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Sabato 17 gennaio a Roma una straordinaria manifestazione di solidarietà con i palestinesi e con Gaza. E adesso?

(20 Gennaio 2009)

Talvolta per dare una valutazione di un evento politico importante come la straordinaria manifestazione di sostegno popolare alla resistenza dei palestinesi di sabato 17 gennaio, c’è la necessità di darla “a freddo” e non sulla base dell’entusiasmo che deriva da una iniziativa riuscita al di là delle aspettative (anche se queste c’erano ed erano alte). Avevamo promesso che avrenmmo riempito Roma di bandiere palestinesi e questa sfida possiamo affermare di averla vinta.

Un giudizio a freddo dunque perché la sera stessa della manifestazione si è messo in moto un processo che sta portando ad una parziale tregua sul campo che consente alla gente di Gaza e ai suoi resistenti di riprendere un attimo di respiro dopo tre settimane di bombardamenti brutali.

In tutti questi anni di lavoro sulla Palestina, abbiamo cercato di imporre nella mentalità e nella logica della costruzione delle manifestazioni e dei loro tempi, un solido rapporto con la realtà che non sempre ha coinciso con i tempi , le modalità e la cultura dominanti nella “sinistra” italiana e negli stessi movimenti. Questo spiega, in parte, la dissonanza che si è ripetuta spesso tra le scelte operate dalla rete di solidarietà animata dal Forum Palestina ed altre istanze e spiega anche la “forzatura” sulla data del 17 gennaio come convocazione di una manifestazione nazionale a Roma preparandola di fatto in una manciata di giorni.

Sulla situazione a Gaza occorreva che la solidarietà popolare e politica ai palestinesi nel nostro paese entrasse in campo qui ed ora senza attendere “tempi” e procedure congeniali alle nostre relazioni piuttosto che alla realtà.

Quel “fermiamo il massacro dei palestinesi a Gaza”, che è stato lo striscione di apertura del grande corteo di sabato, era non solo il tema che ha unificato tante forze diverse nella manifestazione ma era anche lo spazio politico concreto dentro cui ognuna e ognuno ha pensato di poter dare la spinta possibile per raggiungere almeno l’obiettivo del cessate il fuoco.

Questo fattore, insieme alla ripulsa morale per la vergognosa posizione di complicità del governo e dell’opposizione politica italiani con i massacri di Israele e lo sdegno per una informazione manipolata ed embedded che ha sistematicamente legittimato l’aggressione israeliana a Gaza, è stato la molla che ha spinto migliaia e migliaia di persone a mobilitarsi anche con i mezzi limitatissimi a disposizione per partecipare alla manifestazione di Roma.

La terza spinta alla partecipazione sono stati i contenuti. La manifestazione ha dichiarato preventivamente e pubblicamente che si schierava con il popolo palestinese e senza alcuna equidistanza, che avrebbe chiamato aggressione e non guerra quella in corso a Gaza, che avrebbe chiesto sanzioni e boicottaggio come strumenti per mettere fine all’impunità dei crimini di guerra israeliani senza concedere nulla all’ipocrisia e alle strumentalizzazioni.

Non possiamo nasconderlo, a Roma c’era una spinta politica e morale genuina che si è sobbarcata interamente gli oneri e gli onori della propria scelta, mentre ad Assisi c’era una stragrande maggioranza di funzionariato associativo e di amministratori locali, che hanno celebrato una ritualità stanca ed inefficace del pacifismo bipartizan che era già stato sconfitto politicamente il 9 giugno del 2007 proprio in occasione di una manifestazione contro la guerra in occasione della visita di Bush. Le rare voci più avanzate che si sono sentite ad Assisi o nella società (vedi Santoro ed altri) hanno trovato il coraggio di uscire allo scoperto perché c’era la manifestazione di Roma e la controtendenza politica e culturale che l’ha preceduta, avviata e realizzata.

E forse proprio il ricordo di quella sconfitta e dell’onda lunga che ha innescato quel 9 giugno, ha suggerito ai due partiti “ufficiali” della sinistra di stare nella manifestazione di Roma. Il PdCI – così come in passato, almeno sulla Palestina - lo ha fatto con maggiore convinzione, il PRC (e una parte della comunità palestinese in Italia) lo ha fatto ancora a metà, aderendo ad entrambe, ma se fosse stato un anno fa, solo una minoranza disobbediente del PRC sarebbe stata in piazza a Roma per la Palestina, mentre sabato la partecipazione è stata in qualche modo “ufficiale” e questa segna una diversità rispetto agli anni passati.

Questo passaggio ci serve per ragionare su un paio di questioni.

La prima è che il parametro di ragionamento che può fare la differenza nelle mobilitazioni, è sempre la realtà sul campo. Se la situazione a Gaza richiedeva di fare una manifestazione con il maggior impegno possibile, questa andava fatta anche rischiando una partecipazione inferiore. Lo abbiamo ripetuto spesso in questi anni: qualche volta siamo scesi in piazza in venti a fare dei sit in che avrebbero avvilito chiunque e altre volte siamo scesi in piazza in ventimila. Il problema era l’opportunità di intervenire – in pochi o in tanti – nel posto giusto, nel momento giusto e con le modalità giuste.

La seconda è che abbiamo visto in queste ore la delusione di alcuni compagni nel vedere lo scarso risalto o la strumentalità dei commenti di giornali e telegiornali sulla manifestazione. Per paradosso dobbiamo ammettere che non essendo stata bruciata nessuna bandiera la copertura mediatica è stata inferiore. Come vedete ogni aspetto ha la sua contraddizione. Ma vorremmo far capire a questi compagni delusi che l’obiettivo della manifestazione non era tanto quello di leggersi all’indomani sui giornali o sui telegiornali italiani subalterni al blocco bipartizan filoisraeliano, ma quello di farsi vedere nei telegiornali e corrispondenze che sono stati visti a Gaza, in Cisgiordania, nei campi profughi palestinesi in Libano, nei territori del ’48 e in tutto il Medio Oriente. Era lì che dovevano vedere come l’Italia non fosse quella di Berlusconi, Frattini, Fassino, Nirestein e Colombo ma era un popolo che scendeva in piazza con le bandiere palestinesi e al fianco dei palestinesi, mischiandosi in piazza con i migranti di mezzo mondo, con gli arabi che vivono e lavorano in mezzo a noi, che vedeva in piazza a condividere striscioni e strade musulmani ed atei, ebrei e cristiani, comunisti, e pacifisti, antimperialisti e antisionisti. Che l’ex ministro di polizia Pisanu si preoccupi della preghiera sotto al Colosseo ci dà la cifra di quanto l’establishment sulla sua complicità con Israele stia in crisi e di quanto certe preoccupazioni sull’islam in Italia siano molto più che strumentali. Su questo dato è bene che riflettano anche tante compagne e compagni che si sono disorientati davanti all’impatto di questa realtà nella composizione sociale dei nostri cortei.

La manifestazione di Roma è, in questo, il risultato e la comparazione con quella di maggio a Torino per il boicottaggio della Fiera del Libro e che ha visto veramente l’umanità migliore mischiarsi nei seminari e nelle iniziative per giorni. Vorremmo dire a tutti, che senza quella campagna e senza la campagna di un anno dedicata nel 2008 alla Nakba palestinese, non ci sarebbe stato il risultato della straordinaria manifestazione di Roma, Vogliamo dire anche che chi ci ha lavorato contro a maggio a Torino sulla Fiera del Libro, ha commesso un orribile errore politico o una rivelazione di malafede su cui oggi dovrebbe fare autocritica ed anche un po’ di sana “penitenza”.

Adesso che ci siamo lasciati alle spalle una nuova grande manifestazione, dobbiamo discutere come realizzare le cose che abbiamo messo in cantiere già dai giorni scorsi per il dopo manifestazione.

1) C’è da dettagliare la campagna di boicottaggio di Israele
2) C’è da avanzare sul piano dell’ospedalizzazione in Italia dei feriti palestinesi e dell’invio di medici e materiale sanitario negli ospedali palestinesi di Gaza
3) C’è da aprire un confronto politico leale (e forse anche aspro) sullo scenario politico palestinese e sul progetto di uno stato unico per palestinesi ed israeliani che metta in cantina il progetto due popoli due stati ipotecato dalla realtà sul campo.

Su questo occorre ripartire al più presto senza ritenersi “appagati” da una grande e riuscita manifestazione. Il 17 gennaio era e rimane solo un passaggio di una campagna iniziata da tempo e che non può che proseguire fino ad ottenere Vita, Terra, Libertà per il popolo palestinese.

Sergio Cararo
(Forum Palestina)

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