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17 ottobre: una scommessa vinta…contro tutto e tutti!

(24 Ottobre 2008)

La folla oceanica che ha invaso le vie della capitale in occasione dello sciopero generale dei sindacati di base è un fatto di rilievo sulla scena politica e sociale, destinato a lasciare un segno, nell’immediato e in prospettiva.

L’appuntamento del 17 ottobre ha rappresentato con ogni probabilità la più grande manifestazione non solo nella storia del sindacalismo di base, ma anche, più in generale, nella storia recente della sinistra di classe (almeno dai tempi di Genova 2001).
Un risultato straordinario sia in termini di partecipazione, sia soprattutto per la qualità dei temi e dei contenuti messi in campo dai vari settori del corteo.

Al di là del solito balletto di cifre, non vi è dubbio alcuno che si siano abbondantemente superati i cinque zeri: numeri senz’altro impressionanti, tanto più a fronte delle condizioni atmosferiche a dir poco proibitive, del boicottaggio sistematico dei mass media di regime (i quali hanno fatto riferimento solo ai “disagi in vista a causa dello sciopero dei trasporti”), e alla quasi “coincidenza” con la manifestazione indetta da Prc e PdCI l’11 Ottobre. Una cifra a cui andrebbero tra l’altro sommate le decine di migliaia scese in piazza a Milano nel corteo indetto da Cub, Slai Cobas e alcuni centri sociali.
Per la prima volta da decenni a questa parte, l’adesione allo sciopero è andata ampiamente oltre i perimetri tradizionali del sindacalismo di base. Le circa 2 milioni di astensioni dal lavoro testimoniano come le parole d’ordine dello sciopero abbiano attecchito fin dentro il cuore del sindacalismo “confederale”. Ciò è dimostrato anche dalla partecipazione al corteo di numerosi iscritti alla CGIL, scesi in piazza in piena autonomia nonostante i diktat dei loro vertici.
Il dato più significativo è però rappresentato dalla radicalità di temi e contenuti presenti al corteo. Dalla precarietà alle morti sul lavoro, dalla difesa dell’ambiente a quella della scuola pubblica, dal no alla repressione contro le avanguardie e gli attivisti sindacali fino al tema scottante della crisi finanziaria pagata coi soldi dei lavoratori: il 17 ottobre ha unito in piazza vertenze, lotte e mobilitazioni reali che finora si erano sviluppate in maniera separata, dando voce ai veri protagonisti del conflitto senza limitarsi, come da troppo tempo è avvezza la sinistra ufficiale, solo a rappresentarlo.
Tra questi temi, l’attacco alla scuola e all’istruzione portato avanti dal ministro Gelmini è quello che ha ottenuto maggior visibilità, catturando l’attenzione dei mass-media e della stampa. Ciò grazie al ritorno in campo di un movimento studentesco medio e universitario di ampia portata, la cui consistenza quantitativa e radicalità di contenuti e parole d’ordine ha dato un contributo determinante alla riuscita dello sciopero. Un movimento capace di interloquire col resto del corteo (e del paese reale) sulla base di una parola d’ordine semplice ma al tempo stesso dirompente nella sua efficacia politica e programmatica:”Non saremo noi a pagare la vostra crisi”. La maturità e la chiarezza d’intenti di questo movimento è ben testimoniata dalla scelta di proseguire il corteo ben oltre il percorso concordato, dirigendosi in migliaia verso il ministero dell’istruzione e cingendolo d’assedio senza tra l’altro cadere nella trappola delle provocazioni delle forze dell’ordine al servizio di un governo mai come in questo momento interessato a far degenerare lo scontro per schiacciare la lotta sul nascere.

Questi dati inconfutabili meritano qualche considerazione aggiuntiva, affinché il 17 ottobre non sia solo un fatto isolato, quanto invece la base di partenza per lo sviluppo di un movimento di opposizione di classe al governo Berlusconi, e per il rilancio della sinistra comunista e anticapitalista tutta.

1. Il successo registrato da ogni appuntamento indetto finora contro le politiche del governo, testimoniato anche dalla riuscita del corteo del Prc e PdCI dell’11 Ottobre e di quello antirazzista del 4 Ottobre, dimostra come il paese reale, composto da milioni di uomini e donne, lavoratori, precari, immigrati e semplici cittadini che pagano sulla propria pelle le politiche della destra oggi e del centrosinistra ieri, stà esprimendo in queste settimane una volontà di “contare”, esprimendo ovunque ve ne sia occasione il malcontento e la rabbia contro la deriva reazionaria e autoritaria in atto. Questo protagonismo ha praticamente “scavalcato a sinistra” le direzioni delle organizzazioni sindacali e politiche tradizionali. Queste ultime, incapaci di leggere una fase sociale segnata da un drammatico peggioramento delle condizioni di vita e di lavoro, continuano in larga parte ad interpretare la politica come corpo separato dalla materialità dell’esistenza quotidiana, come prassi funzionale solo a futuri riposizionamenti istituzionali, a sbocchi elettoralisti o ad equilibrismi congressuali.
2. In quest’ottica, la riuscita di entrambe le manifestazioni dell’11 e del 17, lungi dallo stemperare la polemica sull’inopportunità di una scadenza separata dei partiti della sinistra “radicale”, al contrario ne rafforza il senso e la giustezza. Nei fatti, la scelta compiuta dai dirigenti del Prc e del PdCI di far scendere in piazza i propri militanti ed elettori sei giorni prima di una manifestazione indetta dall’intera opposizione sociale, non trova altra spiegazione che in un malcelato tentativo da parte di settori di questi due partiti di contrapporre le due piazze, al fine di indebolire lo sciopero del 17 e riaffermare una presunta egemonia dei partiti sulla piazza: una riproposizione fuori tempo massimo dello schema del “partito-guida” di staliniana memoria. Questa operazione, sterile quanto autoreferenziale, è stata di fatto seppellita dai fiumi di lavoratori, precari e studenti che hanno invaso la piazza del 17. Sarebbe il caso che Prc e PdCI meditassero approfonditamente al riguardo: le migliaia di compagni scesi in piazza l’11 ottobre reclamano la costruzione di un’opposizione reale, libera da alchimie elettoraliste e giochini politicisti, capace di calarsi nel quotidiano delle lotte e non, al contrario, limitata al rito annuale dell’”orgoglio comunista”.
3. Una tale spinta al protagonismo dal basso dovrebbe aprire una riflessione anche tra gli stessi compagni del sindacalismo extraconfederale. I fatti stanno dimostrando con sempre maggiore evidenza che l’unità d’azione tra le principali sigle (Cub-RdB e Confederazione Cobas in primis, ma non solo) porta a risultati migliori di ogni più rosea aspettativa: la già citata partecipazione allo sciopero di numerosi iscritti alla CGIL è di per sé un dato paradigmatico di quanto sia giunta a maturazione tra i lavoratori la necessità di costruire uno spazio sindacale alternativo alla triade confederale: una necessità che è emersa in maniera limpida già nell’assemblea dei delegati di Milano dello scorso Maggio. Se tutto ciò è vero, il “patto di consultazione” tra le principali sigle non può più limitarsi a un semplice “intergruppo di coordinamento”, ma deve fin d’ora riproporsi come suo orizzonte la costituente di un nuovo sindacato unitario di classe. Alla luce dell’unità reale espressa dalle lotte e dalle mobilitazioni, risulta ogni giorno più incomprensibile, in primo luogo ai lavoratori stessi, la permanenza di una miriade di sigle diverse afferenti tutte al mondo del sindacalismo di classe.
4. Non certo immune da errori e ritardi è, in quest’ottica, la stessa sinistra di classe e comunista. Tanti, troppi compagni si sono in questi mesi “fasciati la testa prima di rompersela”. Il bombardamento mediatico sull’”ondata di destra” crescente nel paese e sulla conquista di settori operai e proletari da parte dei partiti di governo ha portato settori del movimento a un eccessiva sopravvalutazione dell’avversario e a una conseguente sottovalutazione delle potenzialità di sviluppo delle lotte e del conflitto. Bisogna riconoscerlo: l’arcipelago di forze che si collocano fuori dalla sinistra ufficiale è stato anch’esso, al pari di queste ultime, di fatto scavalcato dalla materialità delle lotte sociali, incapace di leggere le profonde contraddizioni che covavano dietro l’apparente invulnerabilità del sistema dominante, e dunque incapace di indicare una prospettiva di superamento del capitalismo credibile e al passo con la società odierna. Ancora oggi, mentre nuove generazioni si affacciano al conflitto gridando in maniera forte la propria domanda di autonomia dal quadro politico bipolare, gran parte della sinistra di classe resta impelagata in dispute dottrinarie, manie narcisiste e beghe di condominio lontane anni luce dai problemi reali della classe sfruttata. Di fronte al precipitare della crisi del sistema capitalistico, i compagni che si collocano nell’area comunista e rivoluzionaria hanno in questa fase da un lato il dovere di contribuire, in ogni forma e col massimo di investimento militante, a costruire e rafforzare l’opposizione sociale; dall’altro il dovere di superare lo stato di estrema frammentazione di forze per iniziare il difficile ma imprescindibile percorso di ricostruzione di un vero soggetto politico unitario, una casa comune dei comunisti autonoma da una “sinistra radicale” che, almeno nei suoi gruppi dirigenti è ancora subalterna nei fatti al PD e schiava dello schema fallimentare del “centrosinistra”. La costituente comunista di cui il paese ha bisogno non è né un cenacolo di nostalgici, ne tantomeno un facile escamotage elettorale per restituire una poltrona di parlamentare a chi ha dimostrato in questi anni di non meritare la fiducia dei lavoratori. Essa avrà un senso solo se sarà capace di dimostrarsi uno strumento teorico e programmatico valido per far avanzare le lotte e portarle dall’attuale fase difensiva a una nuova ondata di offensiva anticapitalista.

Napoli, 20-10-2008

Movimento Campano per la Costituente Comunista
Associazione Unità Comunista

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