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Addio compagne

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(23 Febbraio 2010) Enzo Apicella
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Bandiere levate, bandiere calpestate

(15 Ottobre 2008)

L’11 ottobre 2008 ha rivisto un fiume di bandiere rosse che scorreva come una piena da Roma Termini fino ai templi di Bocca della Verità. Un fiume che, tracimando e travolgendo, ha spazzato via detriti e scorie di cui, pure, alcuni esemplari si erano avventurati nel corteo dei cento e centomila rosseggianti. Bertinotti, Vendola, attaccati alla piccola massa gelatinosa dei SD (già PDS, già SD: miserelli, sono a corto anche di lettere). I segni di una vittoria mondiale, storicamente e ancora più geograficamente vicina e viva, sugli spettri – opportunamente fischiati – di poltronari tanto sconfitti quanto artificialmente tenuti in vita dalle flebo di un accanimento terapeutico cui concorre un fronte che va dalla banda Veltrusconi fino al “quotidiano comunista”.

Prima di dire la mia sull’esito della manifestazione del comunismo ritrovato, s’impone l’esame di un suicidio annunziato. Quello, appunto, del “quotidiano comunista”. Un giornale, “il manifesto”, che, come Sisifo, alcune migliaia di lettori insistono a spingere su per la china sulla quale si ostina ad arretrare, attratto dal fondo paludoso del conformismo, della moderazione, dell’integrazione. Un giornale che paga pegno, più che per la repressione finanziaria del regime fascistizzante, per l’inesorabile fuga del suo bacino politico. Esito tragicomico per chi si pone come referente informativo e formativo dell’antagonismo culturale, sociale e politico e che, in teoria, dovrebbe essere l’indispensabile strumento di conoscenza proprio di quei trecentomila che l’11 ottobre hanno sfilato sotto il cielo romano drappeggiato di rosso (del tabloid vendinottiano “Liberazione” di Sionetti e di un farlocco situazionista e anticomunista di nome “Bifo”, che detta la linea alla faccia della maggioranza uscita dal Congresso, non mette neanche più conto parlare).Trasuda acida irritazione anticomunista tutto lo spazio che “il manifesto” ha dedicato a questo rovesciamento dell’escatologia disfattista e collaborazionista da lui praticata tra un innamoramento e l’altro per gli eroi di tale escatologia, da Ingrao e Bertinotti e a Vendola, da Cofferati a Epifani. Con Rossana Rossanda, epifania di un radicalismo chic, paracadute di ogni revisionismo e di ogni stereotipo collaborazionista “liberal”, che impartisce ammaestramenti a una sinistra degna della sua Rue de Rivoli.

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Fulvio Grimaldi

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