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L'Inghilterra domina l'economia

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(1 Dicembre 2011) Enzo Apicella

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Intorno all’ economia e alla democrazia in Italia

(10 Ottobre 2008)

In questi giorni tre questioni tengono banco: la crisi finanziaria mondiale, il razzismo e il federalismo fiscale.
Apparentemente sembrerebbero argomenti distinti ed invece sono argomenti legati l’uno all’altro.

1. La crisi finanziaria non è nata per caso ed è stata voluta dal capitalismo americano e subito dal capitalismo europeo. L’Unione Europea si è prestata allo scopo rivelando tutta la sua subalternità nei confronti degli interessi degli Stati Uniti.
Ed anche ora, nel tentare di rimediare agli inevitabili e facilmente prevedibili guasti, la ricetta che viene proposta mira sostanzialmente a salvare i profitti speculativi permessi in tutti questi anni e a far ricadere i costi sulle classi meno protette.
La ricetta di Bush in America e di Sarkozy in Europa è in buona sostanza quanto è stato fatto – in piccolo – in Italia da Berlusconi per l’Alitalia. Si garantiscono alle imprese private patrimonio e utili e si accollano alla collettività i debiti che saranno pagati a scapito dello Stato sociale. I tagli alla sanità ed alla scuola, tanto per fare un esempio ne sono la riprova.
Il guaio è che la ricetta di chi sta all’opposizione ( vedi il PD) non è sostanzialmente diversa. Del resto il PD è stato proprio costruito in modo da essere compatibile con il sistema capitalistico.
La crisi finanziaria non data da oggi e sarà difficile che essa possa risolversi soltanto dando o modificando le regole. Il liberismo in un sistema globalizzato non sopporta regole , né principi né etiche. A dimostrarlo sono le tante guerre che vengono fatte e alimentate in tutto il mondo . Ora che c’è crisi si scopre lo Stato anche da chi ha gridato contro lo statalismo e lavorato per uno stato leggero. Sembrerebbe una contraddizione ma non lo è se consideriamo che “storicamente” ha sempre funzionato la pratica della privatizzazione dei profitti e la socializzazione delle perdite.
Ma la crisi è ancora più grave perché ahimè non è pronta una ricetta alternativa che soltanto una sinistra non riformista può dare e che non può prescindere dall’immaginare e lavorare per una società diversa dove la ricchezza sia prodotta dal lavoro e non dagli speculatori di borsa. Dove lo Stato sia presente come regolatore ed operatore nel mercato abbandonando la politica del “laissez faire”. E occorre una Unione Europea diversa: dei popoli e non dei governi.
Per uscire da questa crisi occorre far leva sui lavoratori, sui un sindacato che faccia ammenda del ruolo negativo svolto negli ultimi decenni ed anche di forte mobilitazione di piazza per chiedere che a pagarne le spese siano coloro che in questi anni hanno accumulato ricchezza e non le famiglie italiane che faticano con i loro attuali redditi ad arrivare a fine mese e che rischiano di vedere volatizzati anche i pochi risparmi che hanno forse ancora da parte.
Non basta ( anzi è un controsenso) chiedere come fa il PD o il sindacato confederale ( ignorato dai conclavi che si stanno tenendo per la crisi) di detassare i salari: sarebbe ben poca cosa che comunque sarebbe restituita dagli stessi lavoratori con l’aumento dei prezzi o attraverso i ticket. Occorre invece un forte intervento “keynesiano” per finanziare infrastrutture (scuole, ospedali ecc.) e creare posti di lavoro ; occorre una massiccia redistribuzione del reddito attraverso la leva fiscale che aumenti i prelievi ai ricchi e li diminuisca ai meno abbienti; occorre aumentare salari e pensioni; bloccare e sottoporre a controlli efficaci tariffe e prezzi; uno stop al pignoramento di case e un sostegno ai debitori insolventi per il pagamento dei muti abitativi; l’abbandono al loro destino degli istituti bancari più esposti e ritornare a forme di nazionalizzazione; dichiarare illegali la maggior parte dei nuovi prodotti finanziari ; tagliare le spese militari ; occorre che il governo sostenga lo stato sociale e non i guadagni che le imprese hanno ottenuto in questi anni sulla pelle dei lavoratori.
In poche parole, rivedere il modello di sviluppo e con esso un diverso l tipo di società.

2. Le statistiche ci dicono che quasi la metà degli italiani è razzista. Non è una novità e l’allarme destato da personalità diverse anche della politica ci sembra da un lato a scoppio ritardato e dall’altro ipocrita.
Certo, il razzismo in Italia ha radici antiche e tuttavia è sotto gli occhi di tutti che da un decennio a questa parte è stato fortemente alimentato .
Innanzi tutto c’è in Italia un partito razzista che sta indisturbato al governo ed è la lega che ha tratti non dissimili da quello che fu il partito nazionale fascista di altri tempi.
Le sue idee non solo sono state amplificate dai mezzi di informazione ma sostenute dagli stessi e fatte proprie anche da altre forze politiche, alcune per vocazione ( vedi alleanza nazionale) altre per opportunismo (vedi partito democratico). Due esempi per tutti: sul Corriere della Sera imperversa, in perfetta coerenza con la linea editoriale degli anni 30, come vice direttore, tale Magdi Allam che quasi quotidianamente istiga all’odio razziale e religioso. Il secondo esempio riguarda l’ultima campagna anti rumena accesa dal leader del partito democratico all’indomani dell’uccisione a Roma di Giovanna Reggiani, campagna prontamente raccolta e sviluppata dal centro-destra. A questa campagna poi, per non essere da meno , si sono aggiunti i contributi di molti sindaci bipartisan ( ma con particolare distinzione per quelli di orientamento veltroniano come i sindaci di Firenze o di Padova) imitatori del trevigiano Gentilini anche se mascherati da ragioni moralistiche o di decoro .
Era del tutto prevedibile che questo fenomeno razzista coltivato anche da un allarmismo procurato più che reale ( i dati delle questure ci dicono che i reati sono in diminuzione) non sarebbe stato alla lunga controllato come qualcuno sperava.
Ora, proprio coloro che hanno appiccicato il fuoco vanno in tv o scrivono od ospitano articoli manifestando preoccupazione anche se, in concreto, non propongono né fanno alcunché per bloccare il fenomeno.
Per essere credibili costoro, anziché corteggiare la Lega come fatto finora e come qualcuno nel PD si ripromette, la dovrebbero isolare: lasciare nelle mani di un leghista il ministero dell’interno è come alimentare di continuo il fuoco del razzismo. Occorre rivedere il pacchetto sicurezza ed ogni altro provvedimento discriminatorio approvato dagli ultimi governi (compreso l’ultimo governo Prodi) e convincere i sindaci che non è con la repressione ma con la solidarietà e l’integrazione che si garantisce decoro alle città ed anche maggiore sicurezza.

3. Tutti si riempiono la bocca di “federalismo fiscale” che viene considerato la panacea di tutti i mali degli enti locali.
La proposta di legge varata dal governo però non sembra dare assicurazioni nel merito. Anzi rischia di produrre effetti negativi su diversi piani e di fare la fine dei decreti “bassanini” che, istituendo i sindaci-podestà, non hanno debellato clientelismi, corruzioni e concussioni. Intanto la base ideologica del federalismo che viene proposto ( dalla Lega innanzi tutto ma subito e fatto proprio nella sostanza persino al centro-sinistra) è quello dello spezzettamento dello stato unitario in un percorso che non potrà che portare in questo nostro sistema capitalistico globalizzato alla secessione. L’ampliamento delle funzioni regionali in sé positivo se si trattasse di un vero decentramento, assume invece carattere negativo quando viene interpretato come un veicolo di discriminazione per cui, rispetto ai fondamentali diritti quali ad esempio la sanità e la scuola un cittadino italiano viene penalizzato o trattato diversamente solo perché risiede in una regione rispetto all’altra. Sulla scuola poi è significativa l’affermazione non certo casuale della ministra Gelmini nel giudicare scadenti gli insegnanti che provengono dal sud ed in questo modo dando fiato a coloro che vorrebbero che gli insegnanti provenissero dal territorio.
Inoltre più di un dubbio sussiste in merito al fatto che dal provvedimento governativo deriveranno maggiori risorse per i comuni. Nemmeno se verrà riconosciuta la percentuale del 20% dell’IRPEF. Non ci sono le risorse. E non è certo risolutiva modificare (giustamente) i criteri di erogazione delle risorse onde evitare rilevanti sprechi degli enti locali specie nel sud. Già non si sa se il governo sarà in grado di rimborsare i minori introiti dei Comuni per l’eliminazioni dell’ICI. Con le continue risorse che vengono erogate per le guerre , con i debiti dell’Alitalia che dovremmo pagare, con la recessione in atto e con i soldi che si vogliono regalare alle banche ed alle imprese con il pretesto di difendere i risparmi ( senza peraltro chiamarle a compartecipare visto i profitti ed il patrimonio accumulato in questi anni), la prospettiva non è certo delle migliori anche per il futuro.
Il risultato che si può ragionevolmente prevedere è che cresceranno le disuguaglianze, i comuni aumenteranno le tasse e contemporaneamente ridurranno i servizi o per fare cassa venderanno patrimonio ( quel che resta visto che questo processo è in atto già di anni) , consentiranno ulteriori speculazioni edilizie a tutto danno dell’ambiente con conseguenze che poi tutti pagheremo (soprattutto le nuove generazioni) con costi economici e sociali.

Lucio Costa (Movimento per la Costituente Comunista - Padova)

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