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(30 Luglio 2011) Enzo Apicella

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    "Ma dove andremo a finire...!"

    (18 Giugno 2008)

    Sig. Presidente, Sig. Assessore,

    vorremmo partire da alcune considerazioni tratte dalle ”linee guida per la qualità nei servizi per l’impiego pubblici e privati” ( un progetto del 2007 finanziato dalla Commissione Europea a cui ha partecipato anche il nostro Ministero del lavoro ), quindi, sicuramente non di “parte”. Nel capitolo “Approccio alla qualità e caratteristiche dell’offerta dei servizi” si afferma: “…….l’approccio corretto alla qualità dovrebbe assicurare che un servizio o profilo di un servizio debba: essere onesto.….i comportamenti manipolativi e le strategie ingannevoli, siano accuratamente aboliti nonché rigorosamente puniti in termini legali e sociali. Le “promesse”, specialmente quelle legate alle esigenze umane più sensibili o alle aspettative di lavoro, devono essere fatte e trasmesse in modo onesto; essere realistico e fattibile…. La qualità dei servizi deve anche essere “attuabile”. I programmi o i progetti irrealistici, privi delle risorse necessarie ( tecnologiche, umane, culturali e finanziarie ), rischiano di alzare il livello delle aspettative e di creare più scontento rispetto alla situazione iniziale…E’ preferibile ritardare l’inizio dell’erogazione di un servizio che fornirne uno che può generare malcontento…; coinvolgere i cittadini e le comunità…; essere specifico e personalizzato…I Servizi per l’impiego dovrebbero essere …personalizzati, a causa dell’importanza e del significato profondo, che per l’essere umano, hanno il lavoro ed il ruolo che questo permette di raggiungere….; essere economicamente produttivo….; migliorare la qualità della vita….; avere effetti misurabili mediante l’analisi della soddisfazione degli utenti…..Il 96% degli utenti scontenti non si lamenta mai dei servizi inefficienti. Il 90% non tornerà. Ciascuno di loro lo dirà almeno ad altre 9 persone, alcuni a 20 o più”.

    Da quanto esposto, si evince, che al cittadino non servono operazioni di marketing ( spesso con effetto boomerang ), ma la garanzia di un servizio pubblico erogato in base alle sue aspettative, e per questo, riteniamo che la retorica dell’”ottimo lavoro svolto”, non consenta di soppesare carenze e manchevolezze. Non ha quindi senso affermare che nell’incontro domanda/offerta di lavoro “si escludono le aziende che offrono contratti a progetto per servizi di call center”, quando nel corso degli anni sono stati migliaia i contratti a progetto, anche illegittimi, preselezionati, compresi nei call center; è inopportuno affermare che “il servizio più utilizzato ed apprezzato dalle aziende è quello della preselezione, perché il Cpi, dopo aver valutato le necessità aziendali, delinea il profilo professionale ricercato, offrendo anche consulenza sulla contrattualistica più pertinente”; non corrisponde al vero, affermare che con questo servizio, si “sono creati centinaia di posti di lavoro”; come non ci sembra efficace, dichiarare la presenza di un tutor a fianco dei tirocinanti. Dei contratti precari abbiamo già detto; i posti di lavoro non sono stati creati grazie alla preselezione ( qualcuno ha mai sentito parlare di mercato dl lavoro? ); quanto poi ai tutor che affiancano i tirocinanti, basta chiedere a questi ultimi e tener conto dell’assenza di tali figure professionali in un contesto con scarse risorse umane.

    A nostro avviso, i “ nuovi” Centri per l’impiego, lodandosi per i “rinnovati” compiti, hanno perso di vista la loro ipotizzata funzione, che li vorrebbe apportatori di un miglioramento nella capacità d’inserimento lavorativo, di rafforzamento delle pari opportunità, di sviluppo della possibilità di creazione di nuovi posti di lavoro, interagendo anche con la formazione professionale.

    I governi avvicendatisi negli ultimi anni, hanno costantemente ribadito la necessità di ovviare ad un mercato del lavoro troppo rigido, renderlo più flessibile, avrebbe favorito l’occupazione, e le imprese avrebbero stabilizzato i lavoratori una volta rilanciata l’economia: i risultati non sono tardati a farsi vedere, un rodaggio perpetuo tra le fila del precariato. L’uso dei Centri per l’impiego è stato funzionale alla logica appena esposta: essi, non essendo in grado di sviluppare occasioni di lavoro e formazione professionale, sono divenuti un supplementare luogo dove le imprese possono trovare, senza impedimenti, tutte quelle forme di precariato al momento disponibili. Noi, invece, ipotizziamo una diversa gestione del Collocamento, rivolta anche ad alcune specificità territoriali, che non siano solo le imprese, con cui si possano attivare confronti innovativi e reciprocamente propositivi ( pensiamo ad aggregazioni giovanili, comunità d’immigrati, micro cooperative ecc ), aldilà degli stereotipati guazzabugli propinati da illuminati esperti, che mal si conciliano con le reali esigenze di chi fatica a riconoscersi come cittadino garantito.

    Per chi oggi afferma, enfaticamente, che i Centri per l’impiego sono passati dal 4% al 12% delle domande di lavoro, consigliamo di leggere “L’indagine previsionale sui centri per l’impiego e mercato del lavoro nel 2007-2013”, ove si prevede che “….per quanto riguarda la ricerca del lavoro, aumenterà la fiducia e la credibilità dei nuovi soggetti privati, ma non di quelli pubblici, né statali, né regionali, né comunali….. ”. Riteniamo inoltre, che coloro i quali vengono incaricati a gestire tali apparati, debbano possedere peculiari qualità umane, oltre che ovvia professionalità, sensibilità e volontà ad impegnarsi a difesa dei meno tutelati ( purtroppo, gli eterni mandati e benefit individuali, spesso alterano i migliori intenti, mantenendo un deleterio status quo).

    Non siamo contrari a che l’Assessorato al lavoro ponga in essere attività progettuali atte a migliorare ed implementare nuove prassi per ottimizzare le politiche attive del lavoro, ma vorremmo anche, fosse attivata una sorta di “politica attiva del personale”, che preveda la riqualificazione dello stesso ed una sua più pertinente caratterizzazione professionale, finalizzata all’ottimizzazione del peculiare servizio pubblico erogato, la cui qualità, sia in grado di offrire adeguate risposte al cittadino. Se i “fannulloni”, che in esso operano, non vengono dotati di strumenti idonei a svolgere compiti loro preposti; se le inerzie, i clientelismi, le incompetenze hanno il sopravvento; se viene trascurata anche la “formazione” alla consapevolezza di offrire un servizio di pubblica utilità, i privatizzatori ed i detrattori di professione avranno buon gioco. Noi ci opporremmo a quella sorta di “pensiero unico”, che subdolamente si sta manifestando e ci contempla come capri espiatori, agevoli bersagli, per imbastire una campagna di svuotamento delle prerogative dell’amministrazione pubblica, trascurando le vere responsabilità nella filiera dei “tutori del sistema”. Non siamo disposti ad assecondare politiche, che vogliono dare giudizi sul nostro operato, per mezzo di schedine valutative, spesso soggette ai più sfrontati clientelismi ed opportunismi, mentre amministratori delegati, “manager” di stato ed il cosiddetto “top management”, continua a ricevere, oltre ai lauti guadagni, principesche prebende, senza dover rendere conto di inadempienze ed incapacità. Se qualcuno dovrà giudicare, quello sarà il cittadino ( come in ogni vera democrazia ), ma solo se reso consapevole, che noi siamo il prodotto di un “sistema” e non gli artefici di indirizzi politici, di consapevoli ( e colpevoli ) omissioni, di carenze ed assenze strutturali e sovrastrutturali. Non siamo noi a gestire la “cosa pubblica”, siamo solo il mezzo, lo strumento con cui la burocrazia si/ci aggroviglia per perpetuarsi, trasferendoci i suoi “peccati”. Rischiando, quanto più l’insicurezza sociale diviene predominante, quanto più la precarizzazione della vita quotidiana distoglie dalle giuste rivendicazioni, quanto più la paura del futuro reifica le esistenze sociali, di renderci complici involontari di un assetto sociale ingiusto, e mascherare altrui colpe.

    La realtà dei Servizi per l’impiego è ben diversa da quella che traspare da dispendiosi convegni e clandestini reportage televisivi. Nonostante si affermi il contrario, essi, non possono essere in grado di far muovere un mercato del lavoro gestito da ben altre istituzioni ( Stato, Comunità europea, finanza internazionale ), le quali stabiliscono parametri di politica socio-economica, e che spesso, confliggono con ipotesi di “programmazione” territoriale. Tali conflitti, prodotti anche dalle contraddizioni del mercato, più volte si tenta di risolverli localmente garantendo alle imprese lauti benefit, qualora manifestino “ ravvedimenti” ( ad es. l’emersione dal lavoro nero ) o garanzie di assunzioni ( con sgravi di varia natura o contributi economici ). Naturalmente, l’azzardo, il più delle volte fallisce ( vedi le proroghe inerenti l’emersione dal “nero”, le mancate stabilizzazioni o gli accordi capestro nei call center ). Ci sembra quindi chimerico manifestare la volontà di rendere più “virtuose” le imprese, nell’adempiere ad assunzioni meno precarie e più garantite: le imprese non sono né buone né cattive, fanno solo quello di cui sono capaci, il profitto; se poi ciò avviene con la flessibilità salariale, con falsi rapporti di lavoro, con il precariato, con un diritto del lavoro ormai stravolto, poco male, fa parte del gioco. Rimane una certezza: la precarietà permanente.

    Si è più volte affermato, che l’Europa, entro il 2010, dovrebbe diventare “l’economia più competitiva del mondo” e questo grazie alla cosiddetta “strategia di Lisbona”, di cui tanto si è dissertato a destra e a sinistra. Ma dalla lettura dei documenti che accompagnano tali previsioni, emerge chiaramente, nonostante l’enfasi posta sull’aumento dell’occupazione, che questa è: sostanzialmente precaria, con tipologie contrattuali spesso imposte, di bassa qualificazione ( ambito privilegiato per gli immigrati ), con notevoli aree grigie e non garantite contrattualmente. Inoltre, l’abbassamento del tasso di disoccupazione non sempre viene considerato nel giusto valore: la rinuncia a proseguire nella ricerca di lavoro, di conseguenza, l’abbandono delle cosiddette politiche attive ( da cui lo svuotamento dei Centri per l’impiego ).

    Da parte nostra, non abbiamo mai ritenuto che compito dei Servizi per l’impiego fosse quello di “collocare” i propri utenti, ma di offrire servizi personalizzati, atti a garantire un percorso formativo e lavorativo stabile e garantito, contrapposto all’occupazione precaria e flessibile, che nessun aiuto economico alle aziende ha saputo debellare, ed avremmo fatto volentieri a meno di certi dispendiosi “progetti”, mediaticamente ridondanti, utili soltanto a solleticare sogni narcisistici ed autoreferenziali. Con un risultato sconfortante: neanche gli addetti ai lavori, sanno cosa siano i Servizi per l’impiego e come muoversi nel loro contesto. Ma del resto, l’ignoranza di molti, è il potere per pochi.

    Comunque, ci piacerebbe conoscere l’esito di tanti “progetti” ed “accordi” implementati grazie all’investimento di eterogenei fondi, quali migliorie abbiano apportato, quali e quanti siano stati i destinatari per la l’attuazione dei programmi. In sintesi: non ci interessa quanto l’Osservatorio provinciale sul lavoro “osservi”, quanti “progetti” Capitale lavoro spa abbia progettato, quante sono le ditte “assuntrici” di stagisti sostenute da fondi erogati dalla Provincia, quante domande di lavoro gli uffici preselezione “pre-selezionano”, quanti corsi di formazione la Camera di commercio implementa col supporto economico della Provincia ( la quale possiede sue scuole professionali ); non ci interessa sapere cosa è stato fatto, ma il risultato di tante poliedriche attività. Vorremmo conoscere anche noi, tanto per farci un’idea del lavoro svolto una, seppur irrilevante, opinione. Vorremmo aver notizia delle attività progettuali e cosa concretamente hanno apportato, quali benefici hanno prodotto rispetto le politiche attive del lavoro e per la qualità della vita dei cittadini, degli studenti, dei detenuti, delle donne e degli immigrati. Vorremmo, quindi, sapere il numero dei tirocinanti assunti, per quanto tempo e con quali contratti. Vorremmo sapere gli esiti delle preselezioni e quali rapporti di lavoro realmente siano stati attivati. Vorremmo essere informati se lo svantaggiato, il disoccupato, il giovane in obbligo formativo siano seguiti nel loro percorso e se le aziende beneficiate adempiano ai loro impegni. Vorremmo sì dei numeri, non da interpretare, ma supportati da fatti reali e verificabili.

    Lo ribadiamo con forza: la posta in gioco non riguarda solo i Servizi per l’impiego, ma un diverso progetto di società. E lo smantellamento della P.A., passa anche attraverso le scelte di chi non garantisce conoscenza, dignità e professionalità. La P.A., di cui i Servizi per l’impiego fanno parte ( a qualcuno occorre sempre rammentarlo ), sopravvive, non solo grazie ai rapporti di lavoro privatistici implementati, ma anche alla massa di precari, ai residuali lavoratori a tempo indeterminato, che sono costretti ad operare in ambienti fatiscenti, privi di mezzi strumentali ed alla mercé di direttive inconcludenti e falsamente innovative. La matassa si aggroviglia sempre più, la rete s’infittisce di soggetti nuovi, ognuno con il suo compito, ad ognuno la sua fetta: analisi, indagini, ricerche, statistiche, studi di settore, monitoraggi, pubblicazioni varie che nessuno leggerà mai, brochure, pieghevoli, convegni, cenacoli, tavole rotonde. Tutto un brulicare di iniziative, che fanno fibrillare i ( piccoli ) soggetti coinvolti, convinti di essere partecipi ad epocali “mutazioni genetiche”, ma che al comune cittadino servono ben poco, tanto è distante dall’effimera metamorfosi, che gli si vuol far credere sia in atto.

    In tale contesto, come trascurare i milioni di euro dovuti al FSE, entità eterea, di cui ben poco il cittadino-utente-“cliente” conosce la consistenza. Milioni stanziati per implementare l’implementabile. La gestione dei fondi europei finalizzata alle “politiche attive del lavoro” è inclusa in un contesto politico-economico di più vasta portata. Il controllo sul loro utilizzo, diverrebbe un’importante conquista per i lavoratori e per i cittadini verso cui sono finalizzati. Significherebbe la possibilità di attivare reali ed efficaci interventi atti a favorire una migliore occupazione, magari ridistribuendo equamente quella “ricchezza”, oggi troppo spesso utilizzata per “incentivare” le aziende onde produrre “buona occupazione”, per poi scoprire, che nella provincia e comune di Roma, il PIL aumenta grazie al lavoro precario, flessibile ed all’immigrazione sfruttata; mentre gli investimenti latitano e la rendita finanziaria ed immobiliare prospera.

    Milioni di euro disseminati in “progetti”, di cui anche Capitale lavoro spa è stata la beneficiaria, senza che si conoscano i risultati. Una società che doveva essere ricondotta “ai fini istitutivi originari” ( programma elezioni provinciali 2003 ), che ormai detiene libertà di assunzione, gestione e programmazione e governa, di fatto, le attività progettuali dei Servizi per l’impiego ( con l’avallo di funzionari, sempre più relegati nel loro avulso mondo “dorato”). Nel frattempo, gli operatori dei Servizi per l’impiego, vedono sempre più svanire la possibilità di professionalizzarsi ulteriormente, considerate le nuove competenze di Capitale lavoro spa, salvo seguire qualche corso di “aggiornamento” ( già vecchio sul nascere ), spesso inversamente inutile quanto proporzionalmente hanno guadagnato gli enti erogatori. Tutto ciò, alla faccia della sbandierata “life long learning”.

    Alla formazione del personale, si è preferito privilegiare il consolidamento della Spa, fertile terreno di conquista. Ne è così derivata scarsa professionalità degli operatori pubblici a cui, consapevolmente, non è stata voluta impartire una formazione mirata, valorizzando le professionalità presenti, a favore di “nuove leve”, prima ricattabili perché precarie, poi perché “educate” ad una diversa “progettualità” del lavoro che andavano a svolgere: privatistica ed “insensibile” alle richieste rivolte ad un servizio pubblico. La subdola privatizzazione dei Centri per l’impiego della Provincia di Roma è realtà.

    Concludiamo con le parole inserite nel “ libro bianco” sul mercato del lavoro del 2001: “ E’ urgente una massima semplificazione delle procedure di collocamento attraverso la competizione tra strutture pubbliche e private. Alla funzione pubblica vanno affidate residue attività ( anagrafe, scheda professionale, controllo dello stato di disoccupazione involontaria e della sua durata, azioni di sistema ); mentre vanno affidate al libero mercato le attività di servizio…..”

    Roma 9 Giugno 2008

    RdB-CUB P.I

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