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Golf Club Lampedusa

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(31 Marzo 2011) Enzo Apicella
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Sopravvivere da rom tra pregiudizie paura del diverso

(31 Maggio 2008)

«Vede quei cinque bambini lì?» dice Sergio, un viso tondo e il petto villoso, indicando un gruppo di piccoli scarmigliati che sguazzano fra le bottiglie riempite d'acqua, «sono tutti miei figli. Le pare che ho bisogno di andarli a rubare?» Eppure molti italiani si stanno convincendo di nuovo che gli zingari vadano in giro a rubare bambini.

Via Candoni, periferia sud ovest della capitale, appena un paio di chilometri di distanza dal quartiere popolare di Corviale. Qui da 15 anni i rom si sono insediati e da otto il loro è diventato uno dei venti campi autorizzati di Roma, dove vivono 600 persone fra romeni e bosniaci. Le case sono dei container come quelli in dotazione ai terremotati ordinatamente piazzati l'uno accanto all'altro, quasi tutti provvisti di antenne paraboliche. La mattina di mercoledì la polizia municipale ha bloccato l'entrata agli estranei per verificare se vi fossero automobili senza assicurazione.

«Ormai questa è una routine - afferma Alessandro Orlandi, operatore Arci con funzioni di assistenza e cooperazione -. I controlli sono continui ma gli illeciti che si verificano non sono poi superiori a quelli che normalmente si registrano in un altro quartiere di Roma. Se non si vive qui non si capisce nulla di questa gente, eppure siamo accomunati dalle stesse esigenze e speranze di vita».

«In tanti anni di vita italiana - afferma Ion Bambalau capo della comunità rom di etnia romena - ogni tanto riappare questo fantasma, che gli zingari rapiscano i bambini. È una delle tante leggende metropolitane che ci offendono». Bambalau ha 47 anni, nel caldo soffocante del campo della Magliana è in giacca e cravatta, occhiali da sole alla moda e parla al telefonino in attesa di un probabile incontro con il sindaco Alemanno. «Abbiamo chesto al sindaco - continua Bambalau - di ricevere una nostra delegazione di rom per discutere dell'attuale situazione e porre un rimedio. Gli ultimi accadimenti drammatici di Ponticelli hanno alimentato una discriminazione nei nostri confronti senza eguali. Un fatto isolato è così diventato la motivazione penalizzante per tutti noi, a prescindere. Ma non dobbiamo fare di tutta un'erba un fascio».

L'8 giungno sinti e rom daranno vita a Roma alla prima manifestazione nazionale per dare il via ad un processo di autodeterminazione, rimasta troppo spesso ignorata.
Verso le due del pomeriggio, il pulmino dell'opera nomadi porta a casa i bambini dalla scuola. La maggior parte degli uomini del campo raccoglie il ferro, il rame ed ogni altro materiale che abbia un mercato. Un chilo di ferro viene pagato 32 centesimi. Con un quintale si guadagnano 32 euro. E non ci vuole molto a raccoglierlo. Parlando soprattutto con i bosniaci, tutti ci tengono a dichiarare di avere la partita Iva e di essere lavoratori autonomi. Ma l'occupazione è una delle maggiori problematiche. Alcuni di loro sono impiegati nelle imprese edili, altri nella consegna delle pagine gialle, uno di loro più fortunato lavora in Telecom. Ma il problema del lavoro esiste comunque, perché essere rom e cercare un'occupazione significa soprattutto trovare porte chiuse, sintomo della diffusa quanto atavica cultura del pregiudizio. Così, la maggior parte di loro raccoglie gli scarti della nostra società opulenta, contribuisce al loro riciclo, versa l'imposta indiretta, sognando un impiego da operaio.

Tuttavia la violenza di Napoli, il decisionismo del nuovo ceto dirigente politico, la nuova intolleranza verso gli stranieri lascia presagire che il clima stia cambiando, in peggio. «Non ci credo - dice di nuovo Sergio, anche lui lavoratore autonomo nel settore metalli, - gli italiani ci hanno sempre rispettato, chiedendoci solo di osservare la legge. Ma anche noi vogliamo questo, anche noi siamo contro chi delinque e questa regola deve valere per tutti». «Il fatto è - aggiunge Bambalau, ex impiegato in uno studio legale come interprete - che noi andiamo via dal nostro Paese per cercare di vivere meglio, un'occupazione è un po' di benessere. Perché stupirsi che uomini e donne che non hanno nulla si stabiliscano in un Paese ricco per lavorare, produrre e cercare un'inserimento sociale dignitoso?».
«Questa è la mia carta d'identità e questa è la patente italiana - mostra con fierezza un'esile anziano di ottant'anni -. È da una vita che vivo in Italia e mi sento profondamente vicino a questo paese». Tuttavia la reazione alla vista dei rom è assai diversa nella realtà e il senso di repulsione nei confronti di persone ritenute tradizionalmente diverse quanto sconosciute spesso prevale.
Mentre la musica gitana rimbomba tra i container metallici, un bimbo dallo sguardo disincantato esclama: «Da grande voglio fare il musicista».

Alessandro Ambrosin e Fulvio Lo Cicero

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