arcobaleno? Per dei partiti abituati a dipendere dai finanziamenti pubblici, dal funzionariato diretto e indiretto, e che avevano negli ultimi anni abbandonato qualsiasi insediamento militante sarà difficile riuscire a garantirsi la sopravvivenza politica.
Ci vogliono soldi per mantenere giornali, e inoltre, un personale politico abituato a guadagnare sulla politica, difficilmente resterà attivo in una condizione in cui dalla politica potrà guadagnare molto meno, se non rimetterci. Certo Veltroni ha fatto capire che qualche briciola verrà destinata anche a questi ormai “extra-parlamentari contro la loro volontà”, se serviranno da utile aggancio e pompieraggio verso i futuri movimenti sociali, ma certo non sarà la pacchia di prima.
Intanto, come era prevedibile, non pare che dalle macerie elettorali emerga tra le varie reazioni in corso una reale autocritica che metta in discussione la politica seguita sino ad ora dalla sinistra arcobaleno. Al massimo ci si divide tra chi pensa di diluirsi ulteriormente nell’area del PD continuando la finzione di una sinistra plurale, e chi ritorna retoricamente a sollevare le vecchie bandiere identitarie per proporre sostanzialmente la stessa politica che ha portato allo sfascio attuale.
Naturalmente la sinistra istituzionale ha meritato tutto il disprezzo di cui è stata colpita da parte di quei settori che avevano in precedenza dato ad essa la propria fiducia, e non saremo certo noi a rimpiangere il suo ridimensionamento, ma sarebbe semplicistico ritenere che la scomparsa di tale equivoco spiani la strada verso una immediata radicalizzazione e attivizzazione di consistenti settori di attivisti che andranno ad affollare le ancora più sparute truppe rivoluzionarie.

Il dato elettorale per quanto dialetticamente lo si voglia interpretare fotografa una situazione di frantumazione dell’identità politica della classe che non sarà agevole ricomporre.
Nonostante un significativo peggioramento delle condizioni generali di vita, pur non paragonabile a quello dei paesi poveri, il risultato delle elezioni denota che il proletariato autoctono è tuttora immerso nella convinzione che si tratti di far funzionare al meglio l’attuale sistema sociale per riuscire a recuperare qualcosa anche per sé.
La crescita dei consensi alla Lega non va certo nella direzione di un rafforzamento immediato dei rapporti unitari tra i proletari del Nord e quelli meridionali, senza contare la xenofobia crescente verso quegli immigrati che oramai rappresentano una quota significativa di lavoratori e sono tenuti in una condizione di costante ricatto e debolezza rispetto alla tutela dei loro diritti.
E non solo sarà difficile ritrovare un filo unitario sul piano della ricomposizione politica, ma sarà complicato anche tenere la resistenza sul terreno della difesa delle condizioni di vita e di lavoro.
La Confindustria si presenta già all’incasso rivendicando la pietra tombale per il Contratto Nazionale, e denuncia la “casta sindacale” di cui ritiene di poter fare a meno dopo aver da essa ottenuto tutto quanto era nelle sue possibilità sul terreno della scomposizione del tessuto unitario e delle conquiste che facevano la forza dei lavoratori.

Me se l’orientamento prevalente emerso dalle votazioni dimostra una tendenza fortemente interclassista e corporativa pure nelle file del proletariato, è anche vero che essa si dà su di un terreno dettato più da angosce e paure piuttosto che da un entusiasmo di rosse prospettive. In tal senso sarebbe altrettanto errato interpretare l’esito del voto come una sorta di delega in bianco o peggio ancora un convinto sostegno alla prospettiva politica sostenuta con le inevitabili articolazioni da entrambi i blocchi parlamentari tanto sul piano interno che su quello internazionale.
Il fatto è che nemmeno Berlusconi questa volta si è consentito di promettere mari e monti come aveva fatto nelle precedenti scadenze elettorali, richiamando spesso anzi le difficoltà con cui il nuovo governo avrebbe dovuto fare i conti e alludendo agli inevitabili sacrifici per risollevare le sorti del paese.

In effetti la crisi evidenziata dai mutui subprime non sembra essere facilmente recuperabile e manifesta tutte le premesse di un suo ulteriore aggravamento con il corollario di non poter essere scaricata prevalentemente sui paesi periferici, come è avvenuto nelle precedenti occasioni.
Più in generale la struttura del capitalismo italiano sembra soffrire particolarmente della crescente competizione internazionale a cui sta rispondendo prevalentemente agendo sul costo del lavoro al punto da ridurre i lavoratori italiani ad essere il fanalino di coda tra quelli delle potenze imperialiste.
In tale contesto è prevedibile uno scenario di mobilitazioni diffuse, anche se difficilmente assisteremo a risposte generalizzate. Ma tali lotte di resistenza troveranno delle sponde sempre più deboli nei sindacati ufficiali e nelle stesse forze di opposizione parlamentare.
Tutto ciò potrà rafforzare quel processo di autorganizzazione che oggi vede coinvolti solo sparuti settori di proletari spesso non comunicanti nemmeno tra di loro.
Sarà l’occasione per testare anche le conseguenze del non disprezzabile voto (viste le condizioni attuali) raccolto sia dal Pcl che da Sinistra Critica. Se esso non rappresenta solo un dato di opinione e di delega come siamo orientati a ritenere per la gran parte di essi, si tratterebbe di un notevole potenziale da spendersi nella concretizzazione di una opposizione sui temi sociali e politici. Stesso discorso vale per quella quota di crescente astensione frutto della disillusione rispetto alle sinistre parlamentari e verso le istituzioni stesse come luogo in cui poter far valere i propri interessi di classe.

In tal senso esiste una limitata domanda politica, in cerca non tanto di una rappresentanza (a cui si candidano i vari costruttori di partiti in circolazione), quanto di una ricollocazione del proprio attivismo. Una ricerca di senso del proprio impegno politico da parte di chi ritiene che effettivamente un altro mondo è possibile e che esso non ci sarà regalato da nessuno se non ci si batte per esso a partire dal contrastare i mille soprusi quotidiani che queste relazioni sociali producono.
Noi continuiamo a sentirci parte di questa ricerca e voler dare il nostro contributo affinché nonostante le difficoltà attuali possa rideterminarsi un forte movimento di opposizione in cui la componente dichiaratamente anticapitalista ed internazionalista ne rappresenti una parte decisiva

I/le compagni/e di Red Link

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