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Assalto al palazzo d'inverno

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(17 Novembre 2009) Enzo Apicella

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    "Diciamo no ai massimalisti è l'ora di una svolta riformista"

    Intervista a Rutelli su Repubblica del 17 gennaio

    (18 Gennaio 2003)

    ROMA - L'Ulivo stia attento. Nel centrosinistra si moltiplicano le spinte massimaliste. La coalizione, tra "inutili guerre tra le persone" e "sciocche sudditanze politico-culturali", rischia un "disastroso ritorno al passato".

    Francesco Rutelli, chiuso in casa per un'influenza, lancia un allarme agli alleati: "Dobbiamo riprendere in mano l'agenda riformista. Dobbiamo fare un passo avanti in nome dell'Ulivo, e invece corriamo il pericolo di fare un passo indietro". Il referendum di Rifondazione sull'estensione dell'articolo 18 nelle piccole imprese "è sbagliato e assurdo". "Voteremo no, o ci asterremo, si vedrà al momento opportuno - dice il leader dell'alleanza - ma intanto lasciamo questo tema irrilevante ai comunisti e ai trozkisti. Noi occupiamoci delle questioni vere e irrisolte del Paese che Berlusconi non è capace di risolvere". Ma già si profila un nuovo scontro: il capo della Margherita stoppa l'idea di Fassino di un disegno di legge che eviti il referendum: "Mi pare molto difficile, anche perché dovrebbe andare nella direzione del quesito proposto da Bertinotti, e noi non siamo d'accordo".

    Rutelli, ci risiamo. Torna in ballo l'articolo 18 e il referendum. L'Ulivo continua a farsi del male.

    "Quel referendum non è dell'Ulivo, lo hanno promosso alcune forze politiche. Rispetto il voto libero di tutti i cittadini e le opinioni di tutti i partiti. La mia è semplice: si tratta di una iniziativa completamente sbagliata e controproducente".

    Una "iattura", sostiene Fassino.

    "Un errore grossolano, dico io. Se passasse il referendum, anziché la flessibilità con le tutele avremmo le rigidità con il lavoro nero. L'obiettivo è del tutto insensato: assimilare la bottega del fioraio alla Fiat, estendere lo Statuto dei lavoratori nella microazienda in cui l'imprenditore è il marito e la dipendente è la moglie. Sarebbe solo un modo per ideologizzare il mercato del lavoro, allontanando le tutele di cui c'è davvero bisogno. Non a caso il quesito si disinteressa totalmente dei collaboratori coordinati e continuativi e dei milioni di lavoratori a tempo determinato".

    Quindi l'Ulivo farà campagna per il no?

    "Decideremo al momento opportuno. Nel frattempo dobbiamo replicare a questa iniziativa con molta chiarezza e senza compromessi, sfidando innanzi tutto la destra sul tema dello Statuto dei nuovi lavori, perché si investa sulla formazione permanente e proponendo vere garanzie per i precari, per i giovani condannati a vivere anni in casa con i genitori, per gli anziani 'rottamati' prima del tempo e costretti nel migliore dei casi a reimpiegarsi nel sommerso. Questi sono i temi concreti nell'agenda riformista, quelli percepiti dalla società vera, non quella immaginata da certi circoli ideologizzati, condannati a una sconfitta inevitabile perchè parlano di un'Italia che non esiste più".

    Il segretario dei Ds ipotizza un ddl dell'opposizione, che dovrebbe evitare il ricorso al referendum. La Margherita lo boccia. Ci risiamo un'altra volta?

    "Io non ho ancora parlato con Fassino. Ma è evidente che per evitare il referendum bisognerebbe varare una legge che vada in direzione del quesito proposto dai promotori. Noi non abbiamo questa intenzione. Poi c'è anche un problema di maggioranze parlamentari: un ddl di riforma degli ammortizzatori come quello di Treu e Amato può avere molti numeri, una proposta ritagliata sul quesito di Bertinotti non credo proprio. Io credo che la linea più giusta da seguire sia spiegare agli italiani che questo referendum è politicamente, culturalmente e praticamente dannoso. Ci fa fare un clamoroso passo indietro. Ma ci rendiamo conto o no che di questo passo tornano in auge slogan da anni 70? Ci rendiamo conto o no che un quesito uguale a quello proposto da Rifondazione lo presentò 20 anni fa Democrazia proletaria?".

    Preistoria politica. Dovrebbe spiegarlo a Bertinotti, e a quel pezzo di sinistra massimalista che gli va dietro.

    "Bertinotti vuole quel referendum? Affari suoi. Lasciamogli fare la sua battaglia. Del resto nel bipolarismo ogni schieramento ha le sue bizzarrie. Bossi non va forse sul Monviso a prendere con la 'sacra ampolla' l'acqua del dio Po? Non mi scandalizzo per queste posizioni radicali. Ma una cosa deve essere chiara: l'Ulivo deve riprendere in mano con forza l'agenda del riformismo. Deve rilanciare le questioni che interessano il Paese: la vera giustizia sociale, l'inflazione senza freni, il declino industriale, la concorrenza che non c'è, la libertà dell'informazione dimezzata. L'Ulivo non può camminare con la testa rivolta al passato. L'Italia è cambiata, ci chiede altre cose e si sorprende se ci vede discutere dell'introduzione dell' articolo 18 nelle botteghe dei fiorai. Non facciamo questo errore, e non facciamo questo favore a Berlusconi. Piuttosto incalziamolo: che cosa hanno portato i poliziotti di quartiere in termini di sicurezza? Che risultati ha dato la Fini-Bossi? Che ne è dei 700 mila immigrati da integrare? E perché non diminuiscono le tasse?".

    Questo referendum crea altro caos nell'opposizione. Ma non può essere anche un'occasione di semplificazione politico-culturale? In fondo dimostra che la divisione a sinistra è sempre la stessa: i riformisti da una parte, i massimalisti dall'altra.

    "A me non sembra che questo sia un test importante per fare chiarezza nell'opposizione. Certo, constato che in questo momento l'agenda politica del centrosinistra è condizionata in modo eccessivo. Da una parte, dalle discussioni sul ruolo delle persone, un vizio che va avanti da almeno un anno e che ora richiederebbe una vera e propria moratoria. Dall'altra parte, dal dibattito acceso e molto autoreferenziale che riguarda solo una parte dell'Ulivo...".

    E' per questo che ha criticato il faccia a faccia televisivo tra Cofferati e D'Alema, lamentandosi di aver sentito per almeno 150 volte la parola "sinistra"?

    "Il limite di dibattiti come quello dell'altra sera a Ballarò è che parlano a una sola parte dell'alleanza. E oltre tutto parlano di argomenti ristretti e anche un po' vecchi: scissionismo, processi staliniani... Badi bene che io non pongo la questione perché voglio che nella coalizione ci sia più 'centro' e meno 'sinistra'. La mia non è certo una critica a Fassino, ma quello che lamento è che in certe discussioni nei Ds, parziali nei contenuti e necessariamente limitate nella prospettiva, finisce per esserci poco Ulivo. Ed invece è proprio quello di cui abbiamo più bisogno".

    Dica la verità: tra girotondi e Cofferati, tra referendum e correntoni, lei teme che l'Ulivo rischi di radicalizzarsi un po' troppo.

    "Il rischio vero, per noi, è un passo indietro rispetto a questi otto anni di Ulivo, nei quali siamo riusciti a definire un'identità riformista che ha amalgamato culture diverse e non si è esaurita nello spazio della sola sinistra, che nella migliore delle ipotesi rappresenta il 30% dei voti. Il rischio vero è che ci sia una regressione rispetto a una fase in cui, per i nostri elettori, era persino indifferente votare Ds, Margherita o altri partiti, perché quello che contava davvero era comunque l'Ulivo".

    Referendum a parte, c'è da qualche tempo nel centrosinistra un rigurgito di massimalismo. Non è così?

    "Nel centrosinistra ci sono forze riformiste e forze massimaliste. Ma questo è normale, nel bipolarismo. Nel centrodestra non ci sono forse Borghezio e Rauti? Certo, la formula dell'Ulivo ci aveva consentito di lasciarci alle spalle i vecchi radicalismi, e di guardare avanti. Oggi non mi nascondo che certi segnali vanno in un'altra direzione. So anch'io che la Cgil, per esempio, nel suo ultimo congresso si è dichiarata contraria all'intervento delle forze multinazionali in Afghanistan. So anch'io che mentre siamo uniti contro un intervento militare in Iraq, abbiamo avuto problemi per l'invio, che io giudico doveroso, degli alpini a Kabul. Ma questo non mi preoccupa: con due Poli, ma con molti partiti vale per noi e forse ancora di più per la Destra. Chiarito questo, noi dobbiamo fare passi avanti: non possiamo volgere lo sguardo al passato".

    La rottura dell'unità sindacale, con lo sciopero unilaterale della Cgil, non aiuta per niente.

    "Gli scioperi li decide il sindacato, e la politica non si deve mettere in mezzo. Ma ora la ricomposizione con Cisl e Uil diventa ancora più urgente. E' una strada che va ripresa con pazienza, da parte di tutti. Con un governo in così evidente difficoltà, soprattutto sull'economia, non ci possiamo permettere una dispersione di energie così grave".

    Dopo Firenze, Cofferati per lei cosa è diventato? Un alleato o un competitore? Un riformista o un massimalista? E quanto influenza la linea dell'Ulivo?

    "Io sono convinto che l'Ulivo saprà confermare la sua vocazione riformista. Quanto a Cofferati, è un importante e autorevole dirigente del centrosinistra. Ci aspettiamo che esprima la sua disponibilità a partecipare in modo diretto alla coalizione".

    Vi ha posto una condizione per entrare nell'ufficio di programma: sì, a patto che dentro ci siano i rappresentanti dei movimenti. Cosa risponde?

    "Ho riparlato con Cofferati in questi giorni. La proposta che gli abbiamo fatto - che riguarda non solo i leader dei partiti e i rappresentanti degli eletti, ma anche le forze vive della società, gli intellettuali e i movimenti - è coerente con la sua idea. Sono fiducioso: nelle prossime ore conto su una risposta positiva di Sergio".

    (17 gennaio 2003)

    MASSIMO GIANNINI

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