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Finanze d'alto bordo

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(27 Novembre 2011) Enzo Apicella

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Crisi dei mercati: il modello-rapina Alitalia, purtroppo, ha fatto scuola

(20 Ottobre 2008)

Nelle ultime settimane, a seguito della crisi mondiale dei mercati che ha costretto i faccendieri del capitalismo a presentarsi col piattino in mano davanti alla porta dei loro fiduciari politici, si sente parlare con sempre più insistenza della necessità di un rapido intervento dello Stato a copertura delle malefatte dei bamboccioni dell’Alta Finanza internazionale. Anche in Italia, così come negli USA, quelli che erano i cultori del libero mercato e della “mano invisibile” di Adam Smith, sembrano aver abdicato alle loro ferree convinzioni. Come mai? Come è stato possibile che nel breve volgere di qualche settimana, per la gran parte dei fiduciari politici del capitalismo mondiale non risulti più vero che esista un invisibile schema autocorrettivo grazie al quale “tutto si aggiusta da sé” ?

Naturalmente la conversione di questi farabutti non sta né in una fulminante conversione seguita alla lettura dei testi di Bioeconomia (i cui studi modulano la constatazione fisica secondo cui qualunque sistema, ed il mondo è un sistema, progressivamente e naturalmente, è soggetto a perdita dell’energia ed all’aumento dell’entropia) né tantomeno in un surplus di ragionamento logico-razionale (se Adam Smith l’ha chiamata “mano invisibile”, e nessuno ha avuto da obiettare in tutti questi decenni, molto probabilmente è perché c’è un atteggiamento fideistico nei confronti del libero mercato che, all’occorrenza, senza farsene accorgere, borseggia nelle tasche della malcapitata classe produttrice), ma nell’obbligo di aiutare i padroni, verso cui si comportano come cani da guardia, a rischio bancarotta. Dichiarazioni di principio come “libero mercato laddove è possibile, Stato dove è necessario”, buone per ogni stagione, sono state reinterpretate alla luce della nuova fase storica.

E così ciò che fino a ieri era vietato (lo Stato interventista) oggi diventa auspicabile se non definitivo. Su questo punto è opportuna una precisazione: l’interventismo statale di cui si parla, negli USA come in Gran Bretagna, in Germania come in Italia, non è affatto strutturale (ossia la gran parte delle banche in difficoltà non vengono nazionalizzate ma semplicemente depurate dai debiti, accollati sul groppone di lavoratrici e lavoratori). Prendiamo per esempio le misure adottate da Gordon Brown con la Northern Rock: innanzitutto Downing Street, a scanso di equivoci, ha subito chiarito come il proprio advisor nella vicenda, la banca d'affari americana Goldman Sachs, aveva concluso che nazionalizzare era l'unica strada. Poi, il ricorso a una crescente corte di consulenti della City, non ha fatto altro che aggravare la faccenda: Ron Sandler, il top manager messo dal Governo alla guida di Northern Rock, si è subito dato da fare circondandosi, oltre che di top manager provenienti dal settore privato, di consulenti profumatamente pagati per decidere i nuovi piani strategici: dalla McKinsey, passando per la banca d'affari NM Rothschild. Lo stesso Sandler, che ha una retribuzione di 90mila sterline al mese (125mila euro) è un "non dom", ossia uno dei 200mila stranieri non residenti che finora potevano non dichiarare i redditi prodotti al di fuori dell'Inghilterra e su cui il Governo ha imposto un giro di vite obbligandoli a fare una dichiarazione globale. Come giustamente riporta il sito www.marconiada.blog.ilsole24ore.com: “Una banca nazionalizzata, consigliata da banche d'affari della City, guidata da uno straniero con uno status che lo stesso Governo ora vuole abolire e che avrà il potere di pignorare gli immobili dei poveri malcapitati che non potranno pagare i mutui....Insomma c'è proprio da dire che è un bel guazzabuglio...una storia moderna piena di contraddizioni. Altro che le brutali nazionalizzazioni dei vecchi tempi!”

Del resto, se qualcuno avesse soltanto il fegato di vedere e sentire uno dei tanti telegiornali italiani di regime (dove lo sciopero generale del sindacalismo di base viene spacciato per una, pure importante, protesta contro lo smantellamento della scuola pubblica voluto dal Governo Berlusconi, oltreché analizzato nei dettagli solo perché ha provocato “ritardi nei trasporti ed ha mandato in tilt la circolazione a Roma”), si accorgerebbe che i “trenini” di esperti industriali, banchieri ed insigni studiosi, i quali “avvertono” lo Stato di stare alla larga dall’intromissione nei fatti privatistici e di impegnarsi, piuttosto, esclusivamente del riassorbimento dei debiti, sono numerosi quanto quelli che affollano una grande stazione di città.

Addirittura dai vari vagoni del Pendolino di Riotta, viene ricordato al povero italiano indebitato come si stesse peggio quando lo Stato era padrone di tutto, non dava sfogo alla concorrenza, era incompetente ed inefficiente: omettendo di dire che si trattava, per la gran parte, di un’infiltrazione di pratiche democristiane e socialiste (e ne sanno qualcosa i vari Scaroni, già condannati in via definitiva), viene fatto passare, non tanto ai cittadini quanto ai potenti, il messaggio che bisogna stare alla larga da politiche neokeynesiane ed occuparsi esclusivamente di riassorbire le perdite. Troppo facile! In pratica, siamo di fronte ad un’applicazione estensiva e globale del modello Alitalia: si collettivizzano le perdite e si privatizzano gli utili.

E’ possibile chiamare tutto ciò nazionalizzazione o statalizzazione? Crediamo di no.

In definitiva, seppure vi fosse, ma abbiamo visto che non è così, l’intenzione di procedere all’adozione di un nuovo programma di intervento neokeynesiano del pubblico sul privato, a chi gioverebbe questo modello di Statalismo?

In termini più semplici, è possibile mettere sullo stesso piano l’intervento Statale della Repubblica Bolivariana del Venezuela (che, pure tra mille contraddizioni sociali, porta avanti un programma di sviluppo socialista) con quello ipotetico del Governo dei padroni guidato da Silvio Berlusconi, razzista, sessista, fascista e perciò espressione della peggiore anima del paese? Ancora, crediamo di no. In queste pratiche, occorre innanzitutto capire chi controlla che cosa. C’è controllo operaio o sono le banche e le grandi aziende che dettato i tempi?

Come si vede il problema è più serio di una presa di posizione per amore dei termini: si fa presto a dire Stato, ma il problema è capire chi lo dice, cosa vuole nasconderci sotto e quali interessi fa.

19 Ottobre 2008

Francesco Fumarola

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