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La decrescita infelice

(14 Luglio 2008)

Già si vede all’orizzonte qualche fosco segnale di stagnazione economica globale, forse di recessione, e c’è già gente che nel ricco occidente si priva di frutta e verdura, non fa vacanze perché non ce la fa con il reddito.
Ho la netta impressione che la crisi legata principalmente ai mutui americani fasulli, all’aumento del prezzo del petrolio, all’aumento dei prezzi dei cereali dovuto alla speculazione e all’aumento dell’uso dei cereali per fare etanolo per autotrazione, sommata alla mai abbastanza denunciata crisi climatica con siccità, uragani più frequenti, uso agricolo di acque delle falde fossili non rinnovabili, impoverimento dei mari per l’esagerato sforzo di pesca, lo scongelamento in atto dell’Artico, sono crisi di segno strutturale non riassorbibili con aggiustamenti contabili, e andrebbero governate saggiamente, cosa che non avviene.
Certo, coloro che hanno puntato tutto sulla globalizzazione, con cui è stato contagiato tutto il mondo, sono al potere, sanno bene che la fine di questa follia sarebbe anche la loro fine e cercano di resistere in tutti i modi, anche se i nodi strutturali della globalizzazione sono venuti al pettine, e il prezzo elevato del petrolio non consente più la possibilità di far viaggiare le merci in modo economico.
E’ evidente che l’unica strategia possibile sarebbe quella di riconvertire tutte le economie nazionali puntando alla autosufficienza alimentare ed energetica, cosa oggi tecnicamente possibilissima, puntando sul solare diffuso e su una agricoltura non industriale, legata al territorio e che produce per i bisogni interni a km zero.
Quella che andrebbe realizzata globalmente sarebbe l’autosufficienza di ogni nazione, la fine delle tutele, delle egemonie, delle ruberie di materie prime, per passare alla sostenibilità, senza dipendere da forniture estere, e facendo i conti con un indispensabile contenimento delle nascite non potendo più contare sulla emigrazione.
Il mondo ha già 800 milioni di affamati che nessuna politica assistenziale, tipo FAO, ha potuto fermare, e tutte le valutazioni e i programmi di contenimento della fame si sono rivelati sbagliati e fantasiosi, ed è ora di scontrarsi con le religioni che sono il principale ostacolo a qualsiasi pianificazione demografica.
Fermare globalmente l’emigrazione significa responsabilizzare i singoli individui che non potranno più scaricare su altri paesi la propria irresponsabilità riproduttiva, perché si sa benissimo quanta gente può sfamare un territorio e se la via dell’emigrazione è veramente chiusa, qualcosa ci si inventa anche se i preti islamici e cattolici remano contro.
L’unico contenimento delle nascite operato al mondo è stato quello cinese, attuato da uno Stato lungimirante che ha tassato le famiglie con più di un figlio, e reso possibile dal fatto che in Cina le religioni non contano nulla.
La fine della globalizzazione significherebbe anche la fine di un sistema che fa consumare agli Usa, che sono il 5% della popolazione mondiale, il 40% di tutte le risorse alimentari ed energetiche mondiali, facendo finire questa assurdità che il cibo arriva agli obesi dai paesi affamati (basta pensare alle banane).
Il problema è che sia la destra che la cosiddetta “sinistra” oggi hanno la stessa posizione di ineluttabilità della globalizzazione anche se questa mostra segni di cedimento e di inadeguatezza ad affrontare l’emergenza, la loro politica non cambia, anche perché culturalmente inadeguate a guidare la rivoluzione energetica, ambientale, agricola, demografica, della sostenibilità.
Oggi economia e politica sono un tutt’uno con il mercato e questo è male, perché una nazione apparentemente fortissima come la Cina, totalmente inserita nella globalizzazione, sta trasferendo nelle nuove città e nei poli industriali centinaia di milioni di contadini per far fronte alla produzione di merci da esportazione, ma se una crisi petrolifera, economica, monetaria, fermerà questo flusso di esportazioni ci si troverà di fronte a problemi giganteschi che sarebbe meglio prevenire.
Certo tornare a consumare in proporzione a ciò che si è in grado di produrre in modo sostenibile, sembra un passo indietro e la fine del consumismo, ma questa non è una libera scelta, è una strada obbligata che si deve percorrere se non si vuole andare ottusamene e a testa bassa verso il disastro, ed è una strada che preti e capitalisti, grandi e storici alleati, non vogliono e non possono percorrere.
Presto le grandi metropoli potranno trasformarsi in inferni dove non arriveranno più rifornimenti alimentari ed energetici e rapidamente i rapporti tra gli uomini potrebbero tornare a quelli dell’età della pietra.
Oggi la tecnologia fotovoltaica è in grado di dare ad una singola casa energia per scaldarsi, per cucinare, per caricare le batterie di una macchina elettrica. Un piccolo appezzamento di terra può dare l’autonomia alimentare, l’autosufficienza idrica è possibile con cisterne collegate al tetto, e anche tutto il sapere è su internet.
Vi sono oggi in Italia milioni di persone che potrebbero cominciare a vivere in questo modo, umano, sostenibile, nuovo, sottraendosi all’orgia del mercato e alla sua distruttività, fondando un nuovo umanesimo basato sulla sobrietà, sulla autoproduzione, sulla libertà, sul libero scambio di prodotti, sulla responsabilità riproduttiva, sul rispetto della natura, senza produrre rifiuti, riciclando ogni cosa.
Chi può lo faccia, l’Italia è piena di paesi abbandonati, di terre incolte, dove far rinascere la vita e vivere semplicemente, con le proprie forze.

14 luglio 2008

Paolo De Gregorio

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