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Ancora una volta dalla parte dei Palestinesi!

volantino distribuito a Roma il 17 gennaio

(18 Gennaio 2009)

Il dibattito pubblico italiano è uno dei peggiori d’Europa. Lo testimonia la sistematica disinformazione sui massacri perpetrati a Gaza dall’esercito israeliano: ne sono responsabili gli stessi media che additano le manifestazioni in solidarietà con i palestinesi come veicoli di antisemitismo. Se tutti i paesi occidentali sono schierati con Israele, in nessuno come il nostro tv e giornali sono così allineati alle scelte criminali di Tel Aviv. Dalla stampa inglese, ad esempio, è emerso l’uso di bombe al fosforo bianco e di altre armi vietate dalla Convenzione di Ginevra del 1980. Sullo statunitense – e non certo pacifista – Washington Post, l’ex presidente Jimmy Carter ha ricordato che non è stata Hamas a rompere la tregua di giugno, ma Israele lo scorso 4 novembre. Sui nostri media tali verità o non vengono menzionate o arrivano ad occupare uno spazio esiguo. E’ indubbio: alcune delle mistificazioni più gravi stanno incidendo sul modo, sempre più stravolto, con cui la gente guarda alla situazione mediorientale.

Evidentemente, il problema viene da lontano, precede di molto l’avvio dell’operazione “Piombo Fuso”. La questione palestinese è stata da anni sottaciuta. La condizione disumana vissuta a Gaza ed il fatto che con un Muro di presunta difesa Israele rubi terra e falde acquifere alla Cisgiordania non hanno certo avuto copertura giornalistica.

In un simile quadro diventa più difficile, ma anche più importante, svolgere manifestazioni dalla parte dei palestinesi. Per fortuna, da quando è iniziata l’aggressione israeliana a Gaza, vi sono stati momenti di piazza molto partecipati. Si pensi al corteo cittadino che è sfilato a Roma il 3 gennaio, le cui dimensioni hanno sorpreso tutti. Se si analizza quel corteo si scopre che si è retto sulle organizzazioni che in questi anni hanno dato continuità alla mobilitazione a sostegno dei palestinesi, su pezzi – anche sciolti – del “popolo di sinistra” e su una massiccia partecipazione di comunità arabe e islamiche, che, sfidando il linciaggio mediatico, non hanno nascosto la propria identità, anche religiosa. Quest’ultima novità, riscontrabile nei contemporanei e successivi cortei in tutta Italia, va valutata positivamente. Non solo perché non ci si può adagiare su quella “religione della laicità” criticata anche da filosofe femministe nel nome dell’incontro con l’”altro”. Ma anche perché abbiamo di fronte a noi un’occasione unica: il possibile principio di una opposizione all’imperialismo svolta insieme alle comunità immigrate. In molti volantini, in passato, si è inneggiato all’unità con le lotte degli sfruttati dei paesi dominati. Ora questa possibilità si concretizza: gli immigrati sono presenti, nelle loro caratteristiche reali e non in quella vagheggiate dagli antagonisti.

Ma c’è un problema. Nei cortei suddetti sono mancati cospicui spezzoni dell’antagonismo sociale, solo pochi anni fa assai più generosi nei confronti della causa palestinese. L’impressione è che sulle prime alcune delle mistificazioni mediatiche cui si accennava prima abbiano attecchito anche negli ambienti antagonisti: in particolare, la riduzione degli accadimenti tragici di questi giorni ad una tenzone fra Israele ed Hamas (lettura ultimamente smentita finanche da un emulo di Andreotti come l’onorevole D’Alema). Intendiamoci, nelle aree antagoniste nessuno accredita castronerie stile Corriere della Sera del tipo “Israele unica democrazia del Medio Oriente, assieme all’Iraq liberato”. Le sofferenze che questo Stato ha inflitto ai palestinesi, sin dalla pulizia etnica che ha coinciso con la sua nascita nel 1948, non sono di certo ignote. Però aver confuso l’infame carneficina attuale con uno scontro Israele-Hamas rimane un segno di debolezza culturale.

Ma quali obiettivi persegue Israele con questa offensiva sanguinaria? Va escluso che una delle massime potenze militari del pianeta sia impensierita dal lancio di razzi artigianali, imprecisi e di scarsa efficacia militare. Né l’eliminazione degli armamenti – del resto non cospicui – di cui dispone Hamas è così rilevante. E’ evidente che Israele intende raggiungere due obiettivi strettamente intrecciati. Il primo obiettivo, perseguito attraverso l’indebolimento di Hamas, è quello di arrogarsi la prerogativa di scegliere l’interlocutore con cui proseguire l’eterna pantomima dei negoziati di pace. Questi sono utili ad Israele per proseguire la sua politica di aggressione e di espansione territoriale permanente nell’area, sono la migliore delle coperture. Ogni volta costituiscono un arretramento per i Palestinesi, ogni volta sono disattesi sul campo con iniziative di Israele che modificano di continuo i rapporti di forza in proprio favore. Il prossimo interlocutore dovrà essere particolarmente docile e bravo a recitare, perché la possibilità di uno straccio di Stato palestinese è stata da tempo vanificata.

Il secondo obiettivo è quello di normalizzare Gaza. Gaza non è solo il più grande campo di concentramento del pianeta, per giunta segnato da una densità abitativa che non ha riscontri da nessuna parte. E’anche il luogo dove i palestinesi riescono nel miracolo di inventare ogni giorno la vita laddove le condizioni per vivere sembrano non esserci più. Ed è un territorio dove regna un clima di rivolta permanente. La capacità collettiva di inventarsi l’esistenza giorno per giorno e l’attitudine alla ribellione si fondono in una resistenza sociale che dovremmo studiare con attenzione. Piegarla definitivamente serve ad Israele, che peraltro a Gaza ha sempre avuto una riserva di manodopera sottopagata. Ma serve anche ai regimi arabi autoritari e corrotti che infatti non hanno levato la voce a favore di Gaza. Per loro, questa Striscia di terra è un virus di rivolta che può propagarsi sino a quelle masse diseredate ed a quel semiproletariato urbano che riescono a domare solo con la forza.

Forse bastava questo per far schierare in modo più immediato e deciso gli antagonisti…

Resta da chiarire, certo, come questi obiettivi si collochino dentro la partnership tra Israele ed USA ed in relazione alla politica statunitense di controllo del Medio Oriente. C’è chi dice che Israele abbia voluto lanciare un segnale al nuovo Presidente Obama, per sospingerne l’operato in una direzione marcatamente bellicista, volta, ad esempio, a schiacciare il tentativo dell’Iran di definirsi come potenza regionale. Un simile ragionamento si basa su un’apertura di credito del tutto immotivata verso quell’Obama che, nei mesi scorsi, ha manifestato un sostegno totale verso Israele e la volontà di inviare più soldati in Afghanistan. Non ingannino i richiami di Hillary Clinton al soft power o l’annunciata, simbolica chiusura di Guantanamo: il fatto che la mattanza di Gaza sia stata avviata durante una fase di interregno negli Usa, probabilmente è servito ad evitare di imbarazzare Obama.

Certo, è raro che le potenze occidentali provino vergogna. La stessa UE non ha mai fatto ammenda per aver contribuito ad isolare e ad affamare la popolazione di Gaza, colpevole di non aver “votato bene”. Già, l’UE, che qualcuno – in qualche immaginifica Tavola della Pace – continua a vedere come “mediatrice tra le parti in conflitto”….

Il sostegno dell’imperialismo europeo ad Israele è netto e si fonda una relazione economica e militare che, negli ultimi anni, si è intensificata. Non manca, infatti, chi caldeggia l’ingresso di Israele nell’Unione Europea.

Se poi parliamo più specificamente dell’Italia abbiamo la chiave per spiegare, almeno in parte, l’incredibile sequela di menzogne dei media nostrani. Il fulcro dei rapporti italiani con Israele è rappresentato da quell’Accordo di cooperazione militare che è stato evidentemente sospinto dall’industria bellica (uno dei settori economici trainanti della penisola) e che coinvolge direttamente le Forze Armate. La complicità dell’imperialismo italiano con Israele è dunque totale e comprende anche la messa a punto, peraltro avvolta dal segreto, di strumenti ad alta tecnologia per dispensare la morte su scala di massa!

E allora forse è il caso di concludere ribadendo un concetto: essere internazionalisti vuol dire anzitutto contrastare l’imperialismo di casa propria. E oggi lottare contro l’imperialismo italiano vuol dire anche schierarsi senza se e senza ma dalla parte dei palestinesi e denunciare il terrorismo di Stato di Israele.

Sabato 17 gennaio, scendiamo in piazza a Roma, a fianco delle comunità immigrate, per denunciare il terrorismo di Stato d’Israele e la complicità italiana nella mattanza di Gaza.

Corrispondenze Metropolitane – collettivo di controinformazione e d’inchiesta. cmetropolitane@yahoo.it

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