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Le lezioni da trarre dopo la mobilitazione di Torino

(15 Maggio 2008)

La soddisfazione palpabile tra le compagne, i compagni, gli attivisti torinesi e delle altre città che ritornavano ai pullman e ai treni dopo la manifestazione per la Palestina di sabato 10 maggio, potrebbe essere già da solo un indicatore sufficiente per affermare la piena riuscita di una iniziativa costruita in settimane di lavoro e combattuta passo dopo passo contro un apparato politico, economico e mediatico imponente. Le autorità israeliane e la lobby israeliana in Italia (da non confondere tout court con le comunità ebraiche), avevano messo in piedi una operazione sofisticata e ricca di risorse per sancire la loro egemonia culturale e politica attraverso un evento di massa come la Fiera del Libro di Torino. E’ stata quindi una battaglia “ a tutto campo” sia sul piano politico che “ideologico”.

1. La mobilitazione di grandi banche (San Paolo, CRT etc.), di tutti i mass media, di tutti gli enti locali della Regione, Provincia, Comune (tutte di centro-sinistra), del Presidente della Repubblica e dell’intero sistema politico bipartizan ormai vigente nel nostro paese, della intellighencia di “sinistra e di destra” e di ampie quote di intellettuali allineati e persino vicini “ai movimenti” (vedi il Manifesto) intorno al diritto di Israele di celebrare tranquillamente e pomposamente il sessantesimo anniversario della sua nascita occultando la Nakba del popolo palestinese, si è infranta ed è completamente fallita davanti alla “soggettività” cioè alla determinazione e alla creatività di una rete di militanti, mediattivisti, intellettuali critici che hanno opposto a questa operazione politica una campagna intelligente ed efficace di de/manipolazione e boicottaggio.
La lobby israeliana e il milieu liberale e imperialista nel nostro paese, intendevano celebrare la supremazia del loro modello “democratico” sul Medio Oriente attraverso una operazione ideologica di occultamento della realtà e di riaffermazione del colonialismo come segno del XXI° Secolo.
Il peccato originale della cultura politica liberale dominante (e dei neo-adepti a questa subalterni), si è rivelato per quello di sempre: la democrazia è la sfera delle libertà per “lorsignori” ma può tranquillamente convivere con l’oppressione, la discriminazione e la negazione della libertà e dell’identità dei popoli colonizzati. Lo Stato di Israele rappresenta questo modello come un cuneo armato e bellicista piantato in una zona strategica del mondo.

2. Non bisogna guardare alla mobilitazione di Torino solo dal nostro punto di vista. La campagna di boicottaggio e la manifestazione di Torino sono state seguite con enorme interesse in tutto il mondo e soprattutto tra i popoli e gli intellettuali del Medio Oriente. I palestinesi di Gaza, della Cisgiordania, del Libano, la popolazione dell’Iraq, Egitto, Siria, Giordania, Iran, Algeria, hanno visto con i propri occhi, attraverso le immagini rilanciate dalle televisioni, che era possibile sfidare il sionismo e l’imperialismo anche nel cuore stesso del sistema. Hanno visto che dall’altra parte del Mediterraneo ci sono forze con le quali è possibile confrontarsi e costruire progetti di liberazione.
La compattezza con cui hanno aderito al boicottaggio tutti gli intellettuali palestinesi, arabo-israeliani e dei paesi arabi – più alcuni israeliani anticolonialisti – è stata impressionante. Non ci sono state defezioni, neanche degli intellettuali che hanno relazioni storiche e consolidate con la cultura e l’editoria italiana. Alcuni palestinesi in Italia non fanno testo.

3 Questa operazione della Fiera del Libro di Torino era strettamente connessa a quella avviatasi con la guerra preventiva. L’islamofobia ha sostituto in Europa e negli USA l’antiebraismo del Novecento e l’ideologia sionista è stata pienamente sussunta dentro la guerra di civiltà tra i valori dell’occidente e il resto del mondo (paesi islamici, cinesi, slavi, indios latinoamericani etc.). Tanto più se questo resto del mondo cerca di darsi una identità politica e culturale e di avviare processi di trasformazione, tanto più violenta diventa l’escalation militare e ideologica delle potenze occidentali.

4 La decisione delle reti di solidarietà con il popolo palestinese di dare battaglia aperta attraverso la campagna di boicottaggio della Fiera del Libro dedicata a Israele, ha fatto saltare completamente i giochi. Si è rivelata di straordinaria efficacia la determinazione di contenuti, parole d’ordine, iniziative che ha creato immediatamente una polarizzazione nella quale non c’è stato spazio per le ritirate e le capitolazioni a cui ci ha abituato in questi anni la sinistra “radicale”. Respingere gli accomodamenti dell’ultimo minuto avanzati dagli organizzatori della Fiera dopo avergli offerto per tempo la possibilità di ripensarne la gestione (vedi l’appello degli intellettuali e degli editori), è stato decisivo per inchiodarli alle loro responsabilità. Quando se ne sono resi conto hanno cominciato a dare segni di isteria come chiara ammissione del loro fallimento politico.
Questa polarizzazione politica, non avendo il compromesso come presupposto ma solo come possibile passaggio politico, ha fatto saltare ogni ambiguità, ma ha anche creato lo spazio politico per far emergere posizioni intermedie tra gli intellettuali, gli scrittori e qualche forza politica (magari contrarie al boicottaggio ma indignate per l’indecente occultamento della questione palestinese come Dario Fo), posizioni che sarebbero rimaste invece in silenzio o su posizioni meramente consolatorie se non avessero avuto la percezione di potersi esporre con coraggio perché alle spalle c’era un punto di tenuta e resistenza che non avrebbe comunque ceduto sui contenuti.

5. Quella di Torino è stata una mobilitazione (e non solo una manifestazione visto che è durata intere settimane) che ha dimostrato come si possa far politica e incidere sui processi reali anche senza la sponda della sinistra istituzionale oggi diventata extraparlamentare. Fino ad oggi molte compagne e compagni si erano convinti o trastullati sull’idea che senza “la sponda istituzionale” non era possibile fare politica. I fatti di Torino dimostrano il contrario. L’assenza dei partiti della sinistra radicale non si è sentita affatto (ma va riconosciuto che il PdCI anche questa volta per la Palestina è sceso in piazza).
Chi ha remato contro questa mobilitazione (vedi Manifesto e PRC) sta ancora annaspando dentro la fossa apertasi il 9 giugno dell’anno scorso e allargatasi con la sconfitta delle elezioni di aprile.
Chi non ci ha creduto (vedi i centri sociali del Nordest o Action) ha commesso un serissimo errore di valutazione sul quale farebbe bene a riflettere. Chi non è venuto si è perso un’occasione importante per respirare aria nuova.
Bene hanno fatto i compagni torinesi a contestare Bertinotti nella manifestazione del 1° Maggio, tant’ è che il “demolitore della sinistra” ha dovuto rinunciare al “grande rientro in pubblico” all’interno della Fiera del Libro proprio sabato 10 maggio. Lo ha fatto il giorno dopo, ma ormai era stato completamente depotenziato dal fatto che lo spazio politico era stato riempito da una manifestazione partecipata, pienamente riuscita, di grande maturità e che ha messo la ciliegina sulla torta ad una straordinaria campagna dalla quale c’è tantissimo da apprendere sul piano dei contenuti, del metodo di lavoro e delle possibilità che indica per il futuro della sinistra di classe e dell’internazionalismo. E’ fondamentale per la solidarietà ad una resistenza come quella del popolo palestinese ma non solo per quello.

12 maggio 2008

la Rete dei Comunisti

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