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    Guerra psicologica contro la Somalia?

    (6 Novembre 2008)

    L’invasione della Somalia da parte dell’Etiopia è stata direttamente promossa dal governo degli Stati Uniti, per conto delle multinazionali interessate al petrolio somalo. Gli USA si sono anche attivamente impegnati nel conflitto, e l’U.S.Air Force ha attuato per mesi i soliti bombardamenti a tappeto sulla popolazione civile con le solite migliaia di vittime. Ma, dopo un periodo di continue ritirate, la resistenza somala ha cominciato a riguadagnare terreno, riuscendo a riprendersi gran parte del territorio perduto.

    Questa situazione è stata finalmente resa nota dai media euro-americani, ma solo filtrandola con un’altra “notizia” secondo cui, in una città riconquistata dalla resistenza, una donna adultera sarebbe stata lapidata per la sentenza di un tribunale islamico. I media, ovviamente, non si sono minimamente preoccupati di verificare direttamente la notizia, e ci si è accontentati di riferire che l’episodio sarebbe stato narrato da non meglio precisati “testimoni oculari”. Inoltre, in base ad un’arbitraria proprietà transitiva, la resistenza somala è stata etichettata nel suo insieme come “ribelli islamici”, e questi, a loro volta, sono stati identificati automaticamente come una cellula di Al Qaeda.

    Nella diffusione della notizia si è richiamato il ruolo di Amnesty International, a cui alcuni giornalisti somali avrebbero fornito anche l’età della ragazza lapidata, età che è stata poi corretta dalla stessa Amnesty International in base ad informazioni che le sarebbero state fornite successivamente dallo stesso padre dell’uccisa.

    È chiaro che qualcosa non torna: dei giornalisti avrebbero passato l’informazione ad Amnesty International, che poi l’ha passata ad altri giornalisti. Perché i giornalisti non hanno passato semplicemente l’informazione ai loro colleghi?

    E poi se il padre della ragazza si espone per parlare con Amnesty International, perché non lo può fare anche con la stampa?

    Ormai è abbastanza diffusa la consapevolezza che quando c’è una guerra, delle apposite agenzie di guerra psicologica svolgono la funzione di diffondere false notizie sul nemico, quindi ogni informazione che proviene dai campi di battaglia va presa con le molle.

    Ci sono inoltre recentissimi precedenti che consigliano prudenza. Nel 1991, durante l’invasione irachena del Kuwait, i media euro-americani riportarono la notizia secondo cui i soldati iracheni irrompevano negli ospedali kuwaitiani per rubare le incubatrici, strappandovi i neonati che vi erano contenuti. A distanza di qualche mese, la notizia fu riconosciuta come falsa, ma ormai l’effetto era stato raggiunto, e poi la falsificazione della notizia non ebbe certo la stessa risonanza di quando era stata lanciata.

    Secondo l’attuale propaganda statunitense, la resistenza somala sarebbe sotto il controllo di un’organizzazione denominata “Corti Islamiche”. Anche qui un po’ di cautela nell’accettare l’informazione è opportuna, dato che appena mezzo secolo fa i colonialisti britannici si inventarono persino il nome di un fantomatico movimento terroristico in Kenia (i “Mau Mau”), grazie al quale giustificarono uno sterminio di massa della popolazione indigena.

    Sono sempre di più coloro che sanno che la funzione dei media non è di informare, ma di diffondere una propaganda funzionale agli interessi dei gruppi affaristici che possiedono i media. Soltanto chi si ostini a rimanere legato ad una concezione metafisica del giornalismo, può riuscire ad ignorare il legame organico dei media con i gruppi affaristici e con le agenzie di disinformazione dei servizi segreti.

    Anche il fatto che una parola come “Islam” viene usata dai media come un segnale subliminale per indurre tutti a sospendere ogni senso critico e rendersi disposti a credere a tutto, è un dato che comincia farsi strada in parte dell’opinione pubblica.

    Nella notizia della ragazza lapidata per adulterio dagli integralisti islamici occorreva perciò una mediazione in grado di fornire al tutto una credibilità che ormai l’informazione ufficiale sa di non avere. Ecco il motivo per cui appare il nome di Amnesty International, una organizzazione che ha sicuramente molti meriti, ma che non può essere ritenuta divinamente ispirata e quindi automaticamente immune da strumentalizzazioni ed intossicazioni.

    Il fatto che i media si siano completamente astenuti dall’informare dei cambiamenti della situazione della guerra in Somalia, per poi svegliarsi di colpo con la diffusione della notizia di una ragazza lapidata dagli integralisti in avanzata, costituisce di per sé un elemento che induce a sospettare che si tratti di disinformazione e di guerra psicologica, e non può bastare l’icona di Amnesty International a seppellire questo legittimo sospetto.

    6 novembre 2008

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