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Firme e girotondi

(6 Luglio 2008)

Tra firme e girotondi annega il residuo della credibilità dell'opposizione italiana, divisa ed umiliata dalle elezioni in avanti, in un contesto che appare, nel concreto e non solo nella visione giornalistica, da “basso impero”.

Mentre il regime populistico e personalistico (Sartori, oggi, sulle colonne del “Corriere della Sera”, parla di sultanato) gioca la sua ultima partita contro la Magistratura, cercando di affermare quella che possiamo ben definire “illegalità repubblicana”, e si rafforza sfruttando la totale assenza di visione del futuro di gran parte della società italiana ed esaltandone le pulsioni più negative; mentre incombe una crisi economica che molti paragonano a quella derivante dallo shock petrolifero dei primi anni'70, emergono elementi di impoverimento generale, suonano di nuovo le trombe della guerra e l'Europa perde, giorno dopo giorno, la capacità di rappresentare uno “spazio politico”.

Mentre tutto ciò accade ed è sotto gli occhi di tutti, non soltanto degli osservatori più avvertiti o di qualche Cassandra inascoltata, la sinistra italiana si divide fra chi decide di accodarsi ad una sorta di prepolitica “indignazione morale”, ben alimentata da qualcuno a scopo elettorale e/o pubblicitaria, tralasciando i temi veri, profondi, di questo stato di cose e limitandosi alla superficialità dell'esistente e chi, dall'altra parte pare proprio continuare in una visione del tutto irrealistica dello stato di cose in atto, come era già capitato nel corso della campagna elettorale e prosegue in una linea del tutto suicida dell'abbandono di ogni idea di proposta alternativa di trasformazione sociale, e subisce mestamente l'egemonia dell'avversario, contrastandolo con qualche petizione popolare dall'incerto destino (la riproposizione del “dialogo per le riforme”, una volta passata la buriana del “gossip”?).

La posizione della ex – sinistra radicale, oggi extraparlamentare, poi appare la più paradossale di tutte: presi dall'ansia dell'apparire comunque, in mezzo alle reciproche accuse di truccare i congressi, i dirigenti che hanno portato al disastro dell'Arcobaleno si dividono specularmente ai modelli che abbiamo già indicato, nell'assoluta incapacità di riuscire a proporre una linea diversa, tale da presupporre ad un tentativo di ritorno alla riflessione intorno ad una proposta egemonica: è la solita accozzaglia tra il richiamo dei “movimenti” (questa volta rappresentati dai “radical chic” di Piazza Navona) e la necessità di continuare a “far politica” (identificata nella subalternità al PD: con il quale magari riproporre una qualche riedizione di un perdente centrosinistra).

E' grave che non riescano a sottrarsi a questo richiamo all'autodistruzione neppure gli esponenti della “sinistra che non tradisce” del PCL, che incredibilmente saranno a Piazza Navona (a meno di augurabili smentite) e quanti (penso a SD) hanno pure proposto una nuova e diversa soggettività della sinistra italiana.

Insomma: gli altri dettano l'agenda (vorrei ricordare l'importanza dell'agenda in politica e il potere che detiene chi riesce ad averla in mano, in questa situazione dove i soggetti politici hanno ormai la parvenza del “cartello”) e le sparse truppe dell'autonomia del politico seguono, incuranti del loro stesso destino, apparentemente incapaci di rialzare la testa.

Perché, ad esempio, non è stata fatta la proposta di “annegare” la manifestazione di Piazza Navona, egemonizzandola, sia dal punto di vista dei contenuti (la famosa mancanza dei contenuti politico – sociali e l'eccessivo sbilanciamento sul “giustizialismo”), sia dal punto di vista (voglio essere chiaro) del suo “colore politico”?

Perché questa rinuncia a riproporre alla sinistra italiana un modello di far politica che, recuperando il protagonismo di base, tenti di recuperare anche una idea di rinnovamento dell'agire politico in una funzione di integrazione di massa, riconnettendo le insorgenze sociali con le espressioni più avanzate della sintesi, della proposta, dell'iniziativa.

Ci troveremo di fronte, fra qualche tempo, ad una situazione ancor più difficile: sul piano economico, sul piano delle dinamiche sociali, sul terreno della stessa agibilità democratica.

Con quali strumenti affronteremo quella situazione?

Oggi, osservando i fatti, il pessimismo appare sovrano.

Savona, li 5 Luglio 2008

Franco Astengo

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Commenti (1)

MEGLIO NIENTE?

Non condivido la critica spregiativa di Astengo verso la manifestazione dell'8 luglio nè, tanto meno, il pessimismo esistenziale cosmico sul futuro della sinistra.
Ovvio che il tema dell'opposizione alle leggi canaglia della maggioranza parafascista di Berlusconi è insufficiente ed inadeguato di fronte all'attacco che essa sta portando alle conquiste civili e sociali conseguite dalla società italiana a partire almeno dagli anni sessanta. Ma questo deficit propositivo della manifestazione dell'otto luglio può essere una ragione sufficiente a giustificare un attesismo, alla Godot, autodistruttivo che consuma quel poco di energia vitale che ancora puoi mettere in campo in una condizione di assoluta inagibilitàpolitica?
O ci stiamo dimeticando che la barbarie liberista è al massimo della sua egemonia culturale e politica in questa fase storica? Io credo che in questo momento chiunque intenda opporsi il tentativo golpista per via legislativa operato dal governo di centro destra abbia il dovere di accantonare il proprio piccolo io per creare un "noi", anche contingente e temporaneo, per salvaguardare i cardini della democrazia e dei diritti garantiti dalla costituzione.
O è meglio morire di consuzione?
Io non voglio morire senza lottare e l'otto luglio ci sarò.

(6 Luglio 2008)

vincenzo lombardo

vinlom-2@libero.it

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