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(4 Maggio 2012) Enzo Apicella
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MARX non e' superato a wall street!

Dopo il secolo americano, il secolo di MARX. Alla faccia delle soffitte, e dei becchini!

(26 Ottobre 2008)

Il capitalismo non crolla.
Non crolla da solo, almeno.
E’ necessario buttarlo giu’, con la forza.
Anche di fronte a crisi devastanti, per estensione ed intensita’, il capitalismo,
a costo di gettare l’intera umanita’ ancora nella guerra,
risorge dalle proprie ceneri, come l’araba fenice.
Ad ogni crisi subentra una ripresa, di solito su scala allargata,
e di solito coperta da una “nuova” ideologia.
Non bastano le crisi o la diffusione mondiale del proletariato a superare il capitalismo.
Indispensabile e’il terzo elemento, che, analizzando il corso mondiale
delle lotte di classe e le contraddizioni interimperialistiche, le indirizza,
le rende incompatibili e le scioglie in senso rivoluzionario:
l’organizzazione autonoma di classe.

MARX non e’ superato a Wall Street

Lo spazio planetario ed il ritmo accelerato della globalizzazione sono il palcoscenico su cui si e’ abbattuto lo tsunami finanziario.
Spazi allargati al mondo intero e velocizzazione nella trasmissione dell’effetto alone sono le caratteristiche di novita’ dell’attuale crisi di finanziarizzazione rispetto ad altre crisi cosiddette di “riferimento”; cambia l’ordine delle ricchezze distrutte e si moltiplica la platea delle vittime.
Un annuncio fatto a New York si ripercuote in pochi secondi sugli indici di Tokyo, Londra, Mosca, Pechino.
Ogni crisi ha peculiarita’ tutte proprie; quella odierna si inserisce nel lungo ciclo di planetizzazione capitalista e ne rappresenta un elemento specifico e ritardante, non la sua conclusione.
Possiamo dire che esiste una regolarita’ storica nell’alternarsi dei cicli di sviluppo e crisi, cui corrisponde l’uso delle ideologie “liberiste” e “stataliste” da parte della borghesia.
Possiamo anche individuare delle costanti nei crac, negli choc, negli scriccolii ripetuti di sistema.
Dagli scossoni dell’insolvenza Messicana del 1995 ( la crisi dei tequila bonds ) alla crisi finanziaria dei dragoni asiatici del 1997 fino alla bancarotta Russa del 1998, passando per il crollo del nasdaq nel marzo 2000 e la fine della new economy tre costanti si perpetuano nel tempo.

• Ogni disastro finanziario e’ immancabilmente preceduto dalla “bolla” ( nell’attuale crisi risalente alla scorsa estate ), cioe’ un periodo di eccessi speculativi ( lassismo monetario-crediti facili-idea del rialzo infinito e di quotazioni eternamente crescenti per determinati investimenti ).
• Ad ogni crac segue la fase ( come l’attuale) delle riforme di sistema, della riscrittura di nuove regole, della “governance” ad imporre sostegni, divieti e controlli sul mercato e sui flussi monetari e finanziari.
• Appena ri-scritte le nuove leggi, appena ri-aperte borse e sedi del riequilibrio mondiale, appena approntati gli strumenti per la governance internazionale, il mercato impone di nuovo la liberta’ delle sue leggi votate esclusivamente al massimo profitto.

E’ chiaro che ogni “soluzione” di sistema conduce inevitabilmente verso la prossima “bolla”, probabilmente piu’ grande per entita’ topografica, piu’ estesa geopoliticamente, piu’ veloce nella sua diffusione, piu’ difficile da affrontare e curare.

Ogni crisi e’ diversa da quelle precedenti seppur tutte contengono gli stessi tratti di fondo, verificandosi pero’ in momenti storici diversi.
Ecco perché non sono proponibili paragoni con la “grande crisi del 1929”, scoppiata sempre in America, ma in un mondo diverso.
La potenza tecnologica U.S.A., cosi’ come la capacita’ produttiva sono incomparabilmente superiori a quelle degli anni ’20 e, quel che segna la differenza, e’ il massiccio intervento dello stato per arginare la crisi.
Lo stato ( quello che nella dottrina Reganian-liberista era “il problema” ) oggi decide di salvare il mercato, gettando pero’ sul proprio bilancio un peso monetario cosi’ enorme da rischiare il tracollo.
L’altro elemento decisivo che connota l’originalita’ di questa crisi e la differenza con le altre e’ l’irruzione sulla scena economica delle grandi potenze asiatiche, accelerata dalla globalizzazione.
Quest’aumento esponenziale dei competitori sul mercato aumenta le interdipendenze e ne complica la capacita’ di “governarle”, alla faccia delle chiacchiere su presunti governi mondiali dell’economia.

Dal crollo al rischio di tracollo, l’attuale crisi di finanziarizzazione mondiale si inserisce in un mondo profondamente diverso rispetto agli anni della “grande depressione”, caratterizzato di certo dalla fine del “secolo americano” e dall’inizio del proprio relativo indebolimento nello scacchiere planetario a favore di uno spostamento del baricentro economico e di potenza e sviluppo ad est.

Rispetto alla crisi, se c’e’ chi si indebolisce, c’e’ chi si rafforza, chi cerca di difendersi, e chi, come l’Europa, coglie l’occasione per accelerare il proprio processo di integrazione continentale, proponendosi nel ruolo di futuro regolatore del nuovo mondo pluripolare ( vedasi la spinta di Sarkozy su una prossima possibile Bretton Woods 2 ).
Quindi, se da un lato il G8 si allarghera’ alle “officine del mondo” asiatiche e sudamericane
( India-Cina-Brasile ), dall’altro la U. E. reagisce compiendo un altro passo verso il coordinamento delle “sovranita’ monetarie nazionali”.
D’altra parte, non e’ la prima volta che succede.
Senza le gravi crisi valutarie del passato, i governi e le banche centrali non avrebbero prodotto la Banca Europea e l’intero sistema monetario dell’euro.
E’ chiaro che la crisi e’ una “schiuma sull’onda” che abbonda quando il mare capitalistico e’ in tempesta, e la tempesta affonda qualcuno ma salva qualcun altro, futuro padrone quando il mare si calmera’.

E quando il mare si calmera’avremo probabilmente una redistribuzione mondiale del potere ed una riforma-adeguamento degli strumenti internazionali di equilibrio,controllo e regolazione.
Quando il mare si calmera’ avremo finalmente il nuovo, affollato quadro del “mondo nuovo” multipolare, ancora piu’ capitalistico, complicato, competitivo.

C’e la crisi e c’e’ l’uso della crisi: elettorale ( come negli U.S.A.) ed ideologico ( riaffiora lo scontro tra dirigismo-statalismo e liberismo imperialista ).
Come sempre, le ideologie sono il riflesso, la falsa coscienza del movimento reale profondo delle societa’; cosi’ come il ritorno del “keinesismo corretto” tenta di correre in soccorso dell’ex occidente Reganiano, il “grande balzo in avanti” dell’est giustifica e moltiplica le spinte competitive liberiste.
Noi pensiamo che liberismo e statalismo siano carte intercambiabili usate e corrispondenti a determinati momenti di crisi, di sviluppo e di lotta di classe in regime capitalista.

Noi siamo contro tutte le ideologie padronali ( oggi comunque in crisi ) , siamo contro il liberismo come contro lo stato-padrone perche’ crediamo che la forma giuridica dell’appropriazione di plusvalore non ne intacchi la propria sostanza basata sullo sfruttamento del lavoro salariato.

L’ineliminabile ciclicita’ delle crisi diventa nell’attuale planetizzazione capitalista crisi perenne, costante, imposta dall’impossibilita’ tendenziale dell’esportazione della contraddizione di sistema; al contempo, gli strumenti della corruzione ideologica e della mediazione politica mostrano la corda.
Il riformismo, e la sua storica utopia “regolatrice”, si dimostra arma spuntata sia per la borghesia che per il proletariato.
Le classi sociali, sempre piu’ internazionali, sono una di fronte all’altra, con il loro numero ed il loro rapporto di forza: la borghesia, dilaniata dalla competizione interimperialistica, e’ alla ricerca di una fuoriuscita dalla odierna crisi di finanziarizzazione attraverso una generale ristrutturazione di comando e la conquista di un nuovo sistema di equilibrio di potenze; il proletariato, ingigantito dalla propria concentrazione metropolitana, irrobustito e contaminato dalle enormi iniezioni migratorie interne ed internazionali.
In questa situazione di impasse storico dove sembra tutto sia perduto, in cui la borghesia si prepara a riproporre la “risolutiva” barbarie della “distruzione per la ricostruzione” ed il proletariato non riesce a tramutare il proprio numero in forza ed organizzazione, occorre andare oltre la fallace apparenza delle cose, tornare al movimento reale che inevitabilmente lavora per la nuova societa’ del futuro.

In Italia, il riverbero della crisi delle ideologie produce la semplificazione bipartita del sistema politico, sancendo la morte della sinistra alternativa di stato.
Inutili sono i tentativi “plurali” della sua riesumazione reiteratamente tentati dagli agglomerati polici movimentisti, ancora alla ricerca maniacale di una qualche sponda perduta.
Contemporaneamente, a fronte delle determinazioni e dei vincoli Europei in materia normativo-contrattuale, si svuota progressivamente ruolo e possibilita’ di utilizzo operaio del solo terreno trattativistico, relegando all’autoreferenzialita’ comatosa esperienze pur importanti di sindacalismo autonomo e di base, comunque sconfitte nella scommessa concorrenziale col sindacalismo di stato.
Gli operai sono soli di fronte alla progressiva precarizzazione del lavoro e dell’intera vita sociale.
Il proletariato e’ solo e deluso dalle mille promesse di destra, sinistra, di governi e sindacati.
Uno stato della psicologia di classe certo prodotto degli sfavorevoli rapporti di forza che, pur nel prolungarsi del lungo ciclo di passivita’ sociale, lasciano intravvedere alcune possibilita’ di trarre riflessioni e conseguenze operative frutto piu’ delle recenti sconfitte che di inesistenti vittorie.
La realta’ profonda ci consegna nuclei ed individualita’ di classe ormai scevri dalle ideologie borghesi della “rappresentanza democratica”, da quelle opportuniste della “sponda istituzionale”ed in rotta con l’inutile vertenzialismo a perdere .
Questi nuclei e queste individualita’ stanno lentamente tornando all’attualita’ed alla maturita’ della soluzione rivoluzionaria.

Occorre dare una risposta adeguata a questa necessita’, che eviti tanto l’estetica dell’ennesimo partito comunista precotto quanto quella di un qualche assemblaggio intermedista.
Occorre una risposta all’altezza dei tempi, che rompa con forme, scadenze e rituali di un mondo passato, per riconnettersi al movimento reale che supera lo stato di cose presenti.

I cantori della “fine della storia”, della “pacificazione”e del “pensiero unico”sono serviti: non hanno previsto la crisi, non se la sanno spiegare, non ne intravedono la cura ne’ tantomeno la fine.
E’ una fase storica di passaggio verso la “nuova epoca”del pianeta capitalista in cui urge una bussola che ci orienti tra le novita’ e le contraddizioni crescenti, tra la maturita’ della rivoluzione e l’insufficienza della soggettivita’ antagonista.

Ci serve una teoria, ed una organizzazione, per l’azione!
Dopo il “secolo americano”, il secolo di Marx.
Alla faccia delle soffitte, e dei becchini.

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