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(4 Novembre 2009) Enzo Apicella
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Alla manifestazione di Roma contro la guerra

(18 Febbraio 2003)

C’è chi pensa che solo ai potenti sia dato di scrivere la storia.

Oggi in tutto il mondo stiamo dimostrando il contrario.

In tutto il mondo, oggi, stiamo dimostrando che gli uomini e le donne, i popoli, i cittadini e le cittadine possono riprendere in mano il proprio destino e decidere insieme il proprio comune futuro.

Fermiamo la guerra. Milioni di persone, movimenti sociali, organizzazioni grandi e piccole in tutto il pianeta hanno risposto all’appello promosso dal Forum Sociale Europeo e rilanciato nel Forum Sociale Mondiale.

Dal Giappone agli Stati Uniti, dalla Russia all’Islanda, da Manila al Cairo abbiamo marciato insieme. Insieme, palestinesi a Ramallah e israeliani a Tel Aviv. Gli osservatori di pace di tutto il mondo a Baghdad. Oggi, siamo parte della più grande manifestazione mondiale della storia dell’umanità. Per dire no alla guerra all’Iraq. No, senza se e senza ma.

Non siamo qui a fare testimonianza. Siamo qui perché questa guerra vogliamo fermarla. E possiamo fermarla.

Sappiamo bene che il governo degli Stati Uniti vuole questa guerra. Sappiamo che Bush e i suoi alleati sono disposti a fare la guerra anche contro la volontà della maggioranza dei popoli del pianeta. Ma sappiamo anche che l’opinione pubblica ha un peso. Che i presidenti devono essere eletti. Che i governi hanno bisogno di voti. Lo sanno anche loro.

Abbiamo un potere immenso, nelle nostre mani, se siamo capaci di presentarci uniti. Se siamo capaci di convincere gli indecisi. Se non ci rassegniamo. Se non torniamo a casa. Se non ci diamo per vinti. Se nei prossimi giorni continueremo ad estendere la resistenza popolare e permanente alla guerra. Fermiamo la guerra.


Siamo tanti e diversi. Veniamo da storie, culture, pratiche e percorsi diversi e differenti. Oggi hanno marciato insieme i movimenti che si battono contro la globalizzazione neoliberista, i movimenti per la pace, i movimenti per la democrazia, partiti politici, l’associazionismo sociale, sindacati confederali e di base, associazionismo religioso, i social forum, le strutture dell’autorganizzazione, le aree antagoniste e della disobbedienza, le ONG, intellettuali, operatori della comunicazione, le organizzazioni degli studenti, delle donne, dei migranti, e migliaia di cittadini e di cittadine.

Siamo orgogliosi di tanta diversità. E’ la nostra forza, perché la nostra convergenza è costruita sulla chiarezza. Senza ambiguità, senza opportunismi, siamo tutti schierati contro questa guerra, in ogni caso, qualsiasi istituzione la promuova o la autorizzi.


Siamo qui, a dispetto delle scelte della dirigenza della RAI, il servizio pubblico pagato da tutti i cittadini, che ha deciso di oscurare questa grande manifestazione rifiutandosi di dare la diretta televisiva.

Siamo qui per difendere l’articolo 11 della nostra Costituzione “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”. Non erano sognatori, quelli che scrissero la Costituzione. Avevano visto gli orrori del nazifascismo, erano stati protagonisti della Resistenza, avevano visto le bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki. Non si illudevano di poter vivere in un mondo senza conflitti. Di fronte ai conflitti, hanno fatto una scelta: non usare la guerra, usare la politica. A questa scelta di civiltà, noi ci sentiamo vincolati.

Siamo qui per difendere il diritto internazionale. E il diritto internazionale dice che nessuno può farsi giustizia da sé. La giusta risposta al terrorismo non può essere la vendetta, né tantomeno la guerra preventiva. Non può essere la risposta di Bush dopo le Twin Towers, e neppure quella di Sharon. La guerra preventiva è la morte del diritto internazionale. La guerra preventiva è l’affermazione del dominio del più forte. Il governo degli Stati Uniti ha esplicitato fino in fondo il suo progetto di egemonia mondiale, senza regole e senza vincoli, nel documento sulla sicurezza nazionale nel quale si arroga il potere di muovere guerra “a chiunque costituisca una minaccia per i propri interessi nazionali”. A vivere in un futuro di barbarie, noi ci rifiutiamo.

Siamo qui perché siamo convinti che la guerra non sconfigge il terrorismo. Il terrorismo non ha mia ragione, neanche quando si nasconde dietro le ragioni dell’ingiustizia sociale. Il terrorismo uccide la partecipazione, che è la forza dei movimenti sociali. A delegare la lotta per il cambiamento, non ci rassegneremo mai.

Siamo qui per difendere la giustizia. Uno degli obiettivi della guerra è il controllo del petrolio che alimenta le economie occidentali. Non è benessere quello che si crea a costo della vita di milioni di persone in tutto il mondo. Il mondo è pieno di armi nucleari, batteriologice, chimiche, di distruzione di massa. Le spese militari aumentano in tutti i paesi del mondo, e alimentano il commercio illegale e criminale. Lo stato più armato del pianeta vuole fare la guerra all’Iraq in nome del disarmo. Gli USA hanno speso quest’anno 500 miliardi di dollari per le armi. Ne basterebbero 13 per salvare dalla morte per fame milioni di persone. A un mondo così tremendamente ingiusto, noi ci opponiamo.

Siamo qui anche contro la guerra economica, sociale e culturale che affligge il pianeta, contro la globalizzazione neoliberista che produce ogni giorno più disoccupazione, precarietà, miseria e ingiustizia sociale.

Siamo qui per difendere la pace. La guerra sarà vista, nei tanti sud del mondo, come un’altra prova dell’arroganza e della politica di potenza dell’occidente. Aumenterà la spirale dell’insicurezza e della repressione, dell’odio etnico e religioso. Produrrà altra violenza, altra guerra. A questo circolo vizioso, noi ci impegniamo a resistere.

Siamo qui per difendere la democrazia e i diritti umani. Ci battiamo perché democrazia e diritti umani siano affermati in tutto il mondo contro ogni dittatura e tirannia. Anche in Iraq. Ma la democrazia non si può affermare con l’arbitrio. Il popolo iracheno ha sofferto abbastanza. Il regime di Saddam è stato sostenuto e armato per anni dagli Stati Uniti. Dodici anni di embargo hanno fatto il resto. All’orrore di tremila bombe lanciate su un popolo stremato, noi ci rivoltiamo. Così come ci rivoltiamo all’uso delle bombe atomiche già minacciato nei piani del Pentagono, e siamo particolarmente allarmati per la presenza di ordigni nucleari tattici ad alta penetrazione nelle basi militari in Italia.

Siamo qui perché la Carta dell’ONU esclude e condanna la guerra come flagello dell’umanità. Nessun Consiglio di Sicurezza può legittimare questa guerra. La Carta delle Nazioni Unite non lo permette. Autorizzare la guerra vuol dire uccidere definitivamente l’ONU, già da anni debole, succube dei poteri forti, tollerante di troppe ingiustizie in tutto il mondo. Basta con le complicità, basta con le doppie misure, basta con la sudditanza agli Stati Uniti. All’ipocrisia della comunità internazionale, noi ci ribelliamo.

Siamo qui, infine e soprattutto, per difendere il diritto alla vita dei nostri fratelli e sorelle irachene minacciate di morte dopo dodici anni di stenti. Vogliamo ricordarci sempre, e vogliamo ricordare a tutti, che saranno loro a pagare il prezzo più alto. La guerra la decidono i potenti, ma sono i deboli che la fanno e la subiscono. Noi la guerra la vediamo dall’alto, con le immagini dei traccianti e la scia dei missili. Loro la vedono dal basso, ed è tutta un’altra cosa. Un razzismo strisciante, per il quale le vite non sono tutte uguali, impedisce di vedere la guerra con i loro occhi, di pensare ai loro volti e ai loro sorrisi quando parliamo di guerra.

A loro, e alle vittime mai viste di tutte le guerre dichiarate e non dichiarate, vi chiediamo di dedicare ora un minuto di silenzio.


Siamo cittadini e cittadine di Europa. Una Europa che ancora può fermare questa guerra.

Facciamo appello, insieme a tutti i movimenti europei, ai paesi che fanno parte del Consiglio di Sicurezza dell’ONU affinché si esprimano contro la guerra e a quelli che hanno potere di veto facciamo appello affinché esercitino questo potere, bloccando qualsiasi risoluzione che autorizzi l’attacco all’Iraq.

Facciamo appello, come stanno facendo i movimenti europei in tutti i loro paesi, alle forze politiche e ai parlamentari perché in tutti i parlamenti nazionali si arrivi al voto prima possibile, prima che la guerra cominci.

Facciamo appello, insieme ai movimenti europei, perché partiti e parlamentari si impegnino a votare contro la guerra, anche in caso di autorizzazione delle Nazioni Unite, e contro l’utilizzo delle basi militari, contro il sorvolo degli spazi aerei nazionali e contro qualsiasi supporto logistico diretto o indiretto alla guerra.

Facciamo appello perché le porte del negoziato siano tenute caparbiamente aperte, per arrivare a una soluzione politica e non militare della crisi.

In molti paesi europei, come in Italia, la grandissima maggioranza della popolazione è contro la guerra. Chiediamo che i Parlamenti rispettino questo orientamento e lo traducano in scelte coerenti.

Facciamo un appello politiche e ai singoli parlamentari: a quelli che sono qui oggi e a quelli della maggioranza che per diversi motivi –politici, religiosi, di coscienza- sono contro questa guerra. Ci sentiamo di chiedervi un atto di coraggio e di coerenza.

Chiediamo un vincolo di coerenza in particolare alle forze politiche che hanno aderito a questa manifestazione. Ognuno si assuma le proprie responsabilità, nella libertà che a ciascuno compete. Ciascuno risponderà delle proprie azioni di fronte ai cittadini e alle cittadine di questo paese. Il tempo del politicismo è finito. E’ tempo di chiarezza.

Votate contro questa guerra. Fate vincere in Parlamento le ragioni della pace e della democrazia che nel paese hanno già vinto. Assumete la responsabilità di rappresentare la volontà della maggioranza dei cittadini italiani. Restituite al nostro paese un ruolo positivo e una dignità.


A noi, movimenti sociali, associazioni, partiti politici, organizzazioni sindacali, esperienze religiose, strutture autorganizzate, società civile organizzata e diffusa, cittadini e cittadine che abbiamo condiviso la piattaforma di questa manifestazione, da qui rilanciamo un appello e un impegno comune. Mettiamo in campo tutte le nostre energie, le nostre forze, le nostre intelligenze e i nostri corpi, le nostre relazioni, la nostra fantasia e la nostra determinazione per fermare la guerra. Costruiamo la più grande esperienza di resistenza permanente alla guerra e alla macchina della guerra che sia mai stata messa in campo, nel caso sciagurato che la guerra inizi.

Facciamo appello perché andiamo avanti insieme, nel rispetto delle differenze, trovando il massimo possibile di unità e di convergenza, coordinando laddove possibile le nostre iniziative, comunicando, riconoscendo le pratiche diverse in un patto di solidarietà.

Ciascuno con i propri strumenti, ciascuno con le proprie forme, ciascuno con le proprie pratiche, costruiamo una rete gigantesca di iniziative e di azioni che provino a fermare, a intralciare, a boicottare, a mettere ostacoli alla guerra.

Facciamo appello perché prosegua la mobilitazione di massa in ogni città, in ogni quartiere, in ogni piazza del paese. Prepariamoci a rispondere all’appello dei pacifisti americani perché in caso di attacco tutti scendano in strada. Prepariamoci a rispondere all’appello europeo per manifestazioni di massa in ogni paese il primo sabato dopo l’attacco.

Facciamo appello agli studenti perché le scuole e le università siano ancora una volta al centro della mobilitazione contro la guerra. Facciamo appello alle associazioni dei consumatori e dei cittadini consapevoli perché promuovano campagne, coinvolgendo il maggior numero di persone in azioni quotidiane contro la guerra.

Facciamo appello alle organizzazioni sindacali, molte delle quali sono oggi in piazza qui e in tutto il mondo, affinchè rafforzino ed estendano la mobilitazione dei lavoratori utilizzando tutti gli strumenti possibili, inclusi gli scioperi.

Facciamo appello agli operatori dell’informazione affinché rifiutino di essere arruolati in una guerra fatta innanzitutto di menzogne. Disobbedite anche voi agli ordini ingiusti, impedite che le redazioni si trasformino in caserme.

Facciamo appello perché aumenti la mobilitazione capillare per coinvolgere tutti e tutte. Riempiamo le finestre delle nostre città di bandiere della pace. In ogni casa, in ogni scuola, nei luoghi di lavoro, nelle sedi istituzionali, tappezziamo l’Italia di bandiere pacifiste.

Facciamo appello affinché ciascuno trovi il suo modo per non obbedire all’ordine ingiusto di sostenere la guerra. Le pratiche della nonviolenza attiva, della testimonianza, del digiuno, della preghiera, della disobbedienza civile e sociale, della resistenza e dell’antagonismo sociale hanno grandi radici e tradizioni nel nostro paese. Costruiamo una fitta rete di resistenza popolare che sappia essere efficace, allargare il consenso e la partecipazione attiva per fermare la guerra in tutti i suoi aspetti.

Facciamo appello perché aumenti la solidarietà concreta a fianco delle vittime della guerra. A fianco della popolazione civile irachena, che si prepara alla guerra in mezzo a mille sofferenze. A fianco del popolo palestinese, del popolo kurdo, del popolo afgano, dei popoli che soffrono le guerre dimenticate.

Noi non siamo quelli che vendono le armi ai dittatori. Noi siamo quelli che da anni, nel silenzio colpevole dei governi, siamo a fianco giorno dopo giorno ai popoli del mondo che patiscono la guerra, la povertà, l’oppressione. Rilanciamo tutte le iniziative di solidarietà concreta e di cooperazione internazionale che la società civile mette in campo. E avvisiamo sin d’oggi il Governo che non parteciperemo ad iniziative umanitarie promosse da chi butta le bombe. I nostri soldi, li spenderemo bene. Salutiamo da qui i cooperanti e i volontari impegnati all’estero che oggi hanno fatto lo sciopero bianco contro la guerra in tutto il mondo.

Facciamo appello perché si rilanci l’iniziativa politica in Medio Oriente, per la fine dell’occupazione in Palestina, per due popoli e due stati, per Gerusalemme capitale condivisa, per la pace e la democrazia in tutto il Kurdistan, per la vita e la libertà del presidente Ocalan e di tutti i leader politici, sociali, sindacali, di minoranze etniche detenuti e perseguitati. Noi non usiamo due pesi e due misure.

Facciamo appello perché il sostegno alle forze democratiche che vivono oppressi da regimi e dittature in tutta la regione diventi priorità politica per tutti, istituzioni e movimenti. Dall’Iraq all’Arabia Saudita, i diritti umani, civili e politici sono negati per milioni di persone. C’è bisogno di solidarietà e di impegno politico quotidiano.

Facciamo appello perché si rafforzino i movimenti europei e mondiali che con noi sono impegnati contro la guerra, perché si realizzi la massima solidarietà e sostegno al movimento pacifista negli Stati Uniti che rappresenta una grande speranza di cambiamento per il proprio paese e per tutto il mondo.

Facciamo appello per una politica di disarmo globale sul piano militare, economico e sociale, per politiche di riduzione delle spese militari, per una riconversione dell’economia di guerra verso usi civili.

Facciamo appello perché l’impegno assunto da tanti movimenti sociali nel Forum Sociale Europeo di Firenze affinché l’articolo 1 della Costituzione Europea contenga il ripudio della guerra come mezzo per la risoluzione delle controversie internazionali divenga una grande campagna nazionale ed europea.

Possiamo dare alla storia un altro segno. Un segno di civiltà. Un mondo senza guerra è possibile. Un mondo di pace, di giustizia, di diritti è possibile. Un altro mondo è possibile. E oggi qui lo stiamo costruendo. Fermiamo la guerra.

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