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(23 Marzo 2011) Enzo Apicella
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L'Europa superpotenza: una prospettiva con molte facce

un articolo di Contropiano

(1 Febbraio 2003)

Le giuste aspirazioni ad un mondo multipolare che contrasti la supremazia statunitense e la guerra, omettono troppi fattori che caratterizzano le attuali ambizioni dell'Unione Europea a costituirsi come polo imperialista maturo. Le contraddizioni che derivano dalla competizione globale tra Stati Uniti ed Europa si accentuano. Resta il problema di come trasformarle in una prospettiva di cambiamento generale. L'Europa come "nuovo Principe" da opporre alla egemonia mondiale americana, somiglia troppo al suo competitore principale. L'attuale squilibrio nei rapporti internazionali subirebbe anche cambiamenti importanti ma è una illusione pericolosa pensare che esista un imperialismo "dal volto umano".

"Per la Cina il rapporto con l'Europa è basato sull'idea di un mondo multipolare. Oggi esiste al mondo una sola superpotenza, quella americana. Per chi, come i cinesi, ha interesse ad un maggiore equilibrio su scala planetaria, è irrinunciabile la speranza che un giorno l'Unione Europea possa diventare un polo di pace e di sviluppo accanto all'America, alla Cina, alla Russia ed eventualmente anche ad altre potenze...Per noi dunque l'Europa non è un tema in sé, ma parte di un ragionamento geopolitico che investe il ruolo della Cina nel mondo e soprattutto i suoi rapporti con gli Stati Uniti" (1).

L'auspicio contenuto nel documento di questo analista cinese, spiega molto chiaramente la posta in gioco nelle odierne relazioni internazionali caratterizzate dalla supremazia americana e dalla guerra come strumento concreto della sua affermazione.

E' in questo contesto che molti guardano all'Europa come potenziale polo riequilibratore e di riferimento delle potenze minori minacciate dalla supremazia imperiale americana."L'Europa dovrà divenire un centro di forza geopolitico più potente di quanto non appaia oggi e di quanto non possa essere nel suo attuale stato di vassallaggio" - sostiene emblematicamente il viceministro degli esteri russo Tret'jakov - "La Russia deve compensare la propria debolezza entrando a far parte della nicchia geopolitica più naturale per lei, rappresentata dall'Europa e solo dall'Europa" (2).

Non saranno sfuggite ai lettori e ai compagni, la recente raffica di interviste ad esponenti di rilievo dell'establishlment europeo (Prodi, Monti, Solana) nelle quali veniva invocata - più o meno apertamente - l'ambizione di rendere l'Europa una nuova superpotenza capace di giocare un ruolo globale sullo scenario internazionale.

Le celebrazioni per il primo anniversario dell'euro e il sorpasso avvenuto nel tasso di cambio tra la moneta europea e il dollaro statunitense, hanno contribuito a rafforzare la convinzione che una Europa con il rango di superpotenza sia l'aspirazione non più sottaciuta di molti soggetti economici e politici europei. L'incoraggiamento in tale direzione che giunge dai più svariati ambienti internazionali é, come abbiamo visto, piuttosto esplicito.

Ma questa aspirazione deve fare i conti con se stessa oltre che con il contesto internazionale dominato dalla guerra "infinita" e dalla ossessiva difesa della propria supremazia globale da parte degli Stati Uniti. Questa doppia sfida - all'interno degli equilibri dell'Unione Europea e all'esterno dentro lo squilibrio delle relazioni internazionali - ci presentano di fronte problemi di estrema rilevanza in cui le forze democratiche e di classe europee non possono dar prova di subalternità o leggerezza.

Tendenze e controtendenze per l'Europa "Superpotenza"

Le mine e le trappole seminate sul progetto di una Unione Europea come polo geopolitico globale sono numerose. Alcune sono interne, altre esterne.

Quelle interne coincidono con i governi filo-statunitensi che non esitano a remare contro la trasformazione dell'Unione Europea in qualcosa di superiore ad un'area di libero scambio. Non è un mistero che Londra e Roma siano oggi "la spina nel fianco" di tale progetto. La prima è rimasta fuori dall'eurozona e ribadisce in ogni occasione la sua "speciale relazione" con gli USA, la seconda oscilla tra un europeismo ormai consolidato dentro le classi dominanti e un governo - Berlusconi - che fa del suo filo-americanismo una continua professione di fede.
"L'Unione Europea sta vivendo contemporaneamente il passaggio tra consolidamento ed affermazione definitivo di un proprio autonomo blocco economico e la contraddizione interna di uno sviluppo diseguale e comunque basato su modalità diverse" sottlineano nel loro studio sull'eurobang Luciano Vasapollo e Rita Martufi (3).

Non si possono infatti sottovalutare le contraddizioni che deriveranno anche dall'allargamento all'Europa dell'Est dell'Unione. Il carattere disuguale dello sviluppo europeo, già visibile nell'Europa a 15 paesi, non potrà che accentuarsi dando vita ad una sorta di "periferia interna" piena di doglianze e già adesso vittima di discriminazioni sancite nei trattati europei. Non solo, alcuni di questi paesi hanno leadership apertamente filo-statunitensi (Repubblica Ceca e Polonia soprattutto), tant'è che l'International Herald Tribune ha titolato in prima pagina che "Washington è la grande vincitrice dell'allargamento della UE" o che Bush ha dichiarato che "la Polonia è il nostro più stretto alleato oggi in Europa" (4).

Uno sguardo alla storia porta in evidenza come i processi di unificazione tra gli Stati - così come quelli di secessione - comportino spesso conflitti di estrema violenza tra le opzioni in campo. L'unificazione della Germania nella seconda metà dell'ottocento o la guerra civile americana hanno visto scatenarsi conflitti spaventosi tra le classi dominanti dell'epoca. Un "falco" come l'economista americano Martin Feldstein, cinque anni fa non ha esitato a parlare di "guerra e discordia dentro l'Europa e tra Europa e Stati Uniti se fosse andato avanti il progetto dell'euro" così come ha fatto in almeno un paio di occasioni Helmut Khol parlando dell'unificazione europea come "questione di pace o di guerra nel XXI° Secolo".

La ritrosia e l'ostilità della Gran Bretagna verso la definizione compiuta di una Unione Europea come potenza globale fino a quando potrà essere tollerata? Vista con il cinismo della storia, la "perfida Albione" dovrebbe essere sottoposta a sanzioni o addirittura a pressioni militari fino ad essere "persuasa" a rompere la speciale partnership con gli USA, ad entrare pienamente nell'eurozona (portando in dote una delle maggiori piazze finanziarie del mondo) e nell'esercito europeo. Lo scenario è chiaramente fantapolitico ma volendo dare coerenza logica al corso degli avvenimenti e alle opzioni in campo, é comunque difficile prevedere che il cammino verso una Europa superpotenza possa essere scevro da conflitti e tensioni interne ed internazionali.

Tra queste ultime spicca per importanza l'aperta ostilità dell'altro polo principale della competizione globale in corso: gli Stati Uniti.

Le divergenze di Praga

Che l'agenda delle relazioni transatlantiche tra Europa e Stati Uniti sia ormai divergente, non appare più una forzatura teorica. Sandro Viola, che questo estate è stato protagonista di un breve e aspro dibattito sulle pagine della Repubblica, ha scritto "La divaricazione è nei fatti perchè la visione del mondo non è più la stessa...il rapporto tra Europa e America è compromesso. Lo si potrà riparare qua e là, ma nessuno può illudersi che ritorni ad essere quello di prima" (5)

Emblematico di tale divaricazione e del tentativo statunitense di impedire ogni sganciamento europeo è stato il vertice NATO di Praga. Sovrapponendo la mappa dei nuovi paesi ai quali si è allargata l'Unione Europea e quelli aderenti alla NATO, i confini coincidono perfettamente ad esclusione della Turchia. Su 27 membri della NATO, 24 sono anche parte dell'Unione Europea. Sono molti coloro che "per convinzione o per denaro" trovano in questo nulla di risibile, anzi, rivendicano la piena coincidenza tra le due organizzazioni. Eppure, il fronte di quelli che ritengono tale coincidenza un fardello non più sopportabile, anzi un ostacolo per le ambizioni europee è cominciato a crescere e non si tratta, si badi bene, di militanti antimperialisti di vecchia data o di giovani no global.

Commentando il vertice NATO di Praga, un editorialista de "El Pais" ha esplicitato gli stessi interrogativi che attanagliano buona parte dell'establishment europeo:
"E' lecito chiedersi se una NATO più forte significhi anche un rafforzamento dell'Europa...Oggi questa stretta rischia di diventare soffocante e, comunque, di limitare l'autonomia dell'Unione Europea.... Un pericolo non da poco per gli europei può derivare dalla creazione della Forza di Reazione della NATO. Stati Uniti e Gran Bretagna vogliono che questa sia operativa già nel 2003, dunque prima della Forza di Reazione Rapida europea" (6).

Sarebbe errato ritenere queste solo come opinioni personali espresse in un autorevole giornale europeo. Tant'è che al termine del vertice di Praga, il cancelliere tedesco Schroeder e il presidente francese Chirac si sono incontrati prima di ripartire dalla capitale ceca e hanno concordato di dare semaforo verde ad un documento comune sui problemi della Difesa europea. Questo documento franco-tedesco dal titolo "Proposizioni congiunte in tema di politica europea di sicurezza e difesa", due giorni dopo era sul tavolo di Michel Barnier il commissario europeo che coordina il Gruppo di Lavoro Difesa della Convenzione Europea. Il documento imprime una nuova accelerazione al progetto di Esercito Europeo, un progetto che dovrebbe diventare operativo entro e non oltre il 2003. Come mai questa decisione che alcuni hanno letto come "una nuova sfida all'asse Bush-Blair ma in qualche misura anche alla NATO"? Perchè gli americani e gli inglesi nel vertice di Praga avevano tirato fuori dal cappello la proposta della Forza di reazione della NATO per le operazioni nella "guerra al terrorismo" da rendere operativa....entro il 2003, dunque sovrapponendosi e neutralizzando il progetto di Esercito Europeo.

Volendo ricapitolare alcuni avvenimenti possiamo rilevare che :
1) appena l'Unione Europea si allarga a qualche altro Stato, questo viene immediatamente integrato nella NATO. Se è vero, ed è vero, quanto sostiene Brzezinski ossia che la NATO per gli Stati Uniti resta uno strumento fondamentale di politica militare ma anche di interferenza negli affari europei, questa sovrapposizione spiega benissimo il senso di "soffocamento" denunciato dall'editorialista de "El Pais".
2) le aziende inglesi e americane sono intervenute pesantemente sugli anelli deboli dell'Unione Europea (Italia soprattutto) per far saltare od ostacolare gli accordi tra le società europee tesi a costituire dei poli industriali europei nelle tecnologie, nel settore militare e in quello aereospaziale in grado di competere con quelli statunitensi (ricordate il caso dell'Alenia, il voltafaccia della Finmeccanica, il goodbye del governo Berlusconi all'aereo da trasporto militare del consorzio Airbus etc?)
3) La proposta della creazione di una Forza di Reazione della NATO entro il 2003, ha il chiaro obiettivo "seminare zizzania" tra i membri dell'Unione e di distogliere risorse, uomini e mezzi dall'obiettivo della costituzione della Forza di Reazione Rapida europea entro l'anno, di depotenziarla e di impedire ogni sganciamento militare, tecnologico e politico dell'Unione Europea dalla NATO cioè dallo strumento con cui gli Stati Uniti possono interferire concretamente sulla politica europea.

L'ipoteca statunitense sulle ambizioni europee

Negli Stati Uniti, è ormai maggioritaria dentro l'establishment, l'idea che l'Europa si stia sganciando dall'influenza americana e stia cercando di delineare un proprio protagonismo globale. Ed è toccato ancora una volta ad uno dei più influenti membri dell'establishment USA, Henry Kissinger, lanciare messaggi intimidatori ai "riottosi" partner europei.

Già in una intervista ad un settimanale italiano lo scorso anno, Kissinger era stato tagliente verso le ambizioni europee ("quando l'Unione Europea agisce come soggetto unico negli affari mondiali, molto spesso, e sarei tentato di dire sempre, agisce in opposizione agli Stati Uniti...questo sarebbe un errore capace di portare ad una frattura tra le due sponde dell'Atlantico in un mondo sempre più pieno di problemi") (7).

Al termine del vertice della NATO a Praga e in presenza del dissenso manifestato dalla Germania verso l'intervento militare contro l'Iraq, Kissinger è tornato alla carica senza mezzi termini contro l'Unione Europea: "L'Europa deve resistere alla tentazione di distinguersi. La critica della cultura e del sistema politico americano è stata il principale argomento degli oppositori europei alla NATO negli anni '50. La cosa insolita, ora, è che i governi di paesi chiave non stanno facendo nulla per frenare questa tendenza, anzi arrivano a provocarla". In un passo successivo del suo articolo, Kissinger non ha esitato ad utilizzare scenari e categorie che richiamano assai da vicino i moniti di Feldstein e Khol "Se distinguersi significa essere in disaccordo, allora la civiltà occidentale è sulla strada dell'autodistruzione come già fatto nella prima metà del XX° Secolo" (8).

Se è realistico ritenere che il documento franco-tedesco sulla Difesa segni un salto qualitativo nella "distinzione" compiuta delle ambizioni europee da quelle statunitensi, siamo in presenza di avvenimenti destinati a modificare profondamente lo scenario dei rapporti transatlantici e delle relazioni internazionali nel loro complesso.

Ma l'Esercito Europeo si farà

L'idea avanzata nel documento franco-tedesco sulla Difesa, riafferma il carattere offensivo della Forza di reazione rapida europea già indicato nel vertice dell'Unione Europea di Helsinki (1999) e in quello di Lisbona (2000).
Recependo le coordinate di questo progetto di proiezione internazionale dell'esercito europeo, un documento dello Stato Maggiore italiano recita testualmente "Secondo quanto stabilito a Helsinki, il Corpo dovrà essere in grado di giungere in area d'operazioni entro 60 giorni dall'attivazione, ma una prima alioquota di pronto intervento sarà schierabile in appena due giorni, impegno non certo di poco conto, se si considera che i teatri di crisi potrebbero essere anche molto distanti dall'Europa...Per esempio in aree turbolente come il Caucaso e l'Asia centrale". (9)

Il contributo delle varie forze armate "nazionali" all'Esercito Europeo, vede un totale di 118.000 uomini sui quali poter contare per avviare operazioni a vasto raggio e con ampia proiezione internazionale con un ricambio sul campo dopo 60 giorni di operazioni. Gli incrementi sui budget militari di singoli paesi europei dovranno essere rilevanti. Javier Solana ha già ammonito che "per elaborare una difesa collettiva alcuni paesi dovranno effettuare ristrutturazioni dolorose e stanziare fondi supplementari" con l'obiettivo di trasformare forze statiche in unità flessibili e proiettabili a grande distanza.

Resta il problema di come ovviare al fatto che alcuni membri dell'Unione (vedi la Gran Bretagna, l'Italia o la Spagna) potrebbero non condividere ed anzi ostacolare una proiezione militare europea autonoma dalla NATO. Il documento franco-tedesco indica la soluzione e i meccanismi decisionali del nuovo Esercito Europeo:
a) Se non tutti i membri UE sono disponibili, si ricorrerà alle "cooperazioni rafforzate" (in sostanza chi ci stà ci stà, come avvenuto per l'introduzione dell'euro)
b) Costituzione di una forza multinazionale europea dotata di un comando integrato
c) Costituzione della Agenzia Europea per la politica degli armamenti (quindi adozione di standard e tecnologie tarati sull'industria militare europea)
d) Si agirà per consenso (come per l'euro), la guerra si decide solo se c'è l'unanimità...ma esiste la possibilità di "astensioni costruttive".

Questo progetto dovrà diventare operativo entro l'anno in corso. La Turchia - sempre più stretta tra le aspirazioni ad entrare nella UE e il fiato sul collo statunitense - fino a dicembre si era opposta ad ogni sovrapposizione tra proiezione militare autonoma europea e strutture NATO, ma poi ha revocato il suo veto.

La divaricazione e la competizione tra l'Esercito Europeo con il progetto anglo-americano in ambito NATO di una Forza di reazione sempre entro il 2003....è ormai evidente. La sua realizzazione, sancirà nei fatti, più che nelle parole, la rottura della subalternità militare europea agli Stati Uniti. Ma sancirà anche che l'Unione Europea è disposta ad intervenire militarmente con propri uomini e mezzi nei teatri di crisi dove ritenesse minacciati i suoi interessi strategici (parole di Javier Solana) e lo farebbe nè più né meno di come fino ad oggi lo hanno fatto gli USA, magari autonomamente ed anche in contrasto con gli interessi degli Stati Uniti nel Medio Oriente o in Africa, nell'Europa dell'Est o nel Maghreb.

E' in tale contesto che molti vedono l'Europa superpotenza come un "moderno Principe" il quale, raddoppiando le spese militari e unificando anche coercitivamente i "nani politici" europei in un unico grande polo geopolitico (e imperialista), potrebbe essere capace di tenere testa agli Stati Uniti sullo scacchiere mondiale e di fornire una sponda agli altri paesi "riottosi" alla subalternità verso gli USA.


NOTE:

(1) Cheng Yawen, in Limes nr.3/2002
(2) Vitalij Tret'jakov in Limes nr.1/2002
(3) R. Martufi e L.Vasapollo in "Eurobang. La sfida del polo europeo nella competizione globale", p.274, edizioni Mediaprint, Roma ottobre 2000
(4) International Herald Tribune del 9 dicembre 2002
(5) Sandro Viola in "La Repubblica" del 19 e 21 agosto 2002
(6) Andrès Ortega in "El Pais" 25 novembre 2002
(7) Intervista a Kissinger su "Panorama", giugno 2001
(8) Kissinger in "La Stampa" del 1 dicembre 2002
(9) "L'Esercito Europeo", pubblicazione dello Stato Maggiore Esercito italiano, 2001.
(10) In realtà le spese per la "funzione difesa" sono pari all'1% del PIL perchè il 45% viene utilizzato per l'Arma dei Carabinieri e quindi per il "fronte interno". Sui 34.000 miliardi di lire stanziati per il 2001, circa 10.000 miliardi sono andati ai Carabinieri
(*) Le tabelle utilizzate sono state prese dal rapporto annuale francese "Stato del mondo 2003", Edizioni La Decouverte tradotto in Italia dalle edizioni Hoepli

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