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Medio-Oriente: i due pesi e due misure dell'UE

(26 Novembre 2008)

Fin dagli anni ‘70 la questione palestinese ha giocato un ruolo centrale nel dibattito e nelle relazioni fra l'UE ed il mondo arabo (area del Mediterraneo, Lega Araba etc) così come indirettamente con l'Africa, attraverso le relazioni con gli Stati Uniti, la Russia e la Cina.

E’ un tema importante che preoccupa la Comunità Internazionale. (…)

Per meglio analizzare l'atteggiamento ambiguo dell'Unione Europea e della sua diplomazia, la Vicepresidente del Parlamento Europeo, Luisa Morgantini, che chiede un ruolo forte ed equilibrato della UE, risponde alle domande di MedAfrique.

L'Unione Europea sta giocando in modo trasparente ed onesto con i Palestinesi?

Assolutamente no. L'Europa ha un approccio di due pesi e due misure quando affronta il problema del conflitto israelo-palestinese e nella ricerca di una soluzione giusta e sostenibile, sin da quando nel giugno 1980 a Venezia, gli allora nove Stati Membri dell'Unione riconobbero l'OLP e "considerarono che i legami tradizionali e gli interessi comuni che li legavano al Medio Oriente, li obbligavano a giocare un ruolo speciale e richiedevano loro di lavorare in modo concreto verso la Pace" (Dichairazione di Venezia 13/06/1980). L'Europa ha riconosciuto la necessità della creazione di due Stati per due Popoli che coesistano fianco a fianco in pace e sicurezza, ma non è stata conseguente né coerente nel perseguire questo obiettivo fondamentale e questo progetto finale.
Ciò è accaduto per molte ragioni. Citerò soltanto le principali: il sistema di alleanze politiche che risultò dalla Guerra Fredda nel quale gli Stati Uniti imposero la loro visione del mondo insieme alle loro basi militari e agli Stati-amici, fra cui anche lo Stato d'Israele.
Inoltre, la tragedia dell'Olocausto e le persecuzioni degli Ebrei in Europa, una pagina nera ed irripetibile della nostra storia, ma anche alcuni veri e propri errori politici dei Governi post-coloniali (UK) hanno contribuito a creare un senso di colpa nella coscienza europea e di conseguenza nella sua politica verso Israele. Molti governi Israeliani hanno fatto leva su questo senso di colpa al fine di continuare impuniti nella loro politica arbitraria ed illegale di violazione del Diritto Internazionale, senza che né la UE né l'ONU intervenissero per fermarli.
Sono passati quasi 30 anni dalla Dichiarazione di Venezia - che riaffermava l'esigenza di applicare le risoluzioni 242 e 338 dell'ONU e di rafforzare "il diritto all'esistenza ed alla sicurezza di tutti gli Stati della regione, incluso Israele, e la giustizia per tutti i popoli che implica il riconoscimento dei legittimi diritti del popolo palestinese". Tuttavia nonostante queste parole promettenti nessuna soluzione giusta è stata finora trovata alla questione palestinese e per la pace nella regione.
Al contrario, i Palestinesi vivono sotto occupazione militare dal 1967, più di quaranta anni, oggi. L'Accordo di Oslo non è mai stato applicato e la libertà di movimento continua ad esser impedita da migliaia di posti di blocco e dal muro dell'apartheid che è stato considerato illegale anche dalla Corte di Giustizia dell'ONU. Un muro che Israele spaccia come barriera difensiva contro gli attacchi terroristici ma che di fatto divide Palestinesi da Palestinesi e annette terre e risorse idriche a Israele.
Secondo un recente rapporto, circa 15.000 Israeliani si sono trasferiti negli insediamenti della West Bank dall'inizio del 2008 nonostante l'impegno preso dal Primo Ministro Olmert a fermare la costruzione delle colonie e le dichiarazioni che hanno seguito la Conferenza di Annapolis. Circa 250.000 coloni vivono oggi nella West Bank ed altrettanti o di più, vivono a Gerusalemme Est, che contro ogni legge internazionale, Israele considera una parte occupata della propria Capitale.
L'aumento dei coloni è uno dei problemi principali che mette a repentaglio non solo i negoziati di pace ma anche il futuro stesso di uno Stato Palestinese. Chiaramente l'Europa non è la sola responsabile della situazione: l'intera comunità internazionale, l'ONU e specialmente gli Stati Uniti non hanno mai neppure tentato ad obbligare Israele ad applicare le Risoluzioni dell'ONU.
Ora l'UE cerca di salvarsi la coscienza attraverso progetti sul campo e l'invio di fondi in grado di permettere ai Palestinesi di sopravvivere ma allo stesso tempo non fornisce soluzioni politiche ed anzi, peggio, si sostituisce ad Israele nell'adempimento di quei doveri economici che gli spetterebbero per il diritto internazionale in quanto Potenza Occupante nei confronti della popolazione occupata.
La situazione si sta deteriorando tragicamente con le punizioni collettive inflitte alla popolazione palestinese, con l'assedio di Gaza, con la continua divisione dei territori palestinesi e le fratture all'interno della leadership dell'ANP.
Naturalmente è necessario fermare ogni tipo di violenza o attacchi suicidi contro i civili israeliani ma allo stesso tempo è necessario fermare la politica d'occupazione. I Palestinesi avrebbero bisogno di trovare nell'UE non solo un donatore di aiuti umanitari ma anche un forte ed imparziale difensore dei loro diritti: purtroppo non sta accadendo.

L'Unione Europea è un attore affidabile?

Per tutti i motivi che ho spiegato prima, per tutte le aspettative disattese e le promesse non rispettate in tutti questi anni a causa della sua politica di due pesi e due misure, l'UE rischia veramente e drammaticamente non solo di essere inaffidabile e inattendibile, ma di più, di essere complice e responsabile dell’attuale conflitto, di decenni di Nakbah, ingiustizie, umiliazioni, violenza e spoliazione sofferti dai Palestinesi e dalle vittime civili israeliane.
La debolezza della politica europea si nota ogni volta che non siamo in grado - o non vogliamo - mettere Israele di fronte alle sue responsabilità: per le violazioni del Diritto Internazionale, come la costruzione del muro, illegale da anni per la Corte Internazionale di Giustizia, l'espansione degli insediamenti illegali; le punizioni collettive sulla popolazione di Gaza attraverso l'assedio; l'uso reiterato delle "detenzioni amministrative" e l'arresto di migliaia di Palestinesi fra i quali parlamentari, donne e bambini; e molte altre illegalità che ogni giorno rimangono avvolte nel silenzio e impunite. E paradossalmente, allo stesso tempo il Governo Israeliano accusa l'Europa di avere un approccio sbilanciato.
Comunque, nel Parlamento Europeo c'è stato un forte impegno in questi ultimi anni per spingere l'Unione Europea a ricoprire un ruolo più politico: molti parlamentari sono stati in Palestina e Israele ed hanno visto coi loro occhi la situazione.
Così anche se a costo di grandi sforzi e molto lavoro, alcune importanti risoluzioni sono state votate dove si richiede ad Israele di adempiere ai suoi obblighi internazionali, di smetterla con le punizioni collettive e allo stesso tempo si chiede anche alle frange estreme dei Palestinesi di fermare ogni azione terrorista.
Inoltre abbiamo chiesto che l'UE agisca concretamente per fermare l'assedio di Gaza, per far rispettare i diritti dei prigionieri palestinesi - prima di tutti i minori - e per liberare tutti i parlamentari palestinesi detenuti: ma queste Risoluzioni non sono state sufficienti.
Il PE non ha il necessario peso legislativo per imporre la propria visione all'UE in materia di politica estera che rimane divisa in molte politiche differenti di competenza degli Stati Membri.
Questa situazione mette l'UE nell'impossibilità di parlare con una voce unica e di giocare un ruolo forte e super partes per metter fine all'occupazione.
Siamo ancora percepiti come un "soft power". Dovremmo invece utilizzare la nostra diplomazia in modo più indipendente dalla politica americana che è diventata sempre più dominante dopo la caduta del Muro di Berlino ed ancora cerca di esportare la democrazia sulla punta del fucile.
I Palestinesi hanno bisogno di una soluzione politica, non bastano aiuti economici ed umanitari. Abbiamo ancora una credibilità maggiore rispetto agli Stati Uniti, non dovremmo sprecarla: per rimanere affidabili dobbiamo solo perseguire i nostri principi fondamentali, prima di tutto il rispetto della giustizia e dei diritti umani.

E per finire, cosa pensa si debba fare?

Innanzitutto l’UE dovrebbe chiedere scusa. Scusa per non aver fermato l'occupazione militare e non aver raggiunto l'obiettivo dei "due popoli due stati". Scusa per tutte le vittime palestinesi, israeliane e libanesi di questa tragedia infinita.
C'è bisogno di lavorare per l'unità dei territori palestinesi e per rafforzare il governo e l'Autorità Nazionale Palestinesi. L'EU dovrebbe favorire il dialogo fra Fatah e Hamas: è stato un grosso errore non riconoscere il governo democraticamente eletto ed ancora peggio non riconoscere il governo di unità nazionale frutto degli sforzi dei molti prigionieri politici palestinesi appartenenti a diverse fazioni, primo fra tutti Marwan Barghouti. Avremmo dovuto aiutare Hamas ad intraprendere la via della democrazia ed a combattere l'occupazione attraverso mezzi non violenti.
I negoziati dovrebbero andare avanti con dei risultati immediati che possano davvero cambiare la situazione: congelare l'espansione degli insediamenti, liberare i prigionieri, aprire i check points. Solo attraverso questi passi, i palestinesi torneranno ad avere fiducia nel negoziato. Per ora Hamas sta rispettando la tregua: un dialogo aperto con loro potrebbe fermare in modo permanente gli attacchi contro la popolazione civile israeliana.
L'UE dovrebbe cercare di usare il suo potere per fare pressione su Israele: se non rispetterà i suoi impegni dovremmo usare mezzi differenti, a cominciare dal rifiuto di qualsiasi cooperazione militare o vendita di armi, sospendendo l'accordo di associazione EU-Israele come previsto dall'art. 2 in caso di violazione dei diritti umani. Questo potrebbe aiutare a mandare un messaggio forte al governo israeliano che non esiste alcun governo o Paese al di sopra della legge, lo stesso tipo di messaggio che dovremmo mandare agli USA.
Inoltre, siccome l'inviato del Quartetto per il MedioOriente Tony Blair ha fallito nel migliorare e condizioni di vita dei palestinesi, come denunciato anche da molte ONG che lavorano sul campo, dovremmo cercare di ricordargli quanto seriamente dovrebbe prendere il suo lavoro per portare a termine i progetti previsti.
Il supporto ed il rilancio dell'iniziativa araba, per aprire i suoi confini e per stringere legami con Israele sarebbe sicuramente una soluzione per i Palestinesi ed allo stesso tempo una garanzia per Israele che la sua esistenza non è a rischio e che può diventare uno Stato normale con un ruolo economico importante nel Medio Oriente.
L'UE dovrebbe supportare politicamente ed economicamente le organizzazioni della società civile palestinese ed israeliana che combattono assieme in modo non violento contro l'occupazione e per la dignità e la giustizia per tutte e tutti. Come i comitati popolari di Bi'lin e Ni'lin ma anche organizzazioni umanitarie palestinesi ed israeliane come i Combatants for Peace - composta da ex soldati di entrambi i popoli che hanno speso molti anni in prigione ed ora lavorano assieme per una pace giusta e per la fine delle violenze - e il Parents Cirlce - famiglie israeliane e palestinesi che hanno perso i loro cari a causa di attacchi violenti da parte di coloni e soldati o dall’altra parte a causa della violenza di militanti palestinesi. Tutti loro rappresentano un esempio di cultura in grado di distruggere i concetti di nemico e di vendetta che portano entrambi i popoli verso la sconfitta.
Allo stesso tempo c'è bisogno di sviluppare un forte movimento della società civile in Europa che si opponga all'occupazione e richieda il riconoscimento dello Stato Palestinese accanto a quello Israeliano oppure - a seconda di ciò che Palestinesi e Israeliani un giorno potrebbero decidere - uno Stato unico per entrambi i popoli.


Bruxelles 11/11/2008

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