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(30 Luglio 2008)

Il governo di centrodestra sta eseguendo esemplarmente il proprio compito, deviando l'attenzione dell'opinione pubblica su temi marginali e stringendo forte i cerchi dell'oppressione sociale, della precarietà del lavoro, scaricando sui deboli i costi della crisi, realizzando quello che – una volta, con linguaggio d'epoca – si sarebbe definito “spostamento a destra.

Il Partito Democratico dimostra, in questo frangente, tutta la debolezza del suo adeguamento ad uno schema di cosiddetta “alternanza bipolare” e ricerca del centro che, nella situazione italiana, non esiste e dimostra, ancora una volta, come gli errori di analisi siano fatali e rovinosi, in politica, laddove non esistono vuoti consentiti (il punto, magari, sarebbe quello di capire perché questo gruppo dirigente ha sbagliato di nuovo e rimane in sella).

Il resto dell'opposizione appare vociante e determinata proprio al riguardo di quei temi che fanno comodo al governo per depistare dalle questioni vere: anche qui fa premio l'incapacità di analisi, l'inconsistenza politica.

La situazione più grave, però rimane quella determinatasi a sinistra, dopo il tracollo elettorale dell'Arcobaleno: c'è da condividere il giudizio espresso da Paolo Franchi, oggi, sulle colonne del Corriere della Sera “Un deserto politico”.

Le contraddizioni, accumulate in anni di politica sviluppata completamente sulle scadenze dell'agenda imposta da altri e di cedimenti sul terreno della personalizzazione, del governismo, della governabilità assunta (al centro, come in periferia: pensiamo alla situazione delle giunte locali, dell'appoggio dato a cementieri, palazzinari, reazionari di vario tipo allignanti nelle coalizioni messe su “per battere la destra”) come fine ultimo della politica, sono venute al pettine.

I congressi di PRC e PdCI (continuo a non citare i Verdi per carità di patria) hanno ben dimostrato, (al di là del gioco dei regolamenti di conti interni e delle proposte buttate lì tanto per fare propaganda) i limiti insuperabili di questo ceto politico: limiti che non consentiranno, nel concreto, una idea di ripresa possibile, almeno per il medio periodo.

E' vero, siamo ad una “regressione culturale”: il paradosso è che questo fenomeno viene denunciato proprio da coloro i quali hanno le maggiori responsabilità in questa direzione.

Ma non si tratta, beninteso, di dare i voti e assegnare i carichi di responsabilità: il punto sta, ripeto, nell'impossibilità, in queste condizioni, di tentare di porre rimedio.

La decisione che emerge da queste assise congressuali è quella di procedere verso il baratro: di legare verso l'ennesima scadenza elettorale, in questo caso le Europee 2009, i destini di soggetti politici ormai largamente superati dalla cronaca (non dalla storia, beninteso: non esageriamo!).

I soggetti politici espressione del movimento operaio nacquero, all'epoca della rivoluzione industriale, per aggregazione successiva attraverso l'esprimersi di intellettualità e di forze di massa combinate assieme nell'ipotesi di uno scenario complessivo di futura trasformazione sociale, di identificazione di un assetto sociale compiutamente alternativo a quello capitalistico, e di mutamento delle condizioni materiali di vita dei soggetti rappresentati, nell'immediato.

Ho ridotto in pillole questo processo storico, gigantesco, dal quale uscirono i grandi partiti della sinistra che poi, le vicende di un intero secolo, divisero in diversi filoni di pensiero e di azione.

Oggi, in Italia, alla periferia dell'Impero, servirebbe ragionare allo stesso modo: individuare l'identità possibile di uno scenario futuro di mutamento sociale e la realtà delle tappe intermedie, ricostruendo un percorso di transizione.

Per fare questo, riprendendo anche un ruolo politico immediato proprio per le ragioni urgenti che esponevo all'inizio, non possono essere utilizzati i soggetti politici esistenti: occorre una riaggregazione che parte dal territorio, appunto per ondate successive, per arrivare alla formazione di un soggetto dove coloro i quali si richiamano anche a tradizioni diverse, il socialismo di sinistra, il comunismo nella sua versione “egemonica” gramsciana, il radicalismo delle opzioni sociali più forti, trovino posto in una ricerca politica che produca radicamento, iniziativa collettiva, costruzione di consenso.

Non serve riesumare aggregazioni meramente identitarie (la “costituente dei comunisti”) o l'orgoglio di formazione (anche perché c'è davvero poco, sul piano della teoria e della pratica politica, da essere orgogliosi).

Ripartire dalla sostanza delle contraddizioni sociali; fornire loro una espressione di sintesi politica; praticare una soggettività in forma collettiva pensando ad espressioni di consenso che forniscano, sì, possibilità di inserimento istituzionale ma non legandosi a formule pre-costituite, esercitando sempre, nei confronti dei soggetti rappresentanti, la “responsabilità di mandato”: poche espressioni queste, forse generiche, ma probabilmente sufficienti a determinare una rotta praticabile per avviare, almeno, la traversata nel deserto.

Savona, li 27 Luglio 2008

Franco Astengo

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