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Precariato ed immigrazione, due lati della stessa medaglia

(6 Agosto 2008)

Chi segue i problemi politici, sa che ci sono rapporti complessi tra la precarizzazione dei lavoratori italiani, la crisi demografica e la crescita dell’immigrazione, ma sa anche che è difficile rendere comprensibili questi nessi per tutti i lavoratori.

E’ particolarmente importante farlo, perché i problemi che sorgono in questi campi sono utilizzati dalla borghesia per fomentare sempre nuove guerre tra poveri, e approfittare di queste divisioni per condurre indisturbata la sua politica repressiva.

Al lavoro di chiarimento e di controinformazione ogni militante porti il suo contributo. Si possono rendere accessibili questi problemi al prezzo di una certa semplificazione, quindi mi limiterò a parlare del rapporto tra precariato, demografia e immigrazione solo in rapporto alla condizione salariale. Con ciò si lasciano da parte tanti altri problemi, ma fare chiarezza in questo campo è un compito vasto e collettivo, e non si può affrontare in un solo articolo.

Il salario - ci ha insegnato Marx - è condizionato da fattori fisici e sociali. C’è un limite fisico al suo abbassamento, perché il lavoratore deve ricevere una certa quantità di beni (alimenti, vestiario, ecc) sufficienti a mantenersi in vita, a ripristinare le forze, a riprodursi. Ci sono poi fattori sociali, perché il tenore di vita abituale non è lo stesso in ogni paese, e un operaio svedese non si adatterebbe al livello di vita di un lavoratore indiano o indonesiano. L’offensiva capitalistica cerca di abbassare i salari anche in paesi molto sviluppati, e l’eliminazione delle barriere doganali indebolisce la forza contrattuale di molte categorie, che si credevano in una botte di ferro.

Spesso il capitale cerca di portare il salario sotto al limite fisico minimo. Nei primi decenni dell’ottocento, a causa degli orari estremamente lunghi e della scarsa nutrizione, gli operai morivano come mosche. Marx notava che per il capitale una successione rapida di generazioni deboli e poco longeve serviva nel mercato del lavoro altrettanto bene di una serie di generazioni robuste e dalla vita lunga. Il capitale è il rapporto sociale che più diffonde il cinismo, e i suoi agenti lo assimilano a meraviglia.

Per buona parte dell’Ottocento in Inghilterra, e ancora nel Novecento in Italia, individui sani d’estrazione contadina fornivano continuamente abbondante manodopera, e colmavano i vuoti che malattie professionali, omicidi bianchi ed esaurimento fisico e psichico, creavano tra gli operai.

Con la cosiddetta globalizzazione, la concorrenza dei paesi emergenti si fa sentire e il capitale l’affronta rompendo la rete di garanzie che le lotte operaie avevano assicurato alle vecchie generazioni, o almeno a parte di esse. E’ colpito il lavoro a tempo indeterminato, cresce la precarizzazione. Con l’abbassamento dei salari, il capitale fornisce solo il minimo indispensabile – date le condizioni specifiche di vita esistenti in un paese sviluppato – per sopravvivere. La quota salariale che potrebbe permettere di avere una casa propria, formarsi una famiglia, avere figli, è stata tagliata. Molti giovani sono costretti a vivere con i genitori, riproducendo in forma diversa il fenomeno della coabitazione, come nell’immediato dopoguerra.

Le norme sulla flessibilità, se peggiorano le condizioni dei lavoratori, non risolvono il problema della concorrenza internazionale, perché l’interdipendenza dei mercati accresce il peso del divario salariale tra paesi emergenti e quelli di vecchio capitalismo, creando sconvolgimenti a catena, che nessun pacchetto Treu, nessuna legge Biagi può impedire. E’ un problema legato alla divisione internazionale del lavoro, e non è risolvibile sul piano locale. I cosiddetti rimedi nazionali rendono ancora più asfittico il mercato interno, favorendo il crollo dei consumi più indispensabili.

Quindi i bassi salari e la precarietà sono fattori che aggravano sempre più la crisi demografica italiana. Si dirà che un tempo erano le famiglie più povere ad avere più figli, ma bisogna tener conto dell’enorme mutamento che si avuto nel tenore di vita, nelle aspettative, nella mentalità. In altre parti del mondo la popolazione cresce rapidamente, da noi alcune regioni gareggiano per il primato europeo della denatalità. Questa non tocca per ora gli immigrati, che affrontano situazioni di sfavore, i lavori più pesanti, le discriminazioni più infami, ma ciò non ha ancora inciso in modo rilevante sulla natalità.

Se precarietà e bassi salari pesano sugli sviluppi demografici e sulla crescita dell’immigrazione, è possibile affrontarli solo con un vasto schieramento di forze, che comprenda lavoratori italiani e immigrati. Proprio per impedire ciò la borghesia usa le armi della xenofobia, della discriminazione e del razzismo. Infatti, se gli immigrati avessero la possibilità di integrarsi, di sindacalizzarsi, di fare blocco con i lavoratori italiani, la spinta salariale sarebbe fortissima. E se l’operaio leghista riuscisse a capire che tutti i provvedimenti forcaioli che propagandano hanno conseguenze negative anche sul suo salario, i dirigenti della Lega dovrebbero fuggire dalla “Padania”.

Conosciamo tutti la tattica del poliziotto buono e di quello cattivo. C’è il politico che si occupa del lavoro sporco, che soffia sul fuoco della xenofobia, con frequenti sconfinamenti nel razzismo, e indirizza la sua propaganda soprattutto verso gli operai o verso i settori più poveri della popolazione, ai quali si vorrebbe assegnare una funzione analoga a quella dei “bianchi poveri” nel sud degli Stati Uniti. Un altro settore della politica borghese cerca di integrare i disoccupati, di renderli sottomessi, con la scusa che altrimenti prevalgono i falchi. I metodi brutali della Lega non hanno lo scopo di impedire l’immigrazione- anche se, per motivi elettorali, spesso lo si fa credere – ma di mantenere i lavoratori stranieri in una situazione di semischiavitù, lasciando capire che lo schiavo, se si comporta bene col padrone, può diventare liberto, in termini moderni avere la regolarizzazione.

Dobbiamo mettere in rilievo tutto il carattere reazionario, d’apartheid, di tale condizione, e indicarne le radici, da ricercare nella volontà di accrescere il profitto, nel ricatto permanente verso gli immigrati, i disoccupati, i precari, ai quali non solo si negano diritti fondamentali, ma persino la possibilità di comprendere la loro situazione reale, attraverso una campagna d’odio e di calunnie, che fomenta una guerra a bassa intensità tra etnie, appartenenti a culture e a religioni diverse.

Se la xenofobia favorisce il mantenimento di salari da fame, da ciò deriva la necessità di una lotta comune, fondata, non tanto su sentimenti d’umanità – che in ogni modo non guastano – quanto su una fondamentale unità di interessi. Finché gli immigrati saranno discriminati, nessuna conquista potrà essere fatta dai lavoratori italiani. Chi accetta la discriminazione verso altri, con ciò s’iscrive nella lista dei futuri discriminati. La libertà, l’agibilità politica, la possibilità di condurre lotte sono beni collettivi, se si ammette che una parte della società ne sia privata, si creano i presupposti perché tutte le classi non dominanti le perdano. Chi è complice nel togliere la libertà agli altri non può essere libero.

Sul piano esclusivamente economico i lavoratori sono sempre più deboli del capitale, ma è assolutamente necessario fare resistenza. Marx diceva che, se la classe operaia avesse ceduto per viltà nel suo conflitto quotidiano col capitale, si sarebbe privata della capacità di compiere qualsiasi altra azione politica più importante.

Le vere conquiste si possono ottenere solo sul piano politico, costringendo con la lotta lo stato a mettere limiti allo sfruttamento, a fissare un massimo delle ore di lavoro, a combattere il lavoro nero, a proibire il lavoro notturno e certe lavorazioni nocive o pericolose, a creare una rete di ispettori che denunci i padroni inadempienti, e così via. E costringendolo anche a cancellare la legislazione infame, che forgia sempre nuove catene per gli immigrati, avvisaglie di future leggi che, se li lasciamo fare, legheranno sempre più le mani anche ai lavoratori italiani.

4 agosto 2008

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