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Marghera. Petrolchimico a rischio occupazione

(22 Luglio 2008)

MARGHERA - La Ineos Vinyls, l’azienda francese terza al mondo per la produzione di cloruro di vinile monomero (Cvm) e polivinilcloruro (Pvc ), ha annunciato l’intenzione di abbandonare il polo chimico di Marghera.

Una scelta che di fatto condannerà centinaia di lavoratori alla disoccupazione forzata. Indubbio che l’uscita della Ineos dal polo chimico di Marghera provocherà anche un effetto domino sugli altri settori della filiera di produzione, con ricadute pesanti su tutta l’occupazione.

Un tavolo di confronto è stato organizzato due settimane fa dal ministro dello Sviluppo economico Claudio Scajola con i ministri Renato Brunetta e Maurizio Sacconi, al quale hanno partecipato i vertici dell’azienda francese, Massimo Cacciari sindaco di Venezia, Giancarlo Galan e Davide Zoggia, rispettivamente presidente della Regione Veneto e della provincia di Venezia. Ma a quanto pare l’incontro non ha sortito l’effetto desiderato e c’è chi nutre, specialmente i lavoratori, una particolare preoccupazione su questa vicenda.

“Le trattative - afferma Davide Zoggia - sono ancora in corso. Sostanzialmente è stato fatto un accordo con l’Eni che potrebbe come ultima ipotesi farsi carico della quota societaria della Ineos, già sua partner. La stessa azienda francese dal canto suo sta cercando di sondare il mercato alla ricerca di potenziali acquirenti.
Il Governo – continua Zoggia - si sta interfacciando direttamente con l’Ineos per trovare una via d’uscita in tempi brevi, specialmente sul fronte occupazionale. A rischio, infatti, ci sono 500 lavoratori, un numero altissimo che potrebbe aumentare ulteriormente se consideriamo l’indotto che ruota attorno all’azienda francese. Quindi – conclude Zoggia - bisogna assolutamente scongiurare la chiusura dell’Ineos che provocherebbe una situazione davvero ingestibile soprattutto per gli ammortizzatori sociali ai quali si dovrebbe far fronte. Verso la fine di agosto ci incontreremo nuovamente per fare il punto della situazione.”

C’è invece un certo scetticismo da parte dei sindacati che chiedono insistentemente un atto concreto sulla vicenda da parte delle parti in causa. “Chiediamo la coerenza del piano industriale – sostiene Franco Baldan, segretario generale Filcem Cgiil Venezia - per questo progetto che può determinare il consolidamento del polo chimico italiano inteso come settore trainante per l’economia nazionale e occupazionale. Oggi esistono tutte le condizioni per procedere in questo senso, ma la mancanza di trasparenza da parte di Eni e Ineos generano l’assoluta incertezza del futuro di questo strategico settore.”

Ma parlare di Eni per i sindacati, come racconta Baldan, potrebbe anche rappresentare l’imminente chiusura della produzione perché la multinazionale italiana ha abbandonato la chimica già da quindici anni. In caso dovesse subentrare potrebbe essere solo un passaggio temporaneo che alla fine porterebbe ad una lenta e inesorabile cessazione dell’attività. Un copione già visto durante le trattative della Dow Chemical, che nell’agosto del 2006 chiuse gli impianti. L’Eni non era interessata a rilevare l’attività dell’azienda chimica ma prese comunque a carico solo i dipendenti, dei quali 35 sono ancora in cassa integrazione.

Eppure oggi le cose dovrebbero essere ben diverse perché esiste un accordo siglato in presenza di Pier Luigi Bersani ,all'epoca dei fatti ministro dello Sviluppo Economico ,tra Eni e Ileos i quali diedero la garanzia per un prosieguo dell’attività attraverso gli investimenti previsti per gli impianti di Cvm e Pvc. Investimenti che sarebbero partiti solo dopo aver ottenuto l’autorizzazione da parte del Ministero dell’Ambiente. Ma c’è di più. La stessa Eni avrebbe ottenuto il beneplacito per investire sulla raffinazione dell’etilene e sull’acquisizione del ciclo del cloro che è l’elemento trainante del polo industriale. Dal 2007, dopo una lunga attesa, le aziende furono autorizzate a passare dalle celle al mercurio a quelle a membrana per migliorare l’impatto ambientale. Poco dopo fu autorizzato il ciclo per gli impianti di trattamento del cloroetano e il 19 marzo 2008 fu autorizzato il bilanciamento. In sostanza anche l’esubero di 70/80mila tonnelate annue di Cvm rispetto alla capacità reale dell’impianto fu autorizzato.


Gli investimenti accordati in sede di Governo erano passaggi fondamentali che garantivano la continuità dell’attività del polo chimico anche a tutela del territorio attraverso i piani di impatto ambientale.
Quindi la trattativa in corso tra Eni e Ineos era partita con dei presupposti più che soddisfacenti sotto l’attenta supervisione delle istituzioni centrali, tanto che l’azienda francese aveva addirittura presentato un progetto per sostituire la centrale turbogas con una nuova, di tipo cogenerativa, che avrebbe fornito energia a tutti gli impianti del petrolchimico. Ancor prima di ottenere le necessarie autorizzazioni da parte del Ministero dell’Ambiente Ineos e Eni rimasero sull’onda di questa prospettiva futura, tuttavia una volta acquisite le cose cambiarono. Fu l’inizio per le due aziende di un tergiversare, giustificandosi avvicendevolmente su ipotetici problemi legati agli alti costi e che di fatto arrestarono un progetto industriale di tali proporzioni.
Ma se L’Ineos aveva deciso di andarsene perché allora l’Eni non ha rilevato subito la quota della multinazionale francese?
Sia l’attuale che il precedente Governo hanno sempre mostrato un grande interesse per la chimica italiana definendola strategica, e l’attuale presidente della Confindustria Emma Marcegaglia ha parlato del petrolchimico come un settore indispensabile per lo sviluppo economico. Nonostante la contrarietà dei territori sul rilancio delle attività industriali la linea intrapresa fu da tutte le istituzioni, sia centrali che locali largamente condivisa.
Pur tuttavia il problema potrebbe essere un altro, e cioè quello di una mancanza di capacità manageriale per far fronte a nuovi scenari industriali, e di superare con intraprendenza l’empasse di questo momento. Così, com’è successo con Alitalia. Nonostante qualche speranzoso abbia tirato in ballo opportunisticamente ipotetiche cordate italiane pur di salvare il salvabile, ciò non è ancora avvenuto. Almeno per ora.
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Il petrolchimico di Marghera dalla sua nascita avvenuta nel 1921, all’epoca unica nel suo genere, ha sempre determinato delle contraddizioni insolvibili, da una parte segnate da una dilagante industrializzazione volta al profitto dall’altra generando una serie di inevitabili conseguenze che ne sono la diretta derivazione. Pochi anni dopo esattamente nel 1929 si contavano ben 15 aziende su 55 attive nel settore chimico, ma a distanza di decenni l’unica costante è stata e continua ad essere contraddistinta dalle ripercussioni negative sui lavoratori, dal detoriamento di un ambiente fortemente penalizzato nel corso degli anni e oggi da una crisi globale generalizzata che non ha eguali. Le vertenze operaie hanno sempre contraddistinto gli episodi salienti della storia di Marghera, e oggi a causa della irrefrenabile crisi del sistema industriale chimico accompagnata dal caro petrolio, saranno ancora i lavoratori a pagare il prezzo più alto delle politiche imprenditoriali che si trascinano in un vicolo cieco.

Alessandro Ambrosin
www.dazebao.org

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