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L'umore di Moody's

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(18 Giugno 2011) Enzo Apicella
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Crisi capitale

(18 Ottobre 2008)

Trema il capitalismo mondiale, tremano i suoi pilastri economici e politici, si materializza lo spettro della recessione planetaria, e in un inferno di terrore e caos generalizzati una spietata legge del contrappasso punisce, in una sequenza inesorabile di nerissime giornate, la grande massa dei banditi della finanza e dei dannati della Borsa, bruciando in pochi istanti centinaia di miliardi di carta straccia camuffata da valore accumulati in anni di azzardo al continuo rialzo. La realtà del rancido sistema capitalista, con le sue spettacolari esplosioni e catastrofi, ci ha abituati ad andare ben al di là della nostra povera e mortale immaginazione, ma mai come ora la sua tragedia pare ricalcare passo per passo il copione storico previsto da Carlo Marx.

Si è dovuti finalmente arrivare a metà dello scorso settembre, dopo poco più di un anno dalle dichiarate insolvenze legate ai famigerati mutui subprime, per scoprire come la “sorte” abbia definitivamente voltato le spalle ad investitori e risparmiatori, tra cui milioni di proletari persuasi a gettare liquidazioni e pensioni nella roulette azionaria. Ci hanno abboccato pesci grandi e piccoli, ai quali il Casinò della Borsa ha fatto d’un tratto sparire dal banco di gioco le “sudate” fiches, smascherando il grande bluff del rischio compensato dall’alto rendimento di complessi strumenti finanziari suicidi, all’interno dei quali sono stati nascosti una montagna di debiti inesigibili. Oggi sono proprio le pesantissime perdite dei titoli borsistici, il fallimento diffuso (avvenuto o evitato in extremis) di colossi bancari e di grandi gruppi finanziari ed assicurativi, la loro svendita deprezzata a superstiti istituti privati “più sani e solidi” o addirittura il loro salvataggio “socialista” da parte dello Stato, a darci la prova concreta della gravità dell’odierna patologia economica e a metterci di fronte ad una crisi sistemica partita anche stavolta da New York, cuore malato e oggi in fibrillazione del capitalismo internazionale già da decenni in sala di rianimazione.

La crisi attuale non è contingente ma epocale: essa è infatti il punto più alto della crisi di saturazione iniziata nel 1975, scatenata dallo shock petrolifero del 1973-74 e sviluppatasi alla fine del periodo espansivo del capitalismo seguito al bagno di giovinezza del Secondo Massacro Mondiale (ricostruzione postbellica). E’ infatti da questa data che la capacità accumulativa del capitale produttivo subisce un graduale rallentamento, dando il via ad un vorticoso sviluppo del credito che alimenta una crescente e intensa finanziarizzazione dell’economia, guidata naturalmente dagli Stati Uniti, campioni imperialisti del rastrellamento planetario di plusvalore operaio (profitto) e di rendita petrolifera della quale detengono ancora il controllo maggioritario. Così negli ultimi trent’anni sono continuate ad affluire nei mercati borsistici, di New York e Londra soprattutto, masse sempre più ingenti di capitali in cerca di una valorizzazione che la produzione media mondiale, con margini di profitto sempre più ristretti, non riesce più a soddisfare adeguatamente.

Di qui ad oggi vi è stato dunque un incremento esponenziale della speculazione finanziaria, agevolata dalla caduta di tutte le cortine di ferro e dalla conseguente “globalizzazione” giunta a suo completamento, e che attraverso le sue vertiginose salite non ha fatto altro che innescare nell’economia reale “riprese” fittizie e drogate, esauritesi in altrettanti fragorosi tonfi borsistici. Ma ricordiamone i maggiori degli ultimi decenni: il lunedì nero di Wall Strett nel 1987, la crisi delle tigri asiatiche del 1997, l’esplosione della bolla americana sui titoli tecnologici del 2000-2001, e la presente crisi tipo 1929, ma di quella internazionalmente ben più ampia e profonda, malgrado le numerose rassicurazioni alle pecore impaurite dei tanti lupi, paladini del sistema di rapina imperialistico, ancora in circolazione.

Il recente tracollo finanziario dell’Argentina nel 2001, con i suoi bonds-spazzatura (contemporanei ai bidoni italici della Cirio e della Parmalat) a far fessi in giro per il mondo i tanti aspiranti Paperoni, non doveva forse rimanere, secondo i prezzolati esperti ed analisti economici, un caso isolato, una vicenda circoscritta al povero Sud America? Siamo di fronte ad un film già visto e rivisto invece, stesse le scene, stesse le immagini di crolli azionari, di bancarotte, di lunghe file di risparmiatori disperati e di schiere di lavoratori rimasti senza lavoro: appena ieri a Buenos Aires, oggi oramai a Reykjavik e nelle maggiori capitali dell’Occidente “ricco e prospero”.

Proletari!

Economisti, commentatori e addetti ai lavori stipendiati dal Capitale, cadendo dalle nuvole, chiedono adesso un “ritorno all’etica” per questo “fallito modello di capitalismo” che sta provocando tutti questi disastri, e reclamano illusoriamente nuove regole e maggiori controlli. Straparlano questi servili personaggi che, anzi, proprio fino a ieri hanno vestito i panni dei partigiani di questo sistema malato, proclamandolo “virtuoso e dispensatore di benessere e ricchezza” e capace addirittura di autoregolamentarsi attraverso la mano invisibile del mercato. Oggi, invece, fanno i moralizzatori ed indicano nei manager farabutti stile Lehman Brothers, nei politicanti alla Bush o nei banchieri alla Greenspan, i responsabili di questa deriva della “finanza creativa e speculativa”, smarrita nell’illusione di creare ricchezza da cartaccia senza valore.

Ma la cruda ed evidente realtà è che questo è il capitalismo, un modo di produzione che non può essere altra cosa e che non può essere tanto meno migliorabile o emendabile. I suoi guai e disastri non dipendono dalla cattiva gestione dei capitalisti o dalla corruzione del suo personale politico e manageriale, ma dipendono esclusivamente dal suo funzionamento e dalle ferree leggi che lo regolano, e che ne devono garantire sempre consistenti margini di profitto e bassi costi, ovvero una valorizzazione del capitale sempre remunerativa rispetto agli investimenti compiuti. Le cause delle crisi quindi non risiedono nell’incapacità o nell’immoralità di chi siede nei posti di comando: difatti, fintantoché l’economia e la finanza tirano, pur con catene di Sant’Antonio e con giochi di prestigio di maghi contabili, queste figure sono tollerate, anzi elogiate e premiate con stipendi d’oro proprio perché funzionali al sistema; e non risiedono neppure in regole sbagliate o in controlli insufficienti, dato che l’unica regola che sa eludere tutte le regole e tutti i controlli alla fine è proprio quella che risponde alla logica del profitto, e infatti nella produzione reale come nella finanza si sono sempre commessi in nome del profitto i più grandi tipi di abusi, di distruzioni e di crimini.

Proletari!

Per arginare il crollo della fiducia, il dilagare del panico e dell’allarmismo, tutte le istituzioni borghesi nazionali e sovranazionali si prodigano ora a far appello alla calma e alla prudenza, cercando di rassicurare consumatori e risparmiatori sulla risolvibilità della crisi ed esortando al senso di responsabilità, all’unione e alla collaborazione di tutte le classi per “affrontare assieme il pericolo comune”, mentre già tra i medesimi predoni e strozzini del capitale monetario (banche, società finanziarie, istituti assicurativi) sono proprio la fiducia e la solidità reciproca ad essere messe in discussione come rischiose merci da scambiare. Ben sappiamo che nel momento in cui un venditore è costretto a rassicurare i clienti sulla bontà del suo prodotto, la sua credibilità è già andata a farsi benedire assieme alla fiducia di tutti i potenziali compratori nei suoi confronti.

La quantità difficilmente misurabile di capitale fittizio che la guerra finanziaria in atto ha distrutto e distruggerà, ci dà la misura della qualità di questa gravissima crisi di sovrapproduzione, che parte proprio dall’economia reale e che via via trasformerà in paludi i mercati, placando certamente non per un breve periodo l’eruzione anarchica del vulcano della produzione capitalistica internazionale. Infatti, la recessione è già una realtà confermata in America, Europa e Giappone: la diminuzione della produzione industriale, il rallentamento dell’edilizia e la contrazione del mercato immobiliare, le difficoltà in cui sono precipitati i costruttori di auto, il ricorso delle famiglie al risparmio anche sulla spesa alimentare, ne sono i sintomi più tangibili. Il calo dei prezzi delle risorse energetiche e delle materie prime sull’onda della discesa dei consumi di aziende e privati, è il segnale lampante di un principio di deflazione in atto che aggrava ancora di più la natura di questa classica crisi mondiale di sovrapproduzione, che è e sarà una crisi di interguerra, la cui unica soluzione passerà attraverso la preparazione del terreno materiale e ideologico per un terzo conflitto mondiale tra gli imperialismi del pianeta.

Dietro alla caotica e confusa preparazione e messa in atto dei piani anticrisi americano ed europeo per il salvataggio del sistema bancario e per l’iniezione di nuova fiducia nei mercati, con enormi nazionalizzazioni ed interventi statali mai visti finora e che, alla faccia del vantato liberismo, fanno impallidire oggi i più acerrimi detrattori del capitalismo di stato del “morto e sepolto socialismo reale”, aleggia il fantasma del prossimo rafforzamento di una Santa Alleanza Borghese proprio contro il proletariato mondiale, allo scopo di imprimere un ulteriore giro di vite all’attacco padronale, sempre in atto contro gli operai, ma che la corrente catastrofe economica nei prossimi anni inasprirà proporzionalmente alla propria virulenza e profondità.

Mai come adesso lo Stato dimostra di essere in tutto e per tutto il comitato d’affari della borghesia, preoccupata a salvare e difendere il sistema del profitto e quindi la sua stessa sopravvivenza in quanto classe dominante e sfruttatrice. Mai come in questa occasione di “emergenza e allarme” ogni singolo stato nazionale, pur essendo ancora saldamente in mano alla rispettiva classe borghese, teme però per il proprio dominio economico e politico, credendo con più che ottimistica speranza nello spuntato soccorso di palliativi travestiti da “grandi piani e manovre per la rapida uscita dalla crisi”.

Proletari!

Ma chi pagherà ancora la crisi? E’ certo che nell’immediato si determineranno estese chiusure e ristrutturazioni aziendali con licenziamenti generalizzati e, al contempo, aggravate politiche governative volte all’ulteriore peggioramento delle condizioni di vita e di lavoro di tutti i salariati, occupati e non. L’eccezionalità della congiuntura costringerà la dittatura borghese ad abbandonare in fretta la maschera democratica, per imporre a livello nazionale nuove manovre di “lacrime e sangue” atte ad abbassare ancora salari e tutele sociali e ad aumentare ancora sfruttamento e orari di lavoro, precarietà ed incertezza, in nome della salvezza della patria economica “minacciata dalla crisi globale”, nell’interesse di tutti gli allarmati profittatori del sistema capitalistico. Vi saranno poi accresciuti provvedimenti di blindatura dello Stato, non solo sul piano economico come sta già avvenendo, ma soprattutto sul piano sociale, con sempre più evidenti limitazioni ai temporanei “diritti sindacali e di sciopero”. La militarizzazione della società si concentrerà sul controllo ferreo di ogni iniziativa di lotta che i lavoratori saranno obbligati ad intraprendere a causa della gravità della situazione economica e del derivante deterioramento delle proprie condizioni materiali.

Lo sviluppo dell’imperialismo nel corso dell’ultimo secolo come ultima fase del capitalismo, in cui il capitale finanziario ha assunto l’egemonia sul capitale industriale e produttivo, e dove il militarismo è stato portato alle sue estreme conseguenze grazie a continue e sempre più estese guerre, unico mezzo per risolvere le ricorrenti crisi capitalistiche, non ha fatto altro che confermare le previsioni del marxismo sul decorso autodistruttivo della società borghese. In questo sta per noi la ribadita dai fatti vittoria teorica del comunismo e del suo sotterraneo movimento reale dato troppe volte per defunto.

Non vi è da scegliere tra capitalismo senza crisi e capitalismo in crisi, per i proletari. Vi è da lottare – e la lotta non sorge dal solo dato della crisi, ma da una forza politica tesa alla Rivoluzione e alla dittatura della classe lavoratrice, nucleo della scoperta di Marx – per farla finita con il capitalismo, con crisi o senza crisi, drogato o senza fiato.

Partito Comunista Internazionale, Schio (VI)

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