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Il capitalismo non è acqua!

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Sullo sciopero dell'industria proclamato dalla Cgil per il 21 febbraio

Prime considerazioni del Coordinamento RSU

(22 Gennaio 2003)

La Cgil ha deciso di andare ad uno sciopero generale separato, di 4 ore, nell'artigianato e nell'industria per il prossimo 21 febbraio. La decisione è stata accompagnata dalla proclamazione anche di due manifestazioni nazionali. Il 15 marzo, a Milano, per la difesa dei diritti del lavoro e dei diritti di cittadinanza. Il 12 aprile, a Roma, in difesa della scuola pubblica.

Si tratta di iniziative che intercettano situazioni concrete e problemi reali a cui occorre dare una risposta, ma ancora una volta si manifestano tutti i limiti della strategia su cui la Cgil sta ordinando queste sue azioni.

Il limite principale, quello che concorre a disarticolare ogni efficacia, è che manca ancora una piattaforma di riferimento ed un percorso vertenziale dentro cui dovrebbero essere inserite queste manifestazioni. Inoltre tutto appare promosso senza alcun rapporto con le principali scadenze di lotta oggi aperte.

La mobilitazione sui temi dell'occupazione, pur partendo da necessità reali, è genericamente indirizzata ad una critica nei confronti di un Goerno che ha strumenti non adeguati "a rilanciare la competitivià", e ad una classe imprenditoriale alla quale si imputa la responsabilità del"declino" industriale del paese.

Cose ovvie e condivisibili alle quali però non corrisponde alcuna proposizione rivendicativa concreta. Parlare di declino industriale comporta una piattaforma che sia in grado di salvaguardare quanto ancora soppravvive del tessuto industriale considerato strategico. Se parliamo di auto e di chimica, ad esempio, non si può non constatare come sia ovvio che il capitale privato stia ormai decisamente andando verso la dismissione, tramite cessione, di questi settori. Lamentare questo fatto è sicuramente importante ma occorre individuare delle proposte concrete e trasformarle in obiettivi. Ma nell'iniziativa Cgil manca ogni riferimento alla necessità che lo Stato, anche con un suo intervento diretto negli assetti, salvaguardi l'esistenza e di questi settori di interesse strategico per l'economia del paese, e condizioni con la sua presenza le politiche industriali del capitale. In assenza di ciò la mobilitazione su cui la Cgil si è impegnata rischia di ridursi alla semplice lamentazione di come "sia ormai evidente un'assenza di cultura del rischio, una assoluta pigrizia, di cui il capitalismo familiare non e' certo esente"

Ma una iniziativa sull'industria e sull'occupazione non può inoltre non chiedere coerenze rivendicative anche sugli strumenti normativi e di legge che regolano oggi l'assunzione (nelle sue varie forme, sempre più precaria, e subordinata alle flessibilità del mercato) e la prestazione.

La Cgil deve risolvere una evidente contraddizione con la sua pratica rivendicativa e contrattuale. I Rinnovi contrattuali che oggi la Cgil firma non producono alcun recupero sul controllo della prestazione e delle condizioni con cui la forza lavoro viene impiegata, ma rimangono orientati nella conferma di quanto stipulato negli ultimi CCNL dell'era concertativa, e nella realizzazione di intese che concedono ulteriori deroghe su queste materie. Solo la piattaforma della Fiom ci prova a rompere questo schema ed a mettere in discussione le subordinazioni a cui è oggi sottoposta la prestazione, ma tuttora nulla si muove in Cgil per dare a questa piattaforma l'adeguato sostegno anche con la generalizzazione di questi obiettivi nelle altre piattaforme.

La Cgil insomma è ancora in mezzo al guado, in posizione contradditoria tra ciò che sono le sue affermazioni generali e la sua concreta pratica rivendicativa. E come tutte le contraddizioni, se non risolte, possono involversi in diverse direzioni.

Manca una connessione tra affermazioni generali, riferimenti e percorsi vertenziali sia sulla politica industriale ma anche sull'occupazione e sulla prestazione, lotte contrattuali in grado di liberare la contrattazione dai vincoli e dalle subordinazioni attuali. E' l'assenza di questa connessione che porta l'iniziativa della Cgil a non tenere ed a non reggere sul medio - lungo periodo.

Un esempio ancora più evidente di quanto poco chiara sia l'attuale strategia della Cgil sta nell'incomprendibile atteggiamento nei confronti del referendum sull'art.18 dello Statuto dei lavoratori. E' vero che la Cgil ha indetto una manifestazione nazionale per i diritti del lavoro ma nel contempo annuncia (confermandola) la sua contrarietà allo strumento referendario alludendo ad una sua indicazione di astensione. Una cosa gravissima perchè inoltre la Cgil produce una contrapposizione tra la battaglia referendaria e la presentazione di un suo progetto di legge. Una contrapposizione che non esiste nei fatti, sia per lo stretto legame di merito che comunque esiste tra le due iniziative e sia perchè non c'è coincidenza temporale tra di loro. Come può, inoltre la Cgil, ritenere che la battaglia su un suo progetto di legge, possa risultare più efficace a fronte di una sconfitta nella battaglia referendaria?.

Epifani, segretario generale della Cgil, parlando del programma di mobilitazioni ha spiegato inoltre che "non e' una scelta di rottura contro gli altri sindacati, anche perche' su questa mobilitazione avremmo bisogno di maggiore unita', ma un rafforzamento di quel lavoro che unitariamente molti territori e molte categorie stanno portando avanti".

E' il suo un messaggio chiaro in difesa delle esperienze concertative territoriali e categoriali (vedi Patto per lo sviluppo in Lombardia ed i brutti contratti nazionali appena sigglati) che vengono indicate come esperienze positive. Affermazioni che concorrono non poco ad isolare quella che a tutti gli effetti viene sottintesa come l'anomalia dei meccanici.

Non neghiamo come la Cgil abbia intuito la necessità di rappresentare in qualche modo le forti contraddizioni che si sono manifestate tra le necessità dei lavoratori e la capacità dell'esperienza concertativa di dare a questi una soluzione efficace. Non si spiegherebbero altrimenti le grandi iniziative che la Cgil ha saputo mettere in campo in questi mesi. Ciò che però rappresenta un rischio evidente, anche per la stessa tenuta della Cgil, è il permanere di una prassi fondata solo sulla manifestazione di parole d'ordine generali senza che queste costruiscano percorsi partecipativi nuovi nel modo di fare sindacato, e senza dare a tutto ciò una coerente gamba vertenziale, costruita su piattaforme che si pongano obiettivi che mirino a cambiare concretamente, sia il merito delle patuizioni contrattuali che il modello di relazioni sindacali.

Il rischio è che la stessa base della Cgil, che comunque si riconosce nelle parole d'ordine su cui è stata costruita parte dell'esperienza ultima, cominci a manifestare una sua stanchezza se non si arriverà a percepire l'esistenza di obiettivi concreti e di prassi vertenziali in grado di dimostrare concretamente l'esistenza di una svolta.

13 gennaio 2003

Il Coordinamento RSU

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