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Prolusione o pro(il)lusione?

(23 Settembre 2008)

Più che una prolusione, quella che il presidente della CEI, monsignor Angelo Bagnasco ha tenuto davanti al Consiglio Permanente della CEI, appare una proillusione. Almeno per quanto riguarda il tema del testamento biologico.
In apparente contraddizione con le affermazioni di qualche tempo fa di monsignor Betori, che affermava l'inutilità di una legge che regolasse il testamento biologico, Bagnasco ha detto invece che su questa materia una legge sarebbe utile. A patto - diciamo così - di una necessaria condizione e cioè che la normativa sia in linea con le attese dei vescovi.
Non mi stupisce questa apparente nuova posizione della chiesa.

Nel maggio dello scorso anno, mons. Betori affermava: "Come vescovi italiani non riteniamo necessaria una legislazione specifica sul Testamento Biologico. La legislazione attuale infatti e' capace di garantire un dialogo tra medico e paziente in merito a queste tematiche. Con una legge ad hoc potrebbe esserci invece il rischio di uno scivolamento verso esiti di tipo eutanasico".
Oggi, il presidente della CEI, Angelo Bagnasco auspica "una legge sul fine vita che [...] dia tutte le garanzie sul rapporto fiduciario tra lo stesso e il medico, cui è riconosciuto il compito di vagliare i singoli atti concreti e decidere in scienza e coscienza. Quel che in ultima istanza chiede ogni coscienza illuminata, [...] è che [...] non vengano in alcun modo legittimate o favorite forme mascherate di eutanasia".

Come si vede gli "auspici" clericali sono rimasti assolutamente quelli di sempre. Quelli che erano affermati nelle parole di Betori (che a nome della CEI contrastava l'idea di una legge sul testamento biologico), sono identici a quelli pronunciati ora da Bagnasco. Con la pericolosa differenza che oggi i vescovi italiani appaiono di fronte all'opinione pubblica, aperti al confronto con coscienze diverse da quelle da loro espresse.
Ma probabilmente il motivo di questa "apertura" è ancora più pragmatica e lo si legge ancora nelle parole pronunciate da Bagnasco, quando esprime un timore per espressioni della giurisprudenza (in riferimento al caso Englaro) che, dice Bagnasco, "avevano inopinatamente aperto la strada all’interruzione legalizzata del nutrimento vitale".
Quindi, secondo il cardinale, meglio una legge subordinata alla volontà ecclesiastica, che affidarsi di volta in volta ai giudizi dei tribunali, con il rischio che questi si esprimano secondo criteri di laicità.

Ma una legge sul testamento biologico emanata nel senso affermato da Bagnasco, sarebbe una legge che non permetterebbe, nella pratica, di testamentare le reali volontà del paziente. Le possibilità per coloro che vorrebbero fare testamento biologico sarebbero tanto limitate, da impedire per legge l'autodeterminazione di ogni individuo.
Questo è l'altro punto essenziale del discorso del presidente della CEI: affermare nuovamente ed in un contesto di apparente apertura alle istanze laiche, che la vita non appartiene alle persone in carne, ossa e mente. Si ripropone di nuovo il dogma (che si vorrebbe universalmente accettato) che la vita appartiene a Dio e perciò rimane per noi indisponibile. Ed a questo principio si vorrebbe che fosse subordinata l'auspicata legge.
Nonostante la (pro)illusione che si è tentata di fare passare con il discorso di mosignor Bagnasco tenuta al Consiglio Permanente della CEI, l'ipotesi dentro la quale si muovono le gerarchie cattoliche è sempre la stessa: il controllo dei corpi, come mezzo attraverso il quale veicolare le coscienze.

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