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IL PANE E LE ROSE - classe capitale e partito
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Cantiere per la costituente comunista, Napoli. Provocazione al dibattito

(20 Settembre 2008)

L’“appello per la costituente” – concepito e fatto circolare per riproporre i soliti manovrismi politicisti prima che la sconfitta elettorale assumesse proporzioni e connotati catastrofici – è andato ben oltre le intenzioni e le aspettative degli apprendisti stregoni che l’avevano ideato: migliaia di comunisti in tutta Italia hanno interpretato quell’appello come opportunità per ritornare in campo, non più come gregge obbediente a gruppi dirigenti incapaci e bocciati inappellabilmente anche dal voto popolare, ma come protagonisti in prima persona del percorso ambizioso e difficilissimo – ma irrinunciabile – per la costruzione del proprio partito.

Molti avevano sperato che le contraddizioni messe a nudo dalla sconfitta nei due partiti potessero trovare soluzioni, sia pure parziali, nei congressi necessariamente indetti a breve scadenza. Questa speranza è stata agli occhi dei più ancora una volta delusa: manovre, brogli, manipolazioni, accordi sottobanco e nuove contraddizioni hanno percorso lo svolgimento dei lavori. Sono emersi i mali di sempre: il politicismo dei gruppi dirigenti, la politica concepita esclusivamente sul livello istituzionale, la finalizzazione soltanto elettoralistica di proposte e progetti, le risse e i pateracchi tra le microaree interne, la persistente mancanza di contenuti e di proposte concrete su cui poter ricucire il rapporto ormai definitivamente lacerato con la classe e con le masse, il solito pressapochismo nella politica delle alleanze, il mancato rifiuto a chiudere ogni rapporto con il riformismo, nessuna interruzione delle numerose esperienze di governo locale con il PD, la perenne confusione tra comunismo e “sinistra”. Il tutto naturalmente accompagnato da grandi promesse di svolte epocali e, da disinvolte “rotture” con gli alleati e complici interni del giorno prima, additati ora come unici responsabili del disastro.

Nonostante questo sostanziale continuismo alcuni compagni – disorientati dalla mancanza di alternative – hanno pensato di dover offrire un’ultima opportunità a questi gruppi dirigenti, nella speranza che – liberi dalle frange più opportuniste o, anche, nell’ipotesi di assemblaggio tra PdCI e pezzi minoritari del PRC – si possa trovare la soluzione di tutti i mali. È, del resto, comprensibile che le vecchie esperienze in via di esaurimento e i vecchi gruppi dirigenti che rifiutano di autocriticarsi e farsi da parte, tentino di riciclarsi raccogliendo la ostinata speranza di chi non vede ancora altra possibilità per continuare la propria militanza. Occorre che l’ulteriore sviluppo delle contraddizioni convinca con i fatti anche questi compagni.

I tanti comunisti che, invece, hanno intravisto la possibilità di un percorso finalmente diverso, nuovo ma dalle radici antiche, possono e debbono fin d’ora – poiché le condizioni minime esistono tutte – impegnarsi per dare coerenza, omogeneità e finalizzazione alla tensione di questi ultimi mesi offrendo ai compagni che ancora sono organizzati nei principali partiti o nelle formazioni minori una sponda politica per la loro battaglia interna e un luogo per la loro futura militanza.

IL 4 E IL 5 OTTOBRE UN INCONTRO A NAPOLI
PER CONFRONTARE E DISCUTERE IPOTESI, PROPOSTE, PERCORSI.


I partiti comunisti non si proclamano, tanto meno a tavolino per le alchimie politiciste di individui malati di presuntuoso soggettivismo: si costruiscono nel tempo, all’interno della classe operaia e delle sue lotte, su percorsi politici orientati dall’uso corretto delle categorie e dei metodi marxisti. Il percorso della costituente comunista sarà, quindi, inevitabilmente lungo e difficile, non rettilineo, irto di problemi e di contraddizioni, sarà fatto di vittorie ma anche di sconfitte, di avanzamenti e di ripiegamenti, metterà a dura prova la caparbia ostinazione dei militanti che, dal superamento delle innumerevoli difficoltà, trarranno la capacità e la possibilità della fondazione del partito rivoluzionario.

Senza rischiare alcun salto nel buio e senza forzare i tempi o saltare passaggi ancora necessari, l’incontro del 4 e 5 ottobre a Napoli vuole mettere direttamente a confronto le speranze, le ipotesi, le proposte che già sono in campo ancora però in modo troppo parcellizzato, e vuole verificare concretamente se esistono le condizioni e la volontà per dare coerenza e sinergia ai punti di vista e agli sforzi dei comunisti e, possibilmente, per delineare insieme un percorso. Troppo ampio è il disorientamento dei compagni e troppo diversi e incerti sono ancora i punti di vista e le ipotesi che vengono avanzate e, tra esse, esistono ancora quelle improntate al tradizionale minoritarismo e quelle di gruppi dirigenti ansiosi di riciclarsi. È, allora urgente avviare un franco dibattito, ma sarebbe esiziale bloccare il processo costituente su un’ipotesi non ancora condivisa.

Per dare concretezza a questo confronto costruttivo occorre una base di discussione. Per facilitare l’avvio di questo dibattito il “Cantiere” di Napoli sottopone ai compagni il suo punto di vista e la sua proposta come contributo a questo confronto. Allo scopo di rendere più chiaro e semplice il dibattito abbiamo scelto – tralasciando l’esposizione rituale di elementi di analisi che presumiamo condivisi sull’attuale fase politica – di esporre sinteticamente per punti le questioni essenziali che, a nostro giudizio, sono centrali in una prospettiva strategica. Li sottoponiamo – uno per uno – all’attenzione critica dei compagni.

1. È necessaria una netta discontinuità.

Noi sosteniamo che la sconfitta elettorale del 13 e 14 aprile è il suggello di massa inappellabile che pone fine ad un lungo periodo di lenta e incontrastata involuzione del comunismo nel nostro paese, in parallelo e come parte di un complesso processo di sclerotizzazione, di scivolamento opportunistico e di degenerazione neopositivista del comunismo a livello internazionale. L’ultima parte di questo lungo percorso è coincisa in Italia con l’autoscioglimento del PCI e con l’esperienza di Rifondazione che è voluta essere il rifiuto formale dell’eutanasia occhettiana, prosecuzione e riviviscenza di un’esperienza che aveva già maturato al suo interno le motivazioni della propria fine. La proposta di Rifondazione – che pensava di recuperare concezioni e metodi della fase immediatamente precedente – era, dunque, non soltanto inadeguata ma antistorica e antidialettica. Inoltre, l’intenzione – dichiarata e mai chiarita – di voler “rifondare” non soltanto il partito, ma il comunismo ha offerto spazi smisurati al nuovismo senza principi, all’opportunismo sfrenato e all’anticomunismo più sfacciato di cui Bertinotti è stato soltanto l’esponente più di spicco.
Su questa china scivolosa i comunisti italiani si sono visti trascinare verso un crescente immiserimento teorico, nella completa impotenza politica e nel totale distacco dalle masse, in una concezione solo istituzionale e gradualista della politica e in una pratica degenerata ben presto nelle faide di correnti e, perfino, personali. Nello stesso tempo i vecchi carismi ammuffiti hanno dato spazio e ceduto il posto al leaderismo più sfrenato che, a sua volta, ha espropriato del tutto i militanti alimentando l’ambizione personale di giovani rampanti e di apparati asserviti.
Il giudizio negativo che noi diamo delle risultanze congressuali del PRC e del PdCI è dovuto anche al fatto che tutti i gruppi dirigenti di questi due partiti – sia pure con visioni molto diverse, ma tutte generose nel seminare ancora illusioni e strumentalizzare la fiducia e le emozioni dei militanti – ripropongono l’esperienza della “rifondazione” che non casualmente è stata sconfitta e che ancor di più oggi è irriproponibile. Non si tratta di ricostruire niente: occorre una risposta rigorosa, saldamente incardinata nella teoria e nella prassi del marxismo, e, nello stesso tempo nuova, capace di leggere – senza falsi miti e senza dar nulla per scontato – la nostra storia, comprendendo le ragioni dei suoi splendidi successi e delle sue amare sconfitte, recuperando – certo – il tanto di buono di quest’esperienza straordinaria, ma avendo il coraggio di riconoscere e di rifiutare le ragioni del suo decadimento.

2. Il partito comunista del nostro tempo.

Il cammino che abbiamo davanti è lungo e difficile perché dobbiamo riflettere su tutto, anche sulle questioni che possono apparirci scontate. A partire, per esempio, dal tipo di partito di cui abbiamo bisogno in quest’epoca storica e di come deve essere articolato il suo rapporto con le masse. Non si tratta di riproporre ottusamente la contrapposizione di “partito di massa” a “partito di quadri”, né di tifare per pretese concezioni “leniniste” o “gramsciane”: senza rigore teorico queste parole non hanno più senso e ciascuno, per anni, ha dato ad esse il significato che gli faceva più comodo o che ciascuno, soggettivamente e unilateralmente, aveva inteso dare loro. Al di là di formule e definizioni, due caratteristiche contraddistinguono il partito comunista rivoluzionario: è permanentemente orientato dalla teoria marxista; ha come compito esclusivo di guidare la classe operaia alla conquista del potere e di creare, quindi, le condizioni più favorevoli al salto rivoluzionario. Dunque, soltanto le lotte – anche se parziali e settoriali – che hanno questa finalizzazione, cioè la lotta politica, sono oggetto del suo intervento diretto; le altre – quelle economiche, di “resistenza” e di contrasto, o su terreni secondari, per intenderci quelle sindacali – devono essere da esso guidate soltanto indirettamente e in due modi: a) sulla base della sua linea politica che orienta anche quelle lotte; b) attraverso i suoi militanti – definibili dirigenti di massa nella misura in cui interpretano la linea politica generale e riescono a tradurla in obiettivi rivendicativi e di lotte parziali ad essa conformi e funzionali – che vivono la propria militanza ed esercitano la loro funzione dirigente sulla base della fiducia negli organismi di lotta di cui la classe autorganizzandosi si dota.
Ma, in ragione del tipo di partito che avremo scelto di costruire, dovremo decidere anche come esso si vada a rapportare con le masse e, dunque, quale tipo di sindacato – e, più in generale, di quali organismi di lotta economica o parziale – abbiamo bisogno e, quindi, di come questi si raccordino con il partito.

3. Il legame con le masse

Il nodo fondamentale e, ad un tempo, la cartina di tornasole del fallimento della “rifondazione” sta nel completo distacco dalle masse e dalle loro lotte. Per quanto già minato dalla sua mutazione genetica, il vecchio PCI – fino e ben oltre il suo scioglimento – aveva mantenuto un vasto e solido legame fiduciario con la classe operaia e con le masse popolari. In meno di vent’anni i diversi gruppi dirigenti – sia di maggioranza che di opposizione interna – della “rifondazione” hanno non solo appannato e dissipato il grande patrimonio di conoscenze e di esperienze dei comunisti, ma hanno completamente annientato la fiducia e il legame che le masse avevano con i comunisti.
Chiunque voglia costruire una forza comunista non può non porsi – nei fatti, al di là delle intenzioni o dei roboanti proclami – il problema primario di riconquistare sul campo questa fiducia e ricomporre pazientemente quel legame: senza di essi i comunisti sono soltanto grotteschi e patetici pagliacci del circo politico della borghesia che confondono le intenzioni con la realtà e i buoni sentimenti con la rivoluzione. Ma questo vuol dire smetterla con una politica rinchiusa in ambiti istituzionali – riformisti e compromissori –, scandita sulle scadenze elettorali, subordinata ad alleanze bastarde, marchiata permanentemente dall’emergenzialismo di turno: vuol dire – all’opposto – tornare, senza saccenteria, tra le masse, viverne e organizzarne le sofferenze, le speranze, le lotte, riguadagnandone giorno per giorno la fiducia sulla base di proposte concrete, comprensibili, praticabili. Non si tratta di “costruire un rapporto organizzato con la classe”, come se i comunisti fossero un corpo separato: si tratta piuttosto di creare le condizioni perché la classe, organizzandosi, formi il partito comunista come suo reparto cosciente, organizzato e d’avanguardia.

4. Egemonia operaia e blocco sociale anticapitalista.

Ma questo vuol dire avere capacità di analisi, riappropriarsi della “cassetta degli attrezzi” che mette in grado i comunisti di comprendere la realtà, di coglierne le contraddizioni e di capire in quale direzione farle evolvere, e, dunque, quali proposte e iniziative concrete occorra mettere in campo. Le due questioni sono, in realtà, tutt’uno: il recupero della propria identità culturale, la capacità di utilizzare i concetti fondamentali e il metodo della teoria marxista, di riportare la teoria alla prassi, è riacquisizione della capacità di “far politica”, di sviluppare, cioè, una linea e proposte concrete capaci di convincere e di cambiare il rapporto di forze nella società smettendola sia di proporre idealisticamente il libro dei sogni, sia di inseguire pragmaticamente miserabili compromessi. Senza questa capacità di proposizione che offra una prospettiva concreta ai bisogni e alle speranze delle classi subalterne, ogni ritorno alle masse diventa mera finzione, è nient’altro che codismo nei confronti dei cosiddetti “movimenti”.Anche il linguaggio deve essere oggetto di attenta riflessione per rendere comprensibile e condivisa l’iniziativa dei comunisti.
Il legame con le masse è fattore di importanza primaria e irrinunciabile della prassi comunista, a partire da quello che si determina con la classe nei luoghi della produzione. Questo vuol dire non soltanto orientare in quella direzione l’attività e il proselitismo, ma porre la classe operaia e il suo programma come centro e fulcro dell’iniziativa politica: il proletariato liberando se stesso libera tutta l’umanità. È l’unico modo conseguente di realizzare gli obbiettivi politici dei comunisti e – ad un tempo – di realizzare la giusta politica delle alleanze sulla base di una rigorosa analisi delle classi. La formazione di un blocco sociale anticapitalista (e non soltanto, genericamente, “antagonista”) presuppone necessariamente la direzione politica riconosciuta – dunque: una linea e un’organizzazione – dei comunisti. Mantenendo ben chiara la distinzione tra lotta economica e lotta politica, ciascuna con le sue forme organizzate per non ridurre l’organizzazione politica dei comunisti ad una sorta di “sindacato del cittadino” – preludio all’interclassismo e al decadimento riformista –, occorre sviluppare una progettualità concreta e, su di essa, costruire una presenza puntuale in tutti gli organismi di lotta economica e/o parziale delle masse per conquistarne la fiducia e la direzione.

5. Unità dei comunisti, non della “sinistra”.

Da queste premesse discende necessariamente che obbiettivo assolutamente primario dei comunisti in questo momento della storia è il recupero della propria identità e della propria unità. Va combattuta senza sconti e indulgenze la sciagurata confusione tra i comunisti e una “sinistra” multiforme, cangiante, sfuggente e trasformista e di conseguenza nessuna concessione può esser fatta neppure sul piano tattico in nome della emergenza di turno.
Affermiamo con la massima chiarezza che oggetto e scopo del processo “costituente” è esclusivamente l’unità dei comunisti, non della “sinistra” più o meno “anticapitalista” o “antagonista”. Decenni di confusione – che si rinnova ancora nelle linee programmatiche di PdCI e PRC e nelle concezioni di tanti compagni – impongono di porre questa discriminante. Questo errore che ha contribuito non poco ad appannare prima e a smarrire poi l’identità dei comunisti. Frutto di fragilità teorica e di un equivoco politico, figlio della deriva interclassista e dell’emergenzialismo permanente contro le “destre”, enfatizzato dall’ansia di accreditarsi presso le classi dirigenti per avvicinarsi all’area di governo, definitivamente legittimato per giustificare la voglia di potere attraverso la partecipazione alla gestione delle istituzioni ad ogni livello, questo errore ha sacrificato in un lunghissimo arco di tempo pezzi sempre più numerosi e più importanti della identità comunista. L’unità dei comunisti, dunque: punto e basta. L’unità della sinistra è altra cosa, diversa e subordinata, necessaria ma a latere e che deve poter corrispondere a criteri, esigenze e categorie molto diverse e che mai può interferire o condizionare il percorso di ricostruzione dell’unità dei comunisti.
La discriminante che poniamo non è soltanto necessaria, ma costituisce anche un punto di forza del progetto costituente perché punta sulla omogeneità e sulla coesione di un comune patrimonio che è l’unica prospettiva per restituire e rimettere di nuovo in campo i valori alti e le idee forza dell’Universale comunista in un contesto cultuale e politico di completo immiserimento e di definitivo imbarbarimento. Naturalmente l’obbiettivo dell’unità dei comunisti non può essere giustapposto alla capacità di aggregazione e di lotta nel lavoro tra le masse a cui, in questo momento storico, risulterebbe sostanzialmente incomprensibile ed estraneo.

6. Chiudere definitivamente con il riformismo storicamente sconfitto.

La involuzione di tutte le correnti riformiste verso il liberismo economico, l’accettazione dei valori e dell’etica del capitalismo, la concezione e la pratica concertative e neocorporative dei rapporti tra le classi, sono, in realtà, lo specchio del definitivo tramonto di qualunque ipotesi o orizzonte riformista. Il gradualismo positivista fondava la sua strategia in politica sulla capacità di espansione illimitata del capitalismo a cui poter richiedere – semmai anche in modo conflittuale –, che elargisse, oltre ai superprofitti imperialistici, una quota ulteriore della ricchezza prodotta e costantemente crescente per sostenere economicamente l’introduzione progressiva di riforme economiche, sociali e politiche.
La storia – che, essa sì, è dialettica – ha ormai dimostrato che ben altre sono le prospettive. Le contraddizioni strutturali e irrisolvibili del capitalismo transnazionale in modo irreversibile assorbono interamente e incessantemente tutte le risorse disponibili e, paradossalmente, distruggono quantità sempre crescenti di ricchezza. L’impoverimento dei popoli e, perfino, delle classi subalterne dei paesi più sviluppati, non è un dato congiunturale, e non saranno i pannicelli caldi né le buone intenzioni dei riformisti a porvi rimedio. Del resto il riformismo del nostro tempo ha rinunciato ormai anche a questo orizzonte assumendo direttamente la tutela degli interessi del capitale, come hanno dimostrato abbondantemente i governi di centro-“sinistra” con le loro politiche antipopolari e con le criminali avventure imperialiste (aggressione alla Jugoslavia, Libano).
Questa semplice verità obbliga i comunisti a farla finita una volta per tutte con ogni inganno buonista ed evoluzionista.

7. Il nuovo internazionalismo.

Nell’epoca del capitalismo transnazionale, che sta portando a compimento il processo di unificazione dei mercati su scala mondiale, sarebbe del tutto antistorico immaginare di poter limitare la propria lotta contro la borghesia di un singolo paese. Tutte le contraddizioni oggi hanno dimensioni e respiro internazionale. Ancor più che in passato, allora, occorre cogliere (e sfruttare) le contraddizioni enormi e insanabili che lacerano l’imperialismo nel suo complesso, senza, tuttavia, trascurare la lotta contro i suoi singoli segmenti, ancora necessariamente organizzati ed operanti anche su scala nazionale. In Italia il nemico ha i connotati di una borghesia imperialista mediocre e biecamente affarista, ma che sa allearsi e inserirsi – semmai in funzione subordinata – in più ampi contesti per assicurarsi i propri margini di profitto e di speculazione. La lotta del proletariato e delle altre classi subalterne che i comunisti sono chiamati in Italia a dirigere deve, quindi, essere costantemente inquadrata nel contesto imperialista dell’ Unione Europea che, – anch’esso denso di contraddizioni – si pone ad un tempo come alleato e competitore degli Stati Uniti. Dobbiamo essere consapevoli che la nostra lotta è parte di quella più generale del proletariato e dei popoli di tutto il mondo che, in questa epoca storica, ha come esito alternativo al comunismo non più soltanto la barbarie, ma la sopravvivenza stessa dell’umanità. Abbiamo bisogno di concepire e praticare l’internazionalismo in modo nuovo, in termini alti, di “Universale”, non soltanto in più in angusti termini storico-politici. Non è più soltanto questione di solidarietà, non c’è più un bastione o un campo socialista da difendere per arginare lo strapotere dell’imperialismo e per trarne forza e sostegno. Oggi le contraddizioni stanno raggiungendo il loro massimo sviluppo e non si addensano più prevalentemente intorno a schieramenti statuali o “blocchi” contrapposti, ma attraversano trasversalmente tutte le società organizzate del pianeta. I popoli oppressi e sfruttati hanno fatto irruzione nella storia come protagonisti e hanno espresso dal proprio seno un proletariato che soffre e lotta in ciascun paese e che attraversa il mondo con migrazioni incessanti e incontenibili. Il capitalismo, inseguendo la sua perversa crescita, ha fatto crescere anche l’esercito sterminato dei suoi becchini che oggi sta già ricercando faticosamente e contraddittoriamente la sua strategia e che ha bisogno del suo stato maggiore: le esperienze ancora esistenti di costruzione del socialismo, quelle che esplorano e configurano novità all’altezza della sfida del XXI Secolo, i tentativi di riorganizzazione dei comunisti nei paesi capitalisti. Il mondo è un gigantesco laboratorio in cui si stanno ricercando le linee guida del definitivo abbattimento del Moloch capitalista.

8. Indispensabile anche la costituente sindacale.

È in tale contesto mondiale e con tali obbiettivi condivisi – incredibilmente complessi e difficili, eppure ineludibili e esaltanti – che la “costituente comunista” si trova a muovere i primi incerti passi: guai a rinchiudere il suo percorso nelle angustie del politicismo utilitaristico di fazione e di bottega, mirato – semmai – a miserabili tornaconti elettorali. Come pure occorre guardarsi dal credere che il processo – estremamente complesso – di costruzione di una forza politica comunista possa essere portato avanti sul terreno strettamente politico-organizzativo senza tracimare in altri ambiti.
Noi affermiamo che – in parallelo e in modo complementare – occorre assolutamente sviluppare la nostra iniziativa su un percorso di “costituente sindacale”, vale a dire della costruzione di un sindacato unitario di classe. Uno degli errori fondamentali della “rifondazione” è stato quello di portare alle estreme conseguenze la scelta sbagliata – operata anni prima in nome di una falsa “autonomia” – di delegare al sindacato la direzione delle lotte economiche che, dunque, prive di orientamento e finalizzazione politica, hanno determinato sia l’accelerazione della deriva concertativa del sindacato, sia la completa estraneità del partito politico rispetto alla classe e al mondo del lavoro. Questo errore va corretto affiancando al lavoro della costituente politica quello di una costituente sindacale che non soltanto renda omogenei i due percorsi, ma consenta alla forza politica che si vuol costruire di radicarsi saldamente tra i lavoratori. Se, infatti, il partito non si occupa direttamente delle questioni e delle lotte che non abbiano una valenza immediatamente politica come fa a vivere nella classe, nelle sue lotte, e a trarne gli elementi migliori? Ha bisogno, evidentemente, di luoghi diversi e di modi specifici, vale a dire degli organismi di autorganizzazione delle masse per la loro lotta economica nei più diversi ambiti. Naturalmente, poiché questa epoca storica è caratterizzata ancor più che in passato dalla contraddizione fondamentale della società dominata dalla borghesia – quella tra capitale e lavoro, tra la produzione sociale della ricchezza e la sua appropriazione privata –, i comunisti debbono prestare la massima attenzione anche all’organizzazione della lotta economica della classe, ed ecco perché la costituente comunista ha bisogno di un percorso parallelo e complementare al suo fianco: la costituente sindacale. Soprattutto in questo momento politico e nella realtà desertificata da cui dobbiamo ripartire per ricostruire nei contenuti e nella forma l’organizzazione della classe, sarebbe impossibile e idealistico pensare di poter avanzare sul percorso principale – quello politico – senza il supporto e l’ancoraggio di quello secondario – il sindacato – legato ai bisogni immediati e, quindi, alla sensibilità e al livello di coscienza attuale della classe, senza quello straordinario laboratorio e insostituibile scuola di massa al comunismo che sono le lotte sindacali. Tutte le esperienze, anche più recenti, che hanno pensato di poter prescindere dalla formazione, in parallelo, del sindacato unitario di classe, hanno miseramente fallito. D’altro canto, il sindacato non è per sua natura strumento rivoluzionario della classe, è, anzi, necessariamente gradualista e riformista e ha rappresentato non di rado nell’esperienza storica addirittura un elemento di freno e di contrasto alla lotta politica del proletariato: senza l’orientamento e la direzione del partito comunista non ha alcuna possibilità di perseguire a lungo una politica di classe e scade inevitabilmente nel corporativismo o nell’anarco-sindacalismo o – peggio ancora – nella sciagurata suggestione di farsi esso stesso partito.

9. Essenziale è l’egemonia culturale.

Altro errore micidiale della “rifondazione” è stato quello di lasciare in caduta libera l’appannamento della cultura dei comunisti fino al suo completo abbandono sostanziale a cui non potevano fare argine i pochi richiami nostalgici o soltanto ideologici di alcuni. La lotta ideologica, intesa come lettura critica dell’esperienza storica e ricerca teorica come gramsciana filosofia della prassi, deve costantemente accompagnare la vita del partito dei comunisti. Candidarsi a dirigere una classe e/o un blocco sociale e, addirittura, una intera società vuol dire attrezzarsi per averne l’egemonia culturale. La storia del comunismo italiano lo insegna con estrema chiarezza: il PCI, pur non essendo mai stato maggioranza parlamentare nel paese era riuscito per decenni a orientare e finalizzare tutta la ricerca e la produzione culturale di segno progressista e democratico in Italia, ben al di là degli ambiti direttamente afferenti al partito. Al processo della costituente comunista deve, allora, essere organicamente collegato l’impegno per il recupero della nostra teoria e della nostra cultura, organizzando le intelligenze e le risorse che abbiamo e ciò che possiamo mettere in campo non è affatto poco, né di poco conto: abbiamo i migliori intellettuali marxisti, abbiamo case editrici, centri e circoli culturali, riviste e siti web, abbiamo relazioni internazionali interessantissime. Possiamo, allora, ricostruire un tessuto di strumenti e di iniziative, un circuito culturale stabile che sia il frutto di una volontà schietta, di una sinergia sincera tra tutti coloro che lealmente e disinteressatamente vogliono contribuirvi facendo confluire in questo progetto le tante risorse, in una fitta rete di iniziative e di organismi capaci sia di supportare adeguatamente la ricerca e l’analisi, sia di orientare la nostra politica, sia di contrastare il dilagare della cultura e dei valori borghesi, sia di influenzare ed egemonizzare larghi strati della società. Questo lavoro di sistematico recupero teorico e identitario deve anche porre fine ad un altro errore micidiale della “rifondazione”: la completa mancanza di attenzione alla formazione. Il processo costituente e la forza politica che ne sarà la risultante hanno bisogno di un’intera nuova generazione di quadri dirigenti giovani, saldi nel loro orientamento e al riparo da scivolamenti nuovisti e pragmatici.

Riassumendo:

a. il progetto complessivo da perseguire:
a.1 la costituente comunista, proiettata verso la costruzione del partito;
a.2 la costituente sindacale, impegnata a ridar vita al sindacato unitario di classe;
a.3 il circuito culturale per formare una intera nuova generazione di comunisti, capace di assicurare ad essi l’egemonia e guidare quei due percorsi paralleli consentendo di avere un saldo orientamento per il futuro.
La lotta economica non può separarsi dalla lotta politica, né l’una né l’altra possono essere separate dalla lotta ideologica.

sul piano dei contenuti:
b.1 netta discontinuità con il recente passato: il processo costituente deve essere nelle mani dei tantissimi comunisti che hanno maturato o matureranno la necessità di realizzare la loro militanza su percorsi nuovi, non più bloccati dai vecchi gruppi dirigenti delle esperienze sconfitte;
b.2 non “rifondare” né “ricostruire” niente ma ricercare e realizzare la forza politica corrispondente alle esigenze della lotta di classe del nostro tempo: dare intanto una forma organizzata – sia pure essenziale – al percorso costituente che, senza scivolamenti in avanti verso forme ancora improponibili, consentano di realizzare la ricerca comune e il dibattito, ma anche l’iniziativa di massa per costruire livelli via via crescenti di attività e di organizzazione, consentendo che i comunisti ancora organizzati in partiti o raggruppamenti minori maturino per propria esperienza la necessità di confluire nel complesso e lungo processo di costituzione del partito e, quindi, facendo in modo che le attività e le forme organizzate in cui il processo costituente deve svilupparsi siano aperte, riconosciute e fruite da tutti i comunisti come luoghi propri, di ciascuno, in cui realizzare insieme il confronto e dar vita ad una prassi comune. Debbono, dunque, essere possibili militanze parallele: sarà la capacità del percorso costituente e la pratica del confronto e dell’iniziativa politica a realizzare la sintesi;
b.3 recupero di tutta la ricchezza sia della teoria marxista sia della straordinaria esperienza del comunismo novecentesco leggendola criticamente e proiettandola nella realtà contemporanea;
b.4 la costruzione – nei tempi e nei modi necessari – del nuovo partito comunista e non di una generica “sinistra” che è problema diverso e subordinato, finalizzando gli sforzi maggiori nell’incardinare il processo costituente prima di tutto all’interno della classe per ricomporre finalmente il necessario legame tra il proletariato e il suo reparto di avanguardia che dovrà essere espresso dal suo stesso seno;
b.5 rottura definitiva con il riformismo al suo interno e nelle sue alleanze sia perché storicamente sconfitto e ormai di impossibile realizzazione, sia perché si è dimostrato micidiale per gli interessi delle masse e per gli stessi comunisti. Il che non vuol dire rifiutarsi di lottare per riforme che allevino le condizioni di sfruttamento e di oppressione, che acutizzino le contraddizioni dell’avversario e creino condizioni più favorevoli al cambiamento radicale della società;
b.6 saldo radicamento nella società e nella classe con un programma e con proposte concrete e praticabili nella consapevolezza che la forza dei comunisti sta nella capacità di organizzare e dirigere masse in lotta e non nel numero di poltrone nelle istituzioni borghesi;
b.7 rompere in modo netto e chiaro con il riformismo, sia quello del PD sia quello di componenti che ancora si annidano surrettiziamente tra i comunisti: subordinazione, quindi, della politica nelle istituzioni a quella nella società concependo e realizzando la politica delle alleanze tra le masse e non nelle istituzioni per costruire il blocco sociale anticapitalista, sotto la direzione dei comunisti, subordinando eventuali accordi con altre forze politiche a questa scelta fondamentale che privilegia la mobilitazione e la lotta: in definitiva, chiudere con tutte le suggestioni del cretinismo parlamentare e della politica concepita e realizzata esclusivamente nelle istituzioni: la rappresentanza nelle assemblee elettive va perseguita ma sempre in via subordinata e in funzione di affiancamento all’iniziativa nella società, mentre l’assunzione di responsabilità di governo, anche sul piano locale, deve essere rigorosamente condizionata alla completa autonomia politica e programmatica;
b.8 ricostruzione – anche coordinando prima e unificando poi l’impegno e la generosità, oggi frammentata e dispersa, dei compagni impegnati nei tanti ambiti specifici (a partire dalle lotte economiche e sindacali o da quelle sociali, internazionaliste e antimperialiste) – di un fitto e solido tessuto di organismi di massa che organizzino le lotte economiche o quelle parziali, in cui i comunisti possano esercitare la loro egemonia e la loro direzione sulla base della fiducia conquistata sul campo con le loro proposte e il loro comportamento nella consapevolezza che la sintesi non può avvenire attraverso improbabili assemblaggi, ma con il confronto e l’iniziativa;
b.9 impegnarsi da subito con specifici incontri sul percorso parallelo per la costituente di un sindacato unitario di classe in armonia con il processo di costituente politica dei comunisti. Anche la costruzione del sindacato unitario di classe dovrà rifiutare le scorciatoie politiciste sia delle separazioni, sia degli assemblaggi, perseguendo l’unità sugli obbiettivi e sulle modalità delle lotte, incoraggiando la tendenza operaia a porsi – con l’esercizio del proprio controllo collettivo e organizzato – come classe antagonista, potenzialmente egemone e dirigente: in breve, per conquistare la lettura politica delle contraddizioni;
b.10 ridare alla teoria marxista il suo ruolo di guida nella individuazione dei percorsi e nella direzione delle lotte, nella consapevolezza che, al di là del tipo di partito che si deciderà di costruire, il suo radicamento nella concezione del mondo e nella cultura del socialismo scientifico sarà, comunque, pregiudiziale e irrinunciabile. Il circuito culturale da realizzare urgentemente – con relazioni anche a livello internazionale – dovrà partire sulla base degli strumenti e degli organismi già esistenti, creandone eventualmente di nuovi, allo scopo sia di alimentare la ricerca sia di contrastare la cultura del profitto e del pensiero unico, sia di influenzare l’intera società ed egemonizzare il blocco sociale anticapitalista da raccogliere intorno al proletariato. Fondamentale è anche individuare percorsi e metodi, produrre materiali, organizzare attività di formazione teorica e pratica, nella consapevolezza che la costruzione di un partito comunista deve far perno sui suoi gruppi dirigenti, che quelli attuali vanno interamente sostituiti e che la formazione di un’intera generazione di quadri necessita di tempi lunghi;
b.11 definire nel tempo un programma della classe in cui possano riconoscersi tutti gli altri soggetti sociali sfruttati e oppressi per costruire concretamente il blocco sociale anticapitalista, incoraggiando e finalizzando la conflittualità spontanea e il protagonismo di massa verso forme articolate e organizzate di controllo operaio e popolare;
b.12 privilegiare le contraddizioni generali, di classe, subordinando e riconducendo ad esse quelle di natura diversa (di “genere”, “sociali”, “giovanili”, relative ai c.d. “diritti civili”, etc.);
b.13 stabilire rapporti di confronto e di collaborazione con organismi comunisti, operai e antimperialisti di altri paesi nella ricerca di linee strategiche e nella definizione di iniziative politiche che, nell’epoca della mondializzazione, non possono che essere comuni, coordinate e sinergiche.

Cantiere per la costituente comunista, Napoli

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