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(13 Dicembre 2008)
Di fronte a questa formidabile crisi e alla tragedia del capitalismo mondiale sull’orlo di un baratro senza fondo, l’Italietta si conferma come patria della commedia politica anche in tempi di “profondo allarme ed emergenza” come questi. Sulla sua consumata scena recitano sempre i soliti “onorevoli” personaggi da avanspettacolo, solo che il problema stavolta è capitale, e non ci sono iniezioni di ottimismo e fiducia o salvifiche ricette alla Obama che tengano: come affrontare allora la crisi e, soprattutto, come tener buona ancora una volta la classe operaia, già bastonata a dovere da decenni e ora destinata alla disoccupazione e alla miseria crescenti?
Il maggiore sindacato italiano ci prova alla sua maniera con l’ennesima farsa di uno sciopero generale indetto con le consuete modalità disfattiste non di certo per far danno al padronato o per dimostrare di difendere gli interessi esclusivi dei lavoratori, ma per segnalarsi nuovamente a Confindustria e Governo sia come valido interlocutore per il tentato tamponamento delle gravi ricadute economiche e sociali causate dalla crisi, sia come pompiere-capo pronto a gettare ondate d’acqua sul futuro fuoco montante del malumore e della protesta sociale. Ecco che allora lo sciopero in mano alla CGIL, come d’altronde a tutti i sindacati a sua immagine e somiglianza, si trasforma da arma di lotta di classe per ottenere un risultato favorevole ai proletari, a strumento di pressione per promuovere una politica economica nazionale contro un’altra. In quest’ottica, l’opposizione sindacale della “combattiva” confederazione capeggiata da Epifani, rimasta orfana delle sorelle minori CISL e UIL nuovamente svendutesi al Cavaliere, e politicamente ispirata dal PD del dialogante e destro Veltroni, rientra nell’abituale gioco delle parti politiche e sindacali funzionali alla difesa del capitalismo italiano sempre più vulnerabile ai colpi della recessione.
Il “Piano anticrisi” presentato dalla CGIL ad inizio novembre e che questo sciopero generale si propone di sponsorizzare, vuole infatti essere alternativo all’“insufficiente Pacchetto anticrisi” messo in atto dal governo Berlusconi, ma non esclude l’eventualità sempre più concreta che proprio per il peggiorare continuo della situazione “serva un accordo di tutti per uscire dalla crisi”. In parole povere, un accordo complessivo sulla pelle dei proletari e per il Bene del Paese di tutte le forze politiche e sindacali che difendono gli interessi e i profitti della borghesia italiana e che, a fronte di una crisi mai vista, consenta di spremere proprio fino all’osso tutti i salariati, facendone così peggiorare ancora di più le già precarie ed incerte condizioni di vita e di lavoro.
Proletari!
Chi adesso vi chiede di correre ancora in soccorso di questo capitalismo senza fiato, illudendovi che possiate trarre beneficio materiale da “piani anticrisi” predisposti esclusivamente per cercare di salvare i profitti delle aziende e delle banche e la malconcia competitività internazionale dell’economia italiana, vuole farvi pagare ancora e fino in fondo l’ennesima gigantesca crisi attuale.
Solo negli ultimi vent’anni, questi opportunisti mascherati da paladini dei deboli, con in testa una CGIL che ha spesso mostrato i denti del sindacato “duro e puro” unicamente per ingannare e fiaccare meglio gli operai più combattivi, alla fine hanno sempre sottoscritto con padroni e governi, destri o sinistri in carica, ogni sorta di peggioramento salariale, lavorativo e dello stato sociale. Il valido contributo al sistema del profitto dei bonzi di questi sindacati di regime, vere e proprie appendici del Ministero del Lavoro, non a caso con il proprio fedele personale infiltrato o eletto in tutte le istituzioni democratiche, non ha pesato di certo poco nella guerra che il capitale sta vincendo pesantemente contro il lavoro salariato. Una lotta che è di classe, che in questa società del mercato è inestinguibile, e che conta per ora solamente vittime a senso unico, facenti parte di una classe operaia sempre più sottopagata, precarizzata e massacrata. Non sorprendono così i seguenti dati di fatto: che dagli anni novanta ad oggi l’8% del PIL italiano sia passato dai salari ai profitti, che la “scarsa” produttività (sfruttamento!) dei lavoratori italiani sia maggiore del 12% rispetto a quella degli “efficienti” operai tedeschi, che in Italia i precari (interinali, apprendisti, stagionali e in nero) siano ben 5,8 milioni e che siano ancora 1300 i proletari assassinati ogni anno.
Proletari!
Dietro la cortina fumogena attraverso cui l’ideologia dominante borghese dispensa vanamente ottimismo, fiducia e rassicurazioni, si fa strada l’ammissione degli stessi esperti economici al servizio del capitale che “la crisi sarà più pesante del previsto”, ed intanto gli effetti reali della recessione conclamata si evidenziano nel dilagare della cassa integrazione, nelle diffuse chiusure di medie e piccole imprese, nella caduta vertiginosa della produzione industriale e dei consumi di aziende e famiglie.
Di fronte a questa situazione noi lavoratori abbiamo due alternative: o accettare ancora di subire sulla nostra pelle gli effetti della crisi e della conseguente ristrutturazione, che sarà durissima e profonda e ci costringerà comunque ad abbassare sempre più la testa, consentendo per l’ennesima volta al capitale, ai padroni e a tutti i suoi alleati politici e sindacali di uscire da questa situazione ancora più rafforzati e sicuri del loro dominio economico a cui hanno fatto sempre subordinare gli interessi operai. Oppure possiamo cominciare a rialzare la testa, a partire dai problemi reali che la crisi ci metterà sotto gli occhi, mettendo al centro delle nostre azioni e rivendicazioni i nostri esclusivi interessi di classe.
I banchieri e i padroni, e tutte quelle mezze classi che in questi lunghi anni si sono arricchite sulle spalle di noi salariati, non patiranno certamente la crisi come chi perderà il posto di lavoro e quindi il salario, o come chi deve sopravvivere con l’elemosina della cassa integrazione. Non è assolutamente vero che abbiamo interessi comuni: i loro interessi sono quelli di superare le attuali difficoltà per ritornare a sfruttarci e a rapinarci come prima. Noi proletari abbiamo tutto l’interesse a cambiare radicalmente lo stato di cose presente, partendo innanzitutto dalla possibilità di vivere in modo meno precario ed incerto la nostra vita e il nostro lavoro. Questo significa, non solo rivendicare con forza obbiettivi economici e salariali che vadano molto al di là di quello che governo e padroni ci impongono col benestare di questi sindacati, ma anche porsi nella prospettiva che, se li si lascia fare, tutto rimarrà come prima ed il nostro sacrificio e le nostre sofferenze non serviranno che a perpetuare un sistema che periodicamente ci affama e ci condanna all’insicurezza.
L’unico mezzo per trasformarsi da alleato sfruttato della propria borghesia a nemico interno dello Stato democratico che salvaguarda gli interessi del capitalismo nazionale, è organizzarsi per una lotta veramente di classe, che rimetta al centro delle nostre rivendicazioni la lotta per il salario, per forti aumenti salariali, e che incominci a porsi il problema politico del potere e del superamento di questa società mercantile, che dietro la maschera dell’universalità interclassista e dell’”uguaglianza di tutti i cittadini”, nasconde il più mostruoso apparato di sfruttamento sociale, umano ed ambientale.
12/12/2008
Partito Comunista Internazionale, Schio (VI)
http://www.sinistracomunistainternazionale.it
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