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Imperialismo e guerra:: Altre notizie

Una vittoria per la "democrazia"

sulla rielezione di Ariel Sharon

(18 Febbraio 2003)

Ariel Sharon è stato il peggior primo ministro israeliano secondo ogni criterio di sanità mentale. Israele oggi affronta la peggiore situazione nella sicurezza dal 1973. Oggi Israele sta combattendo, e per dirla esattamente non sta vincendo, contro bambini ed armi fatte in casa.

di Gabriel Ash

Gabriel Ash è nato in Romania, cresciuto in Israele e risiede negli Stati Uniti. Afferma di scrivere perché "la penna e', a volte, più potente della spada, e a volte no". Gabriel Ash è l'editore della sezione "Medioriente" del YellowTimes.org's News From the Front, http://www.YellowTimes.org/nftf.html.

Lo scorso 27 gennaio, Sharon ha ottenuto una incredibile vittoria alle elezioni.
Vi è una diafana irrealtà in queste elezioni, come assistere al salto nel vuoto di qualcuno, dalla cima di una costruzione. Ariel Sharon è stato il peggior primo ministro israeliano secondo ogni criterio di sanità mentale. Israele oggi affronta la peggiore situazione nella sicurezza dal 1973. Oggi Israele sta combattendo, e per dirla esattamente non sta vincendo, contro bambini ed armi fatte in casa.
L'economia israeliana sta colando a picco, la situazione è la più negativa dal 1949, la disoccupazione supera il 10% e non ci sono buone prospettive per il futuro. La posizione internazionale di Israele si è deteriorata considerevolmente e, infine, agli ordini di Sharon, il Likud è diventato una centrale del crimine organizzato. Eppure Sharon non ha solo vinto: ha stravinto, stabilendo, in ciò anche alcuni records. Ad esempio, è il primo premier ad aver vinto per la seconda volta consecutiva in meno di 20 anni ed il primo in assoluto ad aver indetto elezioni anticipate e ad averle poi vinte.

Non c'è dubbio,dunque, che Israele ami Sharon. Certo, la percentuale di votanti è stata molto bassa, ma il risultato è chiaro: Israele lo ama di un amore patologico, senza entusiasmi, depresso, senza vita. Ma di amore si tratta, anzi, come sempre in politica, di amore per sé stessi.

Sharon non è altro che un simbolo di brutalità e militarismo. Negli anni '50 si distinse come massacratore di civili quando era comandante dell'Unità 101, specializzata in assalti ed assassinii attraverso la frontiera. Si distinse di nuovo nel 1971, quando tentò di "pacificare" Gaza con i bulldozers, e toccò il picco massimo con il massacro di Sabra e Shatila che, a quei tempi, era troppo anche per Israele.

Niente di tutto ciò è stato dimenticato dai votanti. La prima volta, Sharon fu eletto perché si presentò come l'uomo forte che avrebbe stroncato l'intifada. Le sue credenziali di macellaio lo resero eleggibile. Non riuscì a raggiungere il suo obiettivo, ma i votanti gli jhanno accordato nuova fiducia secondo la nota massima israeliana "ciò che non si ottiene con la forza si ottiene con più forza". Il fascino di Sharon risiede nell'esprimere meglio di chiunque altro la rudezza elefantesca degli israeliani ad essere quanto più brutali è possibile per schiacciare la resistenza palestinese. Per essere più chiari, la campagna di Sharon si è vitalizzata con le "operazioni" militari israeliane precedenti le elezioni.
Secondo Gideon Levy, di Hàaretz, gli israeliani non sanno quello che l'esercito fa ai palestinesi per ordine di Sharon. Così ha pensato di ricordar loro, prima delle elezioni, che Israele, in due settimane ha assassinato 26 palestinesi. Di questi, solo sette erano armati, mentre 10 erano adolescenti o bambini. E che le case palestinesi vengono demolite ogni giorno. Nella sola Gaza, 5.700 palestinesi non hanno più un'abitazione. Migliaia di persone sono state sequestrate ed arrestate, molte di esse torturate. Oltre 16.000 palestinesi sono stati feriti o mutilati e la maggior parte di questi non ha potuto curarsi poiché le strutture mediche di soccorso sono state distrutte intenzionalmente dall'esercito.
Non vì è più un'economia e la malnutrizione comincia a mietere vittime, specie tra i bambini.

A parte però i coraggiosi Gideon Levi ed Amira Hass, i media israeliani non si occupano molto delle sofferenze dei palestinesi. Il ruolo dei media risente di un'attitudine molto stratificata. Eppure non conosco israeliani che non sappiano ciò che accade nei territori palestinesi. Alcuni cercano di dissociarsi dalle implicazioni morali, altri usano descrizioni che oscurano l'umanità della vittima attraverso la disumanizzazione, il linguaggio tecnico dei militari e la minimizzazione della sofferenza palestinese, qualificata come "propaganda". Queste attitudini non sono altro che il prodotto di un discorso politico pervasivo e disumanizzante, amplificato e supportato dai media, ma, di certo, non sono il risultato di ignoranza.

Molto è stato detto del paradosso, davvero unico, della popolarità di Sharon a dispetto del fatto che un certo numero di israeliani condividano le scelte del candidato dell'opposizione Mitzna in merito ai "compromessi territoriali" e la rimozione delle colonie. A livello popolare, una spiegazione può essere data dalla psicologia degli israeliani, i quali vogliono vendetta immediata per poter essere "generosi" poi. Generosità è una parola chiave per Israele nei suoi rapporti con i palestinesi (si veda, ad esempio, la "generosa" offerta di Barak). Prima di poter ricevere la "generosità" israeliana, però, i palestinesi devono prima arrendersi a tutte le pretese di Israele.

Quest'idea soggettiva di generosità dipende in larga parte dall'immagine "macho" dell'identità ebraica israeliana. Come in ogni machismo, l'auto-immagine di generosità dipende da una versione altamente fantastica della storia di Israele, la quale nega l'insuperabile record di terrorismo contro i palestinesi, iniziato con la pulizia etnica della Palestina del 1948. In questa versione fantastica della storia, come in ogni machismo, la colpa è sempre dell'altro, anzi dell'altra, e della provocazione da essa esercitata sul macho in questione.
La fantasia della pace attraverso la resa incondiziata del popolo palestinese è parte della fantasia nazionale israeliana del possesso attraverso lo stupro, come nella "Bisbetica domata" di Shakespeare, in cui il protagonista, - prefigurando i torturatori dello Shin Bet - vuole insegnare a Katherine ad amarlo negandole il cibo e il sonno.
Anche gli israeliani hanno quest'idea: essi intendono la pace allo stesso modo in cui uno stupratore intende l'amore, con l'ammissione da parte della vittima che è stata lei a cominciare la violenza, provocando.
La fantasia di una futura "generosità" diventa la legittimizzazione della crudeltà di oggi. Questa immaturità di pensiero è ben rappresentata dallo stesso Sharon, il quale si autodefinisce un "moderato che vuole mettere in ginocchio i palestinesi prima di qualunque compromesso".

Questo da un punto di vista fantastico. Più realisticamente, l'attuale giunta israeliana non ha affatto intenzione di fare compromessi. I palestinesi hanno già attraversato lunghi periodi di "resa virtuale", ad esempio tra il 1971 ed il 1987. Anche gli accordi di Oslo furono una totale resa palestinese. Israele ha utilizzato questi periodi per rafforzare il suo potere territoriale, confiscare terre, costruire autostrade per soli ebrei, insediare colonie, demolire case palestinesi. La fantasia della futura generosità non è altro che la confortevole scusa che gli israeliani "moderati" hanno trovato per continuare a supportare la brutalità di questo stato e, in particolare, per continuare a servire l'esercito e portare avanti una repressione letale del popolo palestinese.

Questo è un inqualificabile successo della giunta israeliana, il quale eroderà ancora di più, se possibile, la politica di distruzione della popolazione indigena di Palestina con tutti i mezzi possibili. La disumanizzazione dei palestinesi nella coscienza israeliana, la fantasia della "moderazione e generosita" israeliana, la richiesta di una resa incondizionata che non ci sarà mai, poiché la resistenza palestinese aumenta con l'aumentare della repressione, l'esistenza di governi internazinali fortemente legati ad Israele si uniscono per creare le condizioni per un'escalation della repressione. Nello stesso momento in cui i generali alla guida di Israele capiscono che il sionismo è fuori moda diplomaticamente, demograficamente, economicamente e politicamente.

Nel caso di una guerra all'Iraq, dunque, vi sono forti possibilità che la giunta militare israeliana trovi l'irresistibile opportunità di tentare, ancora una volta, una pulizia etnica di massa del popolo palestinese.
Questa è già iniziata con la costruzione di un muro di apartheid costruito presso, e non sui, confini del 1967. La costruzione del muro è stata una scusa per distruggere campi coltivati e abitazioni, e per tagliare fuori alcuni villaggi. Poiché l'obiettivo di Israele è quello di isolare i palestinesi nel loro settore, esso pone grande enfasi nell'attuare la pulizia etnica completa di coloro che, a causa del muro, si sono ritrovati nel settore "israeliano. è il caso di Nazlat Isa, in cui la pulizia etnica è già cominciata.

La storia ci insegna che, con la copertura di una guerra regionale, i generali israeliani spalancheranno anche i cancelli dell'inferno pur di perseguire lo svuotamento della terra e la conseguenze supremazia ebraica. Il fatto che la giunta ci pensi, e molto, non è pura speculazione. L'idea della pulizia etnica attuata in un contesto internazionale favorevole è un tema comune della pianificazione sionista, da Hertzl ad oggi. Un esempio: nel 1989, Netanyahu, ex-primo ministro, si lamentò pubblicamente del fatto che Israele non avesse utilizzato il massacro di piazza Tien An Men come copertura per una nuova pulizia etnica dei palestinesi su vasta scala.

Il pericolo di una grossa ondata di pulizia etnica in Palestina correlata alla guerra in Iraq non è cosa nuova. Un gruppo di accademici israeliani, lo scorso settembre, emanarono un documento di ammonimento, seguiti subito da altri 800 accademici americani. Oggi, i risultati delle elezioni portano alla ribalta la possibilità di una operazione del genere. Le condizioni internazionali possono mutare rapidamente. Israele ha dunque fretta di agire prima che sia troppo tardi. Questa urgenza ha caratterizzato tutte le aggressioni israeliane, nel 1948, 1956, 1967 e 1982. Tutto ci dice che il copione consueto si ripeterà.

L'obiettivo più urgente, ora, è bloccare la guerra contro l'Iraq. In aggiunta a ciò, tutti i governi liberi del mondo dovrebbero rendere ben chiaro che la pulizia etnica in Palestina non sarà più tollerata e che Israele dovrà affrontare serie ripercussioni se non metterà da parte, una volta e per tutte, le sue fantasie supremaziste che si nutrono di carne umana. Chiunque non lo farà, sarà complice.

Gabriel Ash

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