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Matrimoni morganatici

(30 Settembre 2008)

E’ strano, ma se dici a qualcuno quali sono i fatti veri di una mitica frottola, non s’indigna con chi l’ha raccontata, ma con te. Gli altri non vogliono che si buttino per aria le loro idee. Provano un vago senso di disagio e te ne serbano rancore. Così respingono la verità e rifiutano di pensarci.
(Da “La figlia del tempo” di Jospehine Tay, 1951)

Dicesi matrimonio morganatico quello contratto da persona di basso rango con un sovrano, un nobile o persona di alto rango, in cui la moglie e i figli sono esclusi dai diritti di successione dinastica. Trattasi cioè di scalzacane che fanno i sudditi anziché gli uguali.

Premessa
In un precedente post avevo indicato la complementarietà, a partire dalla strage di immigrati a Castel Volturno e dalla successiva parata in quel luogo di 400 soldati-majorettes, tra l’azione eversiva mafiosa e la sceneggiata della repressione di Stato. Nel senso che se nella parte A del piano di fascistizzazione attraverso il tiro a due “paura-sicurezza” si muovono le pedine criminali ( o terroristiche: Al Qaida e 11 settembre), nella sezione B si utilizza tale pretesto per stringere i controlli polizieschi su tutta una popolazione o, rispettivamente, per radere al suolo un altro paese appropriandosi delle sue risorse. Ma come, per decenni la coalizione partiti-amministrazioni locali-industrie del Nord ha sgovernato la Campania cavando dal territoricidio profitti inenarrabili, equamente spartiti, e ora ci si vorrebbe turlupinare con il cabaret della guerra Stato-camorra. Quando poi entrambi campano di quelle discariche e di quegli inceneritori che ne hanno alimentato guadagni e potere, eliminando al contempo popolazioni di troppo. E i condottieri del primo fattore del binomio sarebbero i Berlusconi, i Cicchitto, i Dell’Utri, i Cuffaro, gli Schifani, i Bassolino! Per me, che mi occupo più volentieri di Iraq che di qualsiasi cosa, il parallelo è abbagliante: criminalità organizzata mafiosa e criminalità politico-industriale in Italia nello stesso intreccio collisione-collusione che vede l’Iran e gli Usa spartirsi le spoglie del paese più martire e più indomabile di tutti.

Ora Roberto Saviano, autore del denudamento del re chiamato “Gomorra”, su “Repubblica” (22/9/8) scrive. “I responsabili hanno de nomi. Hanno dei volti… Giuseppe Setola, Alessandro Cirillo, Oreste Spagnuolo… Michele Zagaria, Antonio Iovine… i boss che comandano e che continuano a comandare e a essere liberi. Dodici anni di latitanza. Anche di loro si sa dove sono. Il primo è a S. Cipriano di Aversa, il secondo a Casapesenna. In un territorio grande come un fazzoletto di terra, possibile che non si riesca a scovarli? E storia antica quella dei latitanti ricercati in tutto il mondo… e sono lì. Passeggiano, parlano, incontrano persone…
Come Osama Bin Laden. Sono contento di trovarmi d’accordo con colui che, in materia, la sa più lunga di tutti.

I LOVE OBAMA
“Il manifesto” titola a urlo: “Obama contro l’impero”, quasi fossero Davide e Golia in scontro mortale. Eppure l’articolo, del celebre sessantottino Tom Hayden dice tutt’altro. Semmai, contro Obama e oltre Obama, sostiene il movimento anti-Bush innescato dall’illusione dello Zio Tom afroamericano. Del resto, il “quotidiano comunista” era già transitato da una scuffia per Hillary Clinton che “sfondava il tetto di vetro del potere patriarcale” (e poco è mancato che le ginocrate del femminismo non inneggiassero anche alla fucilatrice Sarah Palin) allo scodinzolio della solita Giuliana Sgrena per la “pacificazione” ottenuta dal generale Petraeus nell’Iraq degli ininterrotti massacri bombaroli degli occupanti e della carneficine sui civili ad opera delle milizie-fantoccio filo-iraniane. Son gusti. A fronte di queste malsane passioni, gli si può anche perdonare un’intera prima pagina con il bel faccione dell’umanitario defunto Paul Newman promosso a “uno dei più grandi testimonial della sinistra americana” e salutato con lo smanceroso titolo “Lassù qualcuno lo ama” e con un editoriale introdotto dalle parole “Era il sogno americano”. Chissà cosa ne pensano coloro che pensavano che il sogno americano fossero Sacco e Vanzetti, o Malcolm X. Tutto questo oscilla tra lo squallido e il patetico, ma va dato, con tanto di digrignar di denti, per acquisito. Questi dirittoumanisti chic riescono, pur di raggiungere l’altare innalzato dalla Cia al Dalai Lama, ansioso di riconquista e rischiavizzazione del Tibet, o quello ai tagliagole della ribellione secessionista e filo-Usa nel Darfur, a superare indenni (seppure con continua diserzione di lettori) la corda sul baratro dell’ossimoro. Ma la doppiezza diventa addirittura schizofrenia allorchè pezzi di sinistra che si vorrebbero integri s’infilano entusiasti nei panni, tossici come quelli al colera rifilati agli indiani, cuciti dal nemico. Basta l’esempio di un circolo di Italia-Cuba che aderisce a una manifestazione per i monaci del Tibet. Dalla rivoluzione proletaria alla tirannia clericale feudale e schiavista.

Ma c’è qualcosa di più sconcertante in questa infatuazione per “il volto umano”, perlopiù nero, dell’establishment statunitense. Ho sottomano una delirante “lettera aperta al senatore Barak (si sono persi la c) Obama. E quanto poco ne conoscono il nome, tanto poco hanno percepito da una pur facilissima lettura della biografia e delle posizioni attuali del candidato che quell’establishment ha messo sul palcoscenico del teatrino per far credere che ci sia un’alternativa al cattivone: Pulcinella e il diavolo. E’ una costante dell’imbroglio di massa. Da noi Confindustria, vaticano, massoneria e mafia hanno fatto fare il diavolo a Berlusconi e Pulcinella al bombarolo D’Alema, prima, poi al finto tonto Prodi, poi al pongo in liquefazione Veltroni. Carta vince, carta vince, carta vince. Che prevalga il diavolo, Pulcinella, o si chiuda baracca e burattini e arrivi il castigamatti.
La lettera è stata scritta da due che si firmano Miriam Pellegrini, Partigiana di Giustizia e Libertà, e Spartaco Ferri, Partigiano della Divisione Garibaldi. Bravissime persone. Che, non solo hanno trascurato di dare un’occhiata attenta al soggetto della loro perorazione, ma sembrano anche aver scordato quanto altri “americani buoni” fecero a partigiani al tempo della guerra di liberazione. Guerra di liberazione fatta solo i partigiani. Gli altri facevano la “guerra di colonizzazione”, sostituendosi pari pari ai tedeschi. Ci vuole a sinistra un personaggio lucido come Sandro Curzi – mi ricordo – a esternare rimpianto per gli “americani tanto bravi quando ci liberarono” e riprovazione per “come si sono evoluti adesso”. Di lucido gli è rimasto il cranio. Non c’è soluzione di continuità, neanche etica, nell’imperialismo yankee.

Scrivono i due: Caro senatore, speriamo fortemente che Ella (!) arriverà a coprire il ruolo di Presidente degli Stati Uniti per portare alla casa bianca un vento innovatore che guardi agli uomini di tutto il pianeta con lo stesso rispetto e operando affinchè godano tutti degli stessi diritti umani, civili e sociali.
I due autori, benintenzionati quanto sprovveduti, incauti e quindi pericolosi ai compagni male informati, arrivano al diapason dell’apprezzamento quando proseguono: Sappiamo che Ella (!) è contrario alla guerra, che Ella crede nei risultati di un dialogo rispettoso e soprattutto che Ella (!), da buon patriota, vuol dare agli Stati Uniti un’immagine “democratica”. Mescolando una causa buona con una fiducia assolutamente malposta, i due anziani ex-partigiani assicurano a Obama imperitura amicizia qualora decidesse di scarcerare i cinque cubani detenuti negli Usa per aver denunciato le trame terroristiche della mafia di Miami. La lettera si chiude così: “Con la certezza di poterla salutare come il portatore di un positivo vento innovatore negli Usa che ne ha (sic) tanto bisogno, La salutiamo cordialmente”.

Questa lettera è un vero disastro e addolora che un simile delirio vanti le firme, dunque, l’autorevolezza, di due vecchi combattenti contro dittature, nazifascismo, imperialismo.
L’ingenuo o sconoscente potrebbe anche dargli retta, con ulteriore varchi nel fronte della resistenza anticapitalista ed antimperialista. Perché qui si accredita delle migliori qualità e intenzioni uno che non è che un gaglioffo perfettamente allineato con la delinquenza politica, economica, sociale, militare che governa il suo paese e si mangia gli altri. Ma non hanno, Miriam e Spartaco, ascoltato le dichiarazioni di ripugnante servilismo con le quali Barack Obama si è voluto identificare con il nazisionismo genocida israeliano? Non lo hanno sentito promettere più guerra, bombe e distruzione ai riottosi Afghanistan e Pachistan, piangere con i poveri georgiani del brigante Saakashvili, cui è andato male lo sterminio degli osseti, e con i lama nostalgici del signoraggio su vita e morte dei tibetani, condividere con il nazista McCain quasi tutto nell’ultimo confronto televisivo, compreso il furto di 700 miliardi ai cittadini statunitensi per salvare i predatori delle banche fallite? Non hanno capito che questo regalino all’elite saprofita di Wall Street significa che la metastasi economico-finanziaria che infesta gli Usa e il mondo avrà da Obama il solito trattamento: privatizzare i profitti e socializzare le perdite. Quando il boia vicepresidente Dick Cheney è uscito dal ristorante trasteverino - e a protestare contro la presenza del serial killer numero uno non c’erano stati che dieci statunitensi e tre “comunisti uniti” – la gente gli ha gridato “Viva Obama”. Ma quelli non erano compagni, non erano partigiani, no erano tenuti a sapere quanto sa un compagno, erano frequentatori fighetti del rione turistico. Gli si può perdonare. Anche perché quel Viva Obama era in sostanza un “Abbasso Bush” un “Yankee go home”. Insieme all’imbecille nazista McCain e alla sua pitbull da combattimento dell’Alaska, Barack Obama vuole che l’imperialismo nordamericano abbia il diritto di spedire le sue forze militari in tutto il mondo, di attaccare, invadere, occupare polverizzare qualsiasi paese che il “comandante in capo” ritenga meritevole di tali attenzioni, con preferenze maccainiane per l’Iraq (cui Barack pure assegna la paternità dell’11/9 e del terrorismo) e dell’altro per l’Asia centrale e meridionale. Nulla poi divide i due gangster circa lo sterminio dei somali e la disintegrazione del Sudan. Con una sola voce entrambi hanno minacciato di apocalissi l’Iran e la Russia. Concludendo, Obama dichiarava che lui e McCain condividono il quadro generale della difesa degli interessi di una classe dirigente di delinquenti, sia a casa che fuori. Niente di più e niente di meno di quanto è stato il tratto di fondo del Partito Democratico da Kennedy a oggi, di un partito imperialista del grande business cui spetta il ruolo di illudere e attirare i lavoratori , le minoranze, l’intellighentsia e gli oppressi in generale. Non per nulla, dietro la faccia nera di Obama spunta quella bianchissima del suo vice, Joe Biden, un senatore che per tutta la sua vita è stato fomentatore di guerre, di misure di rapina sociale, famiglio di Israele e sostenitore del genocidio Iran-Usa-Contras in Nicaragua.

Ma questo dimenticanza sul retroterra nazisionista, sulla totale identificazione con i genocidi israeliani e sulla completa adesione alla strategia di squartamento dei paesi e popoli arabi, non è privilegio solo dei due obnubilati ex-partigiani. Ne è pesantissimamente responsabile anche la stampa di “sinistra”, con in testa “il manifesto”, con il maestro di occultamento Marco d’Eramo (Remo d’Arcamo) che, dopo aver taciuto sui quattro giorni di rivolta anti-repubblicana davanti alla Convention, fa lo spiritoso firmando con nome e nome anagrammato due articoli titolati “La buona notizia” (per McCain si mette male) e “La cattiva notizia” (per l’amato Obama si mette male). Mettere, come fanno questi oggettivi collateralisti, imperdonabili per l’abuso della fiducia popolare, del rossetto sul maiale non cambia il fatto che di maiale si tratta. Così mettere un afroamericano candidato alla presidenza non cambia di un centimetro la pelle di porco di chiunque Wall Street, il complesso militar industriale, i petrolieri, i farmaceutici, l’agrobusiness, mandino nella sala ovale. Dove, del resto, nel sistema capitalista, il copione scritto da questa criminalità organizzata sta già sulla scrivania ed è inderogabile.

I love Tzipi
Senz’altro la tara più gravida di certa pseudo sinistra è la coltivazione di illusioni e di fiducie malriposte. Nel “manifesto”, campione di questi “scivolamenti”, si arriva a parlare della sionista Tzipi Livni, finta dialogante con l’amerikano Abu Mazen ed effettiva sostenitrice dell’occupazione, del muro, delle efferatezze di coloni e militari, nonché della guerra all’Iran, una volta polverizzata del tutto l’unità della nazione e degli Stati arabi, come di una soluzione accettabile per la successione al farabutto Olmert. Anche lì si casca nella sciarada della giunta militare israeliana che presenta un McCain con artigli e zanne nella persona dell’ex-ministro della difesa Shaul Mofaz, a fronte di una Obama-Livni da dialogo e perlopiù donna. Quest’ultima qualità continua a essere considerata una garanzia, a dispetto dei brandelli umani che pendono dalle fauci di tante colleghe di una
ministra degli esteri che ha governato il macello libanese. C’è chi, in un demenziale articolo sul citato quotidiano, l’ha chiamata “angelo”.

I love Cgil
Parrebbe meno grave lo sbandamento strutturale del “manifesto” per la CGIL A volte raggiunge livelli di parossistico umorismo. Come quando, celebrata su spazi immensi, a scapito dei meglio meritevoli, l’eroica resistenza del sindacato adorato ai ricatti dei briganti di passo all’assalto di Alitalia, il giorno dopo, quando Epifani doverosamente aveva firmato il regalo alla cordata di avvoltoi, doveva prendere atto di aver pestato una monumentale cacca, da rimanerci fino al collo. Ma meno grave non è. Al fattore illusione paralizzante si aggiunge quello dell’occultamento delle forze che per davvero si impegnano nella difesa dei diritti de lavoratori, nella lotta di classe Cobas, Cub, RDB… Lotta di classe in cui bisogna essere ciechi, opportunisti o amici del giaguaro per non vedere che da un lato stanno Confindustria, classe politica e confederali e, dall’altro, i sindacati di base. Vaneggia, il “manifesto” di grandi manifestazioni e scioperi CGIL “in vista” e simultaneamente minimizza o occulta lo sciopero generale vero dei sindacati di base del 17 ottobre, unica risposta di classe, insieme alla manifestazione nazionale dell’11/10 contro il governo (che i sinistri organizzati residui vorranno edulcorare), al cannibalismo fascistizzante della cricca bipartisan al potere. C’è di peggio?

Sì, c’è di peggio. C’è un I love Fini nel momento in cui il numero due della vandea totalitaria rinnega il suo quarantennale fascismo in camicia nera, con l’evidente scopo di mascherare la dittatura fascista moderna che, frustrata dalla coppia di postiglioni Berlusconi-Fini, va avanzando in questo disarmato paese. Ne parleremo una delle prossime volte.

Fulvio Grimaldi

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