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Iraq. La spaccatura dell'occidente è il vero rischio di questa crisi - editoriale del 27 Gennaio 2003

(29 Gennaio 2003)

Ma che altro può fare Berlusconi?

Non chiedetevi che cosa fareste voi. Qui non si tratta di scegliere la formazione della Nazionale. Chiedetevi che cosa dovrebbe fare l'Italia, di fronte alla crisi irachena. Qual è il suo interesse nazionale. Per un riformista, sarebbe difficile esprimere un giudizio migliore di questo: «Una spaccatura atlantica è il peggiore di tutti gli scenari possibili in questo momento. Più grave del caos mediorientale che alcuni temono come conseguenza della guerra. Più grave della guerra in sé, e lo dice uno come me fortemente contrario all'intervento militare in Iraq». Il Foglio dice che l'ha detto Rutelli, Rutelli dice che non l'ha detto. Chiunque l'abbia detto, è ben detto. Diciamo che lo diciamo noi.

Il problema è che non basta affermare, come fa D'Alema, che gli italiani vogliono la pace. Governanti e potenziali governanti devono anche dire come. Come si fa in modo che alla fine di questa crisi il mondo sia più stabile e più sicuro. Non c'è bisogno di essere abbonati a Foreign Affairs per capire che un mondo diviso tra un'America Pacifica da un lato e un'Eurasia a guida franco-russa dall'altro, non è il più rassicurante degli sviluppi. Bush passerà, l'America resterà: cardine di ogni ordine mondiale possibile, almeno per i prossimi cinquant'anni. Dove starà l'Europa? Dove starà l'Italia?
Per restare in quell'Occidente al quale tutti giurammo fedeltà all'indomani dell'11 settembre, un paese come il nostro, di scarso peso militare e di incerto passato diplomatico, può fare solo una cosa, che è esattamente quella che si imputa al governo Berlusconi: restare europeo e atlantico allo stesso tempo. Non farsi abbagliare dall'asse franco-tedesco, che potrebbe andare fuori asse tra una settimana se Schroeder collasserà in Assia e Bassa Sassonia; e se Chirac, appena riconquistata un po' di grandeur, spedirà il suo battaglione di bersaglieri nella Crimea irachena, per partecipare a una vittoria dalla quale nessuna potenza può autoescludersi.

D'altra parte non si può neanche lasciare che i nostri bersaglieri vengano arruolati dal portavoce della Casa Bianca. E non solo per motivi di orgoglio nazionale. Alla vigilia del rapporto degli ispettori all'Onu, e in attesa di leggerlo, tre cose sono chiare. 1) Il casus belli non c'è, non diciamo l'affondamento del Lusitania ma neanche un piccolo incidente di frontiera, neanche una ripresa della Cnn dei profughi kossovari in fuga o dei bambini che muoiono di fame in Somalia. Le opinioni pubbliche hanno bisogno di immagini per essere mobilitate, e da Baghdad non ne arrivano. 2) Gli ispettori chiedono più tempo e va loro accordato, se davvero l'obiettivo è il disarmo di quel gran bugiardo di Saddam. 3) La guerra deve essere quanto meno consentita dall'Onu, perché «ci sono due modi di usare la forza: l'uno in difesa della stabilità internazionale, l'altro a suo detrimento» (Filippo Andreatta sul Mulino).

Queste tre cose le ha dette Berlusconi. Sta giocando a guadagnare tempo? E' vero, ma che altro può fare? Chi lo sfotteva solo un anno fa perché veniva escluso dalla lista della Casa Bianca per l'intervento in Afghanistan oggi lo sfotte per essere stato inserito nella lista dell'Iraq. Ricordiamo, per incidens, che il governo D'Alema partecipò alla guerra del Kosovo in assenza di un mandato Onu, e giustamente, perché altrimenti il veto russo avrebbe bloccato l'azione della comunità internazionale, e ci sono due modi di uccidere un governo mondiale: uno è scavalcare l'Onu, l'altro è paralizzarla col potere di veto, come nel lungo inverno della Guerra Fredda.

Bush è un cow boy un po' arrogante, ma non un pazzo. Non più di quell'altro cow boy un po' arrogante, Ronald Reagan, che si mise in testa che si poteva sconfiggere il comunismo tra le irrisioni degli europei, e piazzò in una Germania allora anche più pacifista i missili che fecero cadere il muro di Berlino (con grande gioia dei pacifisti tedeschi). Bush si muove sulla base di un calcolo. Sa che se la guerra sarà breve e vittoriosa, dopo saranno tutti con lui, Francia e Russia comprese, a spartirsi onori, commesse e influenza. Su che cosa dovrebbe scommettere l'Italia? Su Saddam o sulla profezia di Timothy Garton Ash, che immagina nel 2023 l'Europa impegnata in un acceso dibattito sulla richiesta di adesione dell'Iraq e del suo petrolio all'Unione?

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