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Pro mutuo mori

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(19 Settembre 2009) Enzo Apicella
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Si può fare

(12 Giugno 2008)

Le migliaia di persone scese in piazza a Roma, insieme a quelle mobilitatesi in altre otto città contro la visita di Bush e i colloqui con Berlusconi, sono un segnale importante per molti aspetti.

Da un lato si conferma che la continuità, la coerenza dei contenuti e il coraggio di chiamare alla mobilitazione anche nelle fasi critiche, non è un messaggio nel deserto ma coglie l’esigenza di non cedere terreno sui punti centrali dell’agenda della lotta contro la guerra globale.

Il Patto permanente contro la guerra si conferma così un’esperienza importante per la continuità e l’approfondimento della spinta nata proprio il 9 giugno di un anno fa con la grande manifestazione contro un’altra visita di Bush e la politica militare dell’allora governo Prodi. In questo anno, nonostante scetticismi e l’attenuazione della guerra come tema rilevante dell’agenda politica, le realtà che hanno animato il Patto hanno reso possibile una continuità unitaria di confronto e iniziativa che si è rivelata nelle sue possibilità e potenzialità anche nella giornata di mobilitazione di mercoledì 11 giugno.

La riuscita manifestazione di Roma ha confermato a tutti – anche agli scettici e ai demoralizzati – che si poteva fare, che si può fare. Se c’è un minimo di soggettività che tiene sui contenuti e che può farsi forte della propria coerenza politica, si può mettere in campo anche nelle condizioni più difficili e distratte, una mobilitazione importante, autonoma e coinvolgente di settori piuttosto ampi.

Il fatto che i partiti della ex sinistra di governo debbano in qualche modo rinunciare a qualsiasi ambizione di leadership e di rivincita sui movimenti, è indicativo di una nuova realtà. Giustamente compagne e compagni in diversi fronti della mobilitazione sociale (dai rifiuti alla lotta contro la guerra) hanno insistito affinché la rappresentazione di questa mobilitazione non venisse scippata da forze politiche che ancora stentano a fare i conti seriamente con le loro responsabilità nei devastanti due anni di partecipazione al governo Prodi.

Oggi la guerra non è un fattore che può essere parametrato sulla base della politica italiana, né su quella dei partiti ex parlamentari né su quella delle realtà dei movimenti sociali “di scopo”.

E’ evidente a tutti che stiamo entrando nella fase più pericolosa della guerra preventiva, quella in cui USA e Israele e i loro alleati si giocheranno il tutto per tutto per evitare di fare i conti con il proprio declino economico e morale e con la crisi della propria egemonia storica.

L’attacco contro l’Iran rappresenta esattamente questo e le sue conseguenze riverberanno in tutto lo scenario che i guerrafondai USA hanno definito come Grande Medio Oriente.

Dentro queste conseguenze, l’Italia è pienamente coinvolta. I ministri Frattini e La Russa hanno già annunciato proprio l’11 giugno il cambiamento delle regole d’ingaggio per i contingenti militari italiani presenti sui teatri di guerra, mentre Berlusconi anima le ambizioni neocoloniali dell’Italia e vuole vedersi riconosciuto la status di potenza internazionale (il 5+1 sull’Iran, il seggio permanente al Consiglio di Sicurezza). Il sistema operativo di basi militari USA/NATO presenti sul territorio italiano sarà pienamente funzionale alla nuova escalation della guerra, inclusa l’accelerazione dei lavori per la nuova base a Vicenza e l’allargamento delle basi di Sigonella e Camp Darby.

L’alleanza subalterna con gli USA proietta l’Italia dentro questo cono d’ombra della guerra globale. Chi si opporrà con decisione a questa prospettiva inquietante per tutti? Non lo farà il PD perché ne condivide presupposti e ambizioni. Non lo faranno i partiti ex parlamentari della sinistra perché non hanno messo in crisi questo processo quando hanno avuto l’opportunità di farlo. Spetta dunque al movimento No War e al suo Patto permanente – alle forze politiche e sociali che lo hanno animato e mantenuto - prendersi sulle spalle il fardello di una seria opposizione alla guerra e alle sue conseguenze. La giornata di mobilitazione dell’11 giugno ha dimostrato che “SI PUO’ FARE”.

Sergio Cararo (Rete dei Comunisti)

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