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Dollaro addio!

(29 Giugno 2008)

Parecchi nodi stanno venendo al pettine di una globalizzazione che sembra creare più problemi che vantaggi, di miracoli del mercato non parla più nessuno, anzi gli Usa alzano un dazio del 700% contro l’importazione di acciaio cinese.

Il prezzo del petrolio, a 140 dollari barile, sembra il problema più grave, ma Draghi, parlando della crisi finanziaria dei “subprime” esportati in Europa dai nostri amici americani parla di SITUAZIONE CRITICA, ed è la prima volta.

C’è anche la novità dei prezzi dei generi alimentari che stanno costantemente aumentando, alcuni Stati sono al razionamento, e la crisi ambientale è sempre dietro l’angolo perché gli interventi strutturali necessari per invertire la rotta non sono partiti.

Sono tutti segnali di una crisi del sistema finanziario, produttivo, distributivo, energetico, ambientale, che segna la fine di un modello di sviluppo e segnala l’esigenza di nuove strategie e nuove classi dirigenti a livello mondiale.

Vorrei porre l’attenzione su una questione che, secondo me, viene sottovalutata,e trae origine dalla strategia americana che già da qualche anno tende a svalutare il dollaro per far pesare di meno il debito estero sulla sua economia. Tale manovra è in parte riuscita, ma come effetto perverso ha avuto quello di far alzare il prezzo del petrolio.

Infatti, la situazione internazionale per cui vige la regola di pagare il petrolio in dollari (salvo lodevoli eccezioni, da estendere), ha trovato i paesi produttori di fronte ad una moneta svalutata, che pochi oggi vogliono, e ciò ha sortito il naturale effetto di far lievitare i prezzi per compensare il diminuito potere di acquisto del dollaro.

L’unico modo per uscire da questo avvitamento è quello di abolire l’imperiale ruolo del dollaro, abolendo il pagamento del petrolio in dollari, lasciando agli Usa la possibilità di farlo, ma altresì lasciando tutti gli altri paesi liberi di pagarlo con la propria moneta, e ciò potrebbe far somigliare il mercato petrolifero a un mercato libero, e non più un gigantesco sostegno finanziario e politico ad una potenza imperiale che, con 900 basi militari sparse nel mondo, appoggia questa politica dalla fine della seconda guerra mondiale.

La spirale dei prezzi petroliferi è legata alla crisi del dollaro, alla fine della egemonia americana nel mondo,alla fine della credibilità democratica di chi spaccia aggressioni ad altri Stati per difesa della libertà e della democrazia, all’emergere di poli del peso della UE, della Cina, dell’India, della Russia, e spero presto degli Stati Uniti dell’America Latina e degli Stati Uniti Africani.

L’America deve risolvere le sue crisi senza più esportarle subdolamente con i “mutui subprime”, né con la svalutazione del dollaro, né imponendo pagamenti in dollari e quindi riserve obbligatorie di valuta per denominare il petrolio il cui prezzo non deve più essere fissato né a New York né a Londra, ma stabilito dai produttori e dal “libero mercato”.

Gli USA dovranno accettare di essere un grande polo economico, ormai raggiunto, come PIL dalla UE, insieme a tanti altri poli nel mondo, e la crisi del loro sistema imperiale e il vizio di intromettersi in tutte le situazioni di crisi deve finire, e per il mondo sarà la fine di un incubo.

Tutte le aree geopolitiche avranno modo di integrarsi e stabilizzarsi come, ad esempio, accadrebbe tra l’Europa e la Russia e i paesi del Medio Oriente, se non ci fossero più gli USA a mettere zizzania, a inventarsi minacce, a occupare militarmente con la Nato, a fare guerre, a fare scudi stellari contro un nemico inventato.

Il barile a 200 dollari potrà dare una spinta decisiva in questo senso, se sarà chiaro di chi è la responsabilità.

29 giugno 2008

Paolo De Gregorio

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