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Marò, che palle

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(27 Marzo 2013) Enzo Apicella

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(Il nuovo ordine mondiale è guerra)

Il momento della verità

sulla guerra del capitale

(28 Marzo 2003)

Sono giorni tragici. Un paese già devastato da una guerra (nel '91) e da anni di embargo, viene ora sottoposto ad un attacco di inaudita violenza, aereo e via terra a un tempo.

Certo, i media cercano di tranquillizzarci, sostenendo che sarà ridotto al minimo il numero delle vittime civili. Ma noi non gli crediamo e non solo perchè rifiutiamo la propaganda bellica.

C'è di più. Hanno tentato di farci convivere con la guerra, da anni ritornata ad essere una presenza costante nelle nostre vite. Ma essa continua a sconvolgerci, facendoci confrontare con una realtà che si manifesta, come non mai, in tutta la sua brutalità.

Si pensi agli Stati: normalmente presentati come luoghi della partecipazione collettiva, essi si rivelano ora per quello che sono, cioè come enti che monopolizzano la violenza sui corpi, all'interno come all'esterno.

Gli USA, ad esempio, mentre distruggono l'Iraq, reprimono selvaggiamente il tenace movimento che -nel nome di un radicale rifiuto del militarismo- scende in piazza da Washington a San Francisco.

Ma la guerra in corso, fa emergere anche un'altra violenza, peraltro intrecciata a quella degli Stati: la violenza del capitale. E' vero, la quotidianità di milioni di persone è segnata dalle regole che dominano il mercato mondiale e la divisione internazionale del lavoro.

Dalle regole che strozzano lo sviluppo di molti paesi, costringendoli a realizzare un'agricoltura da esportazione e non legata ai bisogni locali, nonchè a vendere a basso costo le materie prime che "i paesi più avanzati" useranno per produrre merci ad altissimo prezzo.

Ma questi meccanismi, che portano milioni di persone a morire per fame, agiscono in modo impercettibile, imponendo la propria logica spietata come fosse una legge di natura, come si trattasse di una calamità (un terremoto, un'alluvione) contro la quale c'è poco da fare.

Solo la guerra, a ben vedere, riesce a far emergere il vero volto del sistema economico che permea di sé l'intero globo. Soprattutto ora, in una fase in cui, per il capitale, non vi sono più né nuovi mercati da conquistare né territori inesplorati dove trovare risorse mai sfruttate o dove non si è mai investito prima. In tale contesto, lo scontro tra le potenze capitalistiche per accaparrarsi le fonti di ricchezza o per trovare sbocchi ai propri capitali, non può che essere aspro, non può che portare alla guerra!

L'attuale aggressione all'Iraq lo conferma. Essa è voluta dagli USA per collocare -nell'opera di ricostruzione di un paese distrutto- i propri capitali in eccedenza, ma anche per appropriarsi del petrolio iracheno a scapito di altri Stati (Russia e Francia). In fondo, l'aspetto preventivo di questa come delle guerre che verranno rimanda alla volontà di impedire che emergano potenze (Russia, Cina, Francia, l'Europa qualora trovasse l'unità) in grado di dare filo da torcere agli USA nello scontro per il controllo del globo.

Ma la competizione rimane comunque aperta e Paesi che pur si oppongono al crimine perpetrato contro la popolazione irachena, intervengono militarmente in altri contesti.

E' il caso della Francia in Costa d'Avorio, in un paese, cioè, che risulta essere l'avamposto del tentativo parigino di avere l'egemonia sull'Africa.

Ora, se la situazione è questa, occorre evitare di sostenere chi, condannando la prepotenza yankee, si renda responsabile di proprie iniziative imperialiste.

Bisogna rifiutare non solo la guerra, ma anche il sistema economico da cui essa origina. Bisogna far nascere ora, nelle piazze gremite e nelle assemblee affollate, il principio di una società diversa.

Una società dove la decisione su come, cosa, quanto produrre sia collettiva e dove venga superata -nel segno della partecipazione diffusa- quella stessa logica della rappresentanza che altro non è se non espropriazione della volontà delle masse, come dimostrano i governanti che disprezzano manifestazioni di milioni di persone. Una società, ancora, dove non vi sia più spazio per aggressioni imperialiste, perchè forte sarà in essa la spinta a superare le barriere per costruire la comunità umana.

Per superare quella preistoria ad alto livello tecnologico che si chiama capitalismo, entrando finalmente nella storia, nell'era in cui la libertà di uno sarà la condizione per la libertà di tutti.

Contro il capitale e la sua logica di sterminio, per
la comunità umana, per il comunismo!

CORRISPONDENZE METROPOLITANE
Collettivo di controinformazione e di inchiesta (Roma)

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