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Sul VII° congresso di Rifondazione Comunista

(21 Agosto 2008)

Il percorso congressuale del PRC è stato difficile e, per giunta, inquinato da tentativi di alterarne l’esito e minarne la credibilità; tentativi che, in parte, ne hanno compromesso la trasparenza e ipotecato la stessa vita futura del partito, se si considera il non indifferente peso di condizionamento e di “interdizione” della mozione Vendola-Bertinotti, per fortuna ferma al 47%.

L’esito dei congressi di base, però, nonostante tutto, ha oggettivamente sbarrato la strada alle tendenze che proponevano, in modo esplicito e con tempi rapidi, il superamento dell’autonomia politica, organizzativa ed elaborativa del Prc; nella fattispecie quella vendoliana della “costituente della sinistra”, in pratica continuità con l’Arcobaleno e contiguità con il carattere neocentrista del Pd.

Sull’assise nazionale di Chianciano hanno pesato, anche per il risultato “drogato” del secondo documento, i rischi di “concertazione” fuori da ogni dimensione strategica tra le due mozioni di maggiore peso e, soprattutto, le manovre di “disarticolazione” che si sono scaricate sulla prima e terza mozione. E mentre le “disarticolazioni” nell’asse Ferrero-Grassi sono riconducibili, in massima parte, a “movimentazioni” tipiche delle dimensioni verticali, quelle che sono andate ad inquinare la “mozione dei cento circoli”, invece, hanno finito per colpire la parte più coerentemente e pluralisticamente collocata sul piano della continuità del Prc quale luogo del processo rifondativo.

Ciononostante, le conclusioni del congresso hanno evidenziato un dato oggettivo, di valenza storica e di notevole potenzialità: l’enuclearsi di una “nuova maggioranza” sulla base di una sintesi politica, esigenza da tempo segnalata dalle sinistre nel partito.
Una “nuova maggioranza” eterogenea per premessa, in quanto carattere del pluralismo comunista, omogeneo per finalità, frutto di convergenze importanti per la continuità del Prc come spazio alternativo e di classe: dall’assunzione di indirizzi orientati a determinare una “svolta” a sinistra in senso comunista, al rifiuto della “costituente della sinistra, cioè riformista; dalla presa di coscienza della “deriva governista” e della “alternatività” al Pd al rilancio dell’esigenza dell’unità dei comunisti. Sono i punti sui quali le sinistre interne si sono battute da sempre.

E’ una conclusione, nient’affatto scontata, che rimette in piedi premesse importanti per salvare lo spazio comunista, il suo carattere pluralista e il suo orientamento alternativo di società; premesse da valutare alla luce dell’oggettività della condizione reale da cui il partito riparte, che non è più nemmeno quella che era prima dell’implicazione nel governo Prodi.
Adesso, però, è questione di azione concreta perché queste premesse trovino spazi, condizioni e strumenti per farsi effettività.
C’è da fare molto perché il partito torni effettivamente patrimonio delle compagne e dei compagni che, con la propria militanza diretta, continuano a fare riferimento all’esigenza originaria di dare corpo al processo rifondativo; un processo orientato ad attualizzare i termini e gli strumenti per l’alternativa alla società dei padroni, in relazione e contrapposizione al nuovo terreno sul quale va disponendosi la ristrutturazione capitalistica, in Italia e nel mondo; e sullo stesso piano processuale e pluralistico, a partire dalla concretezza delle condizioni, porre il rilancio dell’internazionale comunista, in risposta all’attacco globale del capitalismo.

C’è da scongiurare la riproposizione di certa lettura della “sinistra europea” che, di fatto, tornerebbe ad alimentare, in tempi semplicemente più “distesi”, le tendenze al superamento del PRC.
C’è, soprattutto, l’esigenza di mettere fuori gioco ogni ottica strumentale nel perseguire il necessario obiettivo dell’unità comunista; che può trovare linearità e coerenza solo nell’alveo naturale del processo rifondativo, oggi storicamente legato al patrimonio e alle motivazioni fondanti del PRC; e, dunque, affrancato dalle mire egemoniche e dalle tendenze istituzionalistiche che proprio sul piano “governista”, attraverso il PDCI, hanno prodotto la propria scissione dall’identità fondativi del partito.

E’ realistico, invece, anche il superamento della diaspora comunista nella pratica dell’opposizione sociale, nelle concrete esigenze di lotta nei territori e nel conseguente rilancio della capacità elaborativa e di proposta dal basso; in una dimensione, cioè, che implichi direttamente tutti i comunisti e che porti il PRC in un ragionamento comune.
E poi c’è, nel contingente, l’esigenza di sviluppare con efficacia l’opposizione politica e sociale al governo delle destre e il contrasto determinato alle sue ricadute sui livelli generali di agibilità democratica e sulle condizioni conrete di vita e di lavoro di tutti i ceti deboli.

Per fare questo, e tutto il resto che c’è da fare, è necessario voltare nettamente pagina rispetto al passato, è indispensabile liberarsi dalla verticalità nella quale il partito è risultato ingabbiato sino ad ora e che ha orientato e blindato le scelte che l’hanno portato alla condizione attuale.
È necessario che il potere di indirizzo sugli orientamenti e la vita del partito torni nelle mani dei livelli di militanza, a partire dalle dimensioni territoriali; e che proprio nei territori, al basso, risulti focalizzata e radicata l’azione del partito e la realizzazione dei suoi obiettivi strategici.

Solo la centralità del corpo reale del partito e delle sue strutture di base e l’azione di costruzione dal basso, nel vivo delle problematiche che il piano di lotta evidenzia, possono realisticamente mettere il partito al riparo dal ritorno di viziature verticistiche e fornirgli la linfa necessaria per risultare credibile ed utile quale riferimento per le esigenze alternative che muovono dal paese reale. E possono mettere al riparo anche dal rischio che riescano a trovare spazio, prima dentro che fuori dal partito, tentativi già in corso di far saltare l’unità che ha prodotto la svolta politica del congresso; e invece, proprio al basso e nel vivo dei territori, è necessario operare sul terreno della concretezza per riguadagnare tutto quello che le linee sbagliate del partito hanno portato fuori dalla prospettiva comunista e ripiegato sul riformismo.

E’ urgente che anche la vita e la dialettica interna al partito, ad ogni livello, segnino una reale discontinuità con le pratiche del passato; una discontinuità che parta dalle realtà organizzate e dalle strutture dei territori e si proietti verso la dimensione nazionale.
Vanno affermati un clima di confronto aperto e di pluralismo effettivo tra tutte le opzioni che hanno originato la “nuova maggioranza”, nel rispetto delle identità di ciascuna, e una piena disponibilità alla “verifica di linea” sul terreno della centralità e della concretezza dell’azione nei territori.

Così come deve risultare piena ed efficace la gestione unitaria e pluralistica del partito, che non permetta si rideterminino sovrapposizioni di ceti “autoreferenziali”, comunque motivate, sull’identità alternativa delle prospettive comuniste; una gestione unitaria che non si configuri, però, aprioristica rispetto alla linea politica e agli indirizzi da perseguire, ma risulti comune disponibilità a fare sintesi tra orientamenti strategici condivisi, nel rispetto delle identità e dell’autonomia di ciascuna delle sensibilità impegnate a praticarla coerentemente.

Per L'AREA PROGRAMMATICA “OTTOBRE” NEL P.R.C.

Pasquale D'Angelo
Matteo Malerba
Antonello Manocchio
Claudia Rancati

Fonte

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