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(25 Giugno 2011) Enzo Apicella

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La faccia tosta del capitalismo

(28 Novembre 2008)

Riguardo all'attuale crisi economica, le spiegazioni forniteci raccontano di un ciclo negativo che originato dalla crisi finanziaria (dai più spiegata solo con la caduta dei mutui subprime») si estende ora all'economia reale.
Le conclusioni a cui ci vogliono portare sono principalmente due.
La prima è che l'«economia reale» (in sostanza, il capitalismo) sarebbe di per sé sana e virtuosa.
La seconda è che l'attuale criticità dipenderebbe quindi da un problema di «assenza di regole e controlli» in grado di prevenire i comportamenti «devianti» di speculatori troppo ingordi.

In realtà è il modo in cui funzionano la produzione e la riproduzione (cioè il rapporto capitale-lavoro) a decidere il ruolo della finanza e le forme concrete del suo funzionamento.
Nella fattispecie, è l'ipersfruttamento del lavoro (a mezzo di precarizzazioni, delocalizzazioni, bassi salari e tagli del welfare) che per mantenere e crescere la propensione all'acquisto ed al consumo di merci porta a promuovere un indebitamento di massa a cui viene affidato il ruolo di fondamentale volano della crescita.
Non stupisce allora che su questo si cerchi di instaurare un tabù. Non si può dire chiaramente - pena l'esplicita delegittimazione del sistema - che all'origine della crisi è il crescente impoverimento (e indebitamento) imposto alle classi lavoratrici da trent'anni a questa parte.

Così è che ora la propensione al consumo costante e crescente si è di fatto bloccata. La domanda di merci sta pesantemente calando e quindi i magazzini rimangono pieni di merci invendute. Nessuno più acquista e consuma oltre lo stretto necessario (alcuni non riescono ad arrivare neppure a quello) e così il surplus di merci rimane in mano ai capitalisti, non più in grado di generare profitto.

Come si sa il Capitale vede solo se stesso e le sue aspettative di incrementare il saggio di profitto e quindi non si capacita che qualcosa possa bloccare la sua virtuosa volontà di crescere in eterno.
Incapace di vedere i limiti del suo stesso processo di accumulazione il capitale incolpa la sua crisi a fattori esterni a se e si difende riducendo i costi. Per questo le aziende si ridimensionano, razionalizzano la loro struttura, delocalizzano, mettono in cassa integrazione, licenziano, non rinnovano i contratti atipici, pretendono un nuovo sistema contrattuale che garantisca l'abbassamento del salario e l'aumento della libertà di sfruttamento della forza lavoro.... (cioè tutto ciò che può, almeno nel breve periodo, sostenere e salvare i loro profitti).

E' quindi patetico notare come da una parte ci si lamenti della riduzione dei consumi e dall'altra si continui a lavorare per la riduzione delle disponibilità di spesa dei consumatori.
Il più esplicito è stato Berlusconi. In uno dei suoi comizi per le prossime votazioni in Abruzzo ha avuto la sfacciataggine di dire che ... si c'è la crisi finanziaria, certo ci sono le ricadute sull'economia reale, ma dalla crisi si esce solo se i consumatori non si lasceranno vincere dal pessimismo, se cioè non smetteranno di spendere, di indebitarsi per sostenere i consumi.
Per lui, quindi, la crisi dei consumi non dipende da un generale impoverimento della popolazione (pensionati e lavoratori) ma da un loro assurda indisponibilità a non modificare il loro tenore di vita, a costo di indebitarsi di più.

Infatti, nella ricetta governativa per affrontare la crisi non si parla di sostegno dei salari e delle pensioni, di sostegno dell'occupazione ma solo di soldi da dare alle banche e di sgravi e sconti da regalare alle aziende.
Per Governo e padroni i salari e le pensioni attuali sono più che sufficienti a sostenere l'indebitamento della gran massa dei consumatori. Certo ci sono i poverissimi, gli sfigati a cui non può venir meno l'amore cristiano di un capitalismo che così pensa di mettersi l'anima in pace riguardo alla solidarietà sociale buttando lì qualche euro.
Come è ormai di moda da tempo, l'unico intervento a carattere sociale di cui sono capaci è di tipo caritatevole. In questo caso si prevede la distribuzione di una tantum (dai 170 ai 700 euro) a quei nuclei familiari che non superino un reddito annuo di 20.000 euro. Certo ne gioveranno molte situazioni di vera povertà presente nel paese, ma assieme a questi (e forse più di questi) ne gioveranno quelle migliaia di evasori fiscali che denunciano redditi di 12.000 o poco più euro all'anno pur possedendo case, negozi, attività commerciali, auto e qualche barca.
Sui salari l'unico messaggio mandato è alla Cgil a cui si chiede di aderire senza più alcuna esitazione ad un nuovo modello contrattuale che di fatto riduce ulteriormente i salari e li subordina ad un aumento della produttività che in tempi di crisi come questi ha, ancor più di prima, un sapore tragi-comico e da presa per i fondelli.

Come faccia tosta non è male.

25 novembre 2008

COORDINAMENTO RSU

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