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(24 Maggio 2008)
Martedì 20 maggio 4 compagni e compagne del Network Autorganizzato e del Nucleo Studentesco Metropolitano (Napoli) si sono visti recapitare un decreto penale di condanna a sei mesi di detenzione convertita in pena pecuniaria di 3520 euro ciascuno (per un totale di 14mila e 80 euro!).
Il provvedimento di condanna è motivato con la presunta violazione dell’art. 18 del Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza (TULPS), articolo che prevede una pena fino a sei mesi di detenzione (o la sua conversione in ammenda) per chiunque organizzi una riunione pubblica senza preavvisare le autorità di Pubblica Sicurezza. Secondo gli accusatori, le compagne e i compagni condannati avrebbero violato tale disposizione del TULPS in occasione del presidio che si tenne nel luglio scorso in via Scarlatti, organizzato dal movimento antifascista e antirazzista napoletano e grazie al quale si riuscì ad impedire lo svolgimento di un’iniziativa di Forza Nuova.
E’ utile ricordare che il TULPS è del 1931, la norma in questione appartiene, dunque, a quelle numerose disposizioni legislative che ben rappresentano la continuità tra lo Stato fascista e la Repubblica democratica: continuità di potere, di interessi, di classe dominante padronale, e quindi anche continuità normativa e repressiva. Il TULPS è parte integrante di quell'apparato di norme e procedure finalizzate alla persecuzione politica, edificato appunto negli anni venti e trenta del novecento per colpire i lavoratori e le loro lotte, e che la Repubblica “fondata sul lavoro” non ha mai abrogato.
Al contrario, le norme fasciste sono quotidianamente fatte valere e applicate dallo Stato democratico, senza alcun imbarazzo, ogni qualvolta le autorità intendono perseguire finalità di repressione politica ai danni di compagni e lavoratori.
L’iter della contestazione (Art. 459 del Codice di procedura penale) è subdolo e sconcertante: d’ufficio si procede, infatti, ad infliggere una condanna (senza preoccuparsi di dare agli imputati alcuna possibilità di difendersi) ogni qual volta la pena sia pecuniaria o detentiva tramutabile in ammenda. E’ necessario, per poter avere un “regolare” processo, preoccuparsi di presentare un ricorso entro dieci giorni; in caso di mancato ricorso si accetta di fatto la condanna. Appare evidente che l’intero procedimento miri a intimidire e demoralizzare la risposta politica dei compagni.
Al di là della forma procedurale, la questione che, a nostro avviso, merita maggiore attenzione è proprio il reato contestato. Distribuire volantini e parlare al megafono non è più permesso senza previa autorizzazione. Queste condanne sono, in breve, al contempo grottesche e allarmanti e meritano alcune considerazioni politiche.
Tanto per cominciare, esse chiariscono una volta per tutte come non sia possibile continuare a impostare le proprie riflessioni sulla repressione incentrandole unicamente sui soggetti di volta in volta repressi e sulla valutazione delle loro azioni, senza preoccuparsi di cogliere l’elemento politico che l’atto repressivo sta a rappresentare. Occorre, dunque, spostare l’asse del ragionamento sull’ineliminabilità e la presenza costante della repressione e su come essa venga diversamente applicata di volta in volta. Far partire un procedimento per un fatto che appare a tutti chiaramente come una pratica diffusa e consueta, ci dà chiaramente l’indice dell’asprezza dell’attacco repressivo che registriamo sia a livello europeo che, naturalmente, nazionale in questa fase.
E’ chiaro che ormai l’attacco è diretto ai più semplici spazi di agibilità per ridurre al silenzio qualsiasi voce di dissenso. Per far fronte a questo attacco unilaterale è opportuno dotarsi di un’attrezzatura politica che occorre costruire con una riflessione, un dibattito e una pratica appropriati. In questi anni abbiamo, impotenti (e a volte indolenti), assistito alla sottrazione di conquiste che pensavamo acquisite (si pensi, per dirne una, all’occupazione dei treni per i cortei nazionali); ampi settori del movimento hanno, infatti, deciso di arretrare di fronte a questi attacchi, nella speranza che tale rinuncia potesse garantire spazi di agibilità. E’ evidente ormai che questo ragionamento risulta essere fallimentare e che è opportuno invece non arretrare ma difendere le nostre lotte e la nostra stessa possibilità di fare politica in modo autonomo ed autorganizzato, comprendendo che la reazione non si arresta e non si accontenta dell’angolo in cui riesce a metterci ma che, con metodo, lavora all’annientamento del proprio antagonista e che dunque non è possibile nessuna forma di compromesso con essa.
Altro elemento che non possiamo non sottolineare è la scelta politica del bersaglio della reazione. Non è certamente casuale che il provvedimento di “condanna per decreto” arrivi al termine di un anno di mobilitazioni e lotte che hanno visto le compagne e i compagni impegnati quotidianamente contro la precarietà, per i diritti dei lavoratori e attivi sul terreno dell'antifascismo, dell’antirazzismo, dell'antisessismo, della solidarietà internazionalista, nonché interni al più vasto movimento contro la guerra e per i diritti sociali.
Sia il merito del provvedimento che la forma procedurale adottata, dunque, confermano la matrice squisitamente politica dell'attacco. Colpendo quattro compagni e compagne hanno inteso colpire un insieme di percorsi di ricomposizione delle lotte, percorsi costruiti in piena autonomia dalle istituzioni e lontani da qualsivoglia compromesso con partiti e forze istituzionali.
Il messaggio che hanno voluto recapitare a tutti noi è il seguente: “perseverare nel fare politica in maniera realmente autonoma e autorganizzata è qualcosa che non conviene, perché in una maniera o nell’altra troveremo il modo di farvela pagare sul piano personale, eventualmente anche scavando in ottant'anni di legislazione repressiva”. Ma hanno fatto male i loro conti.
Siamo comunisti, e non ci lasceremo certo intimidire. Continueremo a sviluppare le nostre lotte e il nostro lavoro politico con una determinazione sempre maggiore e sempre in una direzione precisa, immodificabile: contro la classe dominante e i suoi servi, contro il fascismo, il razzismo e l’imperialismo; per l’autorganizzazione e l’emancipazione degli oppressi e degli sfruttati!
Napoli, 23 maggio 2008
C.S.O.A. “Terra Terra”
Collettivo Vesuvio Zona Rossa (Comuni vesuviani)
Collettivo internazionalista di Napoli
Collettivo Orientale (Università Orientale di Napoli)
Nucleo Studentesco Metropolitano
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