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Palestina e Israele. Le impossibili simmetrie

Contributo al seminario "La guerra israelo-occidentale contro Gaza", Roma, 24 gennaio

(26 Gennaio 2009)

La lotta di liberazione del popolo palestinese sembra aver perduto molti amici negli ultimi sette/otto anni. In parte può essere – come prevedevamo con Stefano Chiarini – l’effetto più immediato dell’11 settembre (valutazione questa che ci convinse a fondare il Forum Palestina nell’ottobre del 2001), ma in parte – e forse quella più rilevante – questo nuovo tradimento dei chierici verso i palestinesi è dovuto alla capitolazione politica, culturale e morale che ha conformato gran parte della sinistra italiana e che l’ha portata al dissolvimento. Questo passaggio di campo è avvenuto quasi repentinamente, in meno di otto anni.
Fino a quando il mondo è stato diviso in due dal bipolarismo USA/URSS, i partiti della sinistra, i sindacati e le associazioni erano schierate con nettezza contro l’occupazione militare e coloniale israeliana dei territori palestinesi. Alcuni manomettono questo dato affermando che fino agli anni Ottanta l’Intifada palestinese era pacifica e utilizzava al massimo solo i sassi creando cioè una asimmetria evidente tra le truppe israeliane armate di tutto punto e i giovani shebab che usavano fionde, sassi, disobbedienza civile e morivano a grappoli sotto il fuoco dei soldati israeliani e dei coloni. Era una asimmetria accettabile per la coscienza civile della sinistra europea. Nessuno si è chiesto se lo fosse anche per i giovani palestinesi che subivano quella repressione senza potervi rispondere adeguatamente.
Con gli anni Novanta e gli accordi di Oslo, la coscienza politica della sinistra europea ha smobilitato e si è in qualche modo affrettata a correggere questa asimmetria evidente e legittima tra occupanti e occupati, impugnando la nascita dell’Autorità Nazionale Palestinese come se l’obiettivo della causa palestinese fosse stato raggiunto e i fattori asimmetrici fossero dissolti.
Israele e ANP acquisivano così lo stesso peso, gli stessi diritti, il rispetto delle medesime aspettative e quindi irrompeva nella scena politica – diventando egemone - la posizione dell’equidistanza tra palestinesi e israeliani riassumibile nel mantra dei due popoli per due stati. Ma dal 2001 in poi questa equidistanza, questa impossibile simmetria ha assunto via via come dominante il carattere della complicità con il progetto israeliano e dell’abbandono del sostegno alla causa palestinese.

Il passaggio alla complicità con Israele che abbiamo visto all’opera in questi giorni di carneficina a Gaza e con l’intero schieramento politico a sostegno della versione di Tel Aviv, ha avuto come snodo proprio quella equidistanza contro cui ci siamo battuti fin dall’inizio e che si regge su una simmetria artificiale tra i diritti dei palestinesi e il progetto israeliano.
La sintesi di questa equidistanza è stata proprio la parola d’ordine due popoli due stati. Eppure anche ad occhio in questa simmetria quasi perfetta c’erano delle discrepanze ben visibili:
- Lo stato israeliano esiste da sessanta anni e quello palestinese No;
- Le mappe dimostrano che lo stato palestinese così come sono andate le cose non può esistere;
- Tutti quando parlano dei diritti di ambedue, parlano sempre di diritto alla sicurezza di Israele ma mai di diritto alla sicurezza anche per i palestinesi.
“Noi auspichiamo mobilitazioni unitarie a sostegno del popolo palestinese e dei suoi diritti, primo fra tutti quello ad una patria libera e dello Stato di Israele, ad una piena integrità e sicurezza” scriveva un documento dei DS nell’aprile del 2002, concetto confermato da una intervista a Fassino su La Repubblica del 7 aprile che però aggiungeva “Rappresentare Israele come uno Stato militarista, aggressore o come qualcuno dice fascista è una sciocchezza” per avanzare poi le sue proposte di soluzione “Primo mettere fine ad ogni attività terroristica contro Israele, secondo fermare l’intervento militare e riannodare i fili del negoziato, terzo una iniziativa internazionale nel ricostruire il percorso di pace”.
Ma anche il PRC di Bertinotti proprio in quei giorni maturava posizioni non troppo dissimili da quelle di Fassino. Nel documento per il congresso che si sarebbe svolto tra marzo e aprile 2002 – con la Cisgiordania messa a fuoco e fiamme dall’offensiva israeliana – ci si limitava ad una frase che auspicava la necessità di “accompagnare la composizione del conflitto israelo-palestinese”. Un anno dopo nel documento per il CPN del maggio 2003, la questione palestinese veniva liquidata nelle seguenti sette parole “Il conflitto tra Palestina e Israele continua.” Punto, tutto qua..

La questione palestinese cioè una lotta di liberazione dall’occupazione militare e coloniale che dura dal ’48, veniva ridotta ad un conflitto simmetrico, tra due parti di uguale potenza e diritti da rivendicare, che andava ricomposto.
Da allora l’intero arco della sinistra non è mai più andato oltre il mantra “Pace in medio oriente, due popoli, due stati”. La questione della sicurezza di Israele è diventata lo snodo irrinunciabile intorno a cui tutte le altre questioni – a cominciare dal Muro dell’apartheid condannato dalla Corte Internazionale dell’Aja - andavano subordinate.
Ma come può reggere una simmetria sul tema della sicurezza tra una potenza nucleare e con armamenti enormi e sofisticati, che dovrebbe essere garantita da un popolo senza esercito e dotato di armi leggere o al massimo di qualche missile artigianale o dei corpi dei propri martiri?
Come è possibile che uno stato che non esiste debba e possa assicurare la sicurezza ad uno che esiste ed è tra le maggiori potenze militari del mondo?
Eppure questa evidente sproporzione ha prodotto anche nelle file dei movimenti, della sinistra, della solidarietà, una sorta di simmetria del dolore e delle forme di lotta. Particolarmente dannosa è stata la chiave di lettura sulla spirale guerra-terrorismo come aspetti complementari del problema ed anche quella semplificazione eurocentrista che liquida il tutto come risultato di un conflitto tra opposti fondamentalismi. Neanche Fanfani sarebbe mai stato così banale.

Ci siamo dilaniati in questi anni su piattaforme che mettevano sullo stesso piano le truppe israeliane e gli attentati suicidi, e in questi giorni abbiamo visto lo stesso sui bombardamenti israeliani su Gaza messi sullo stesso piano dei razzi Qassam sparati dai palestinesi. I primi hanno causato 1315 morti e 6ooo feriti, i secondi hanno causato 13 morti di cui dieci militari. Creare una simmetria di dolore tra queste cose e farne una discriminante politica è francamente inaccettabile. Per questo la gente è venuta a manifestare a Roma e non è andata ad Assisi.
Questa spasmodica ricerca di una posizione equidistante (quel né né che ci rimbalza nelle orecchie dalla vergognosa guerra umanitaria in Jugoslavia ed anche prima) ha depotenziato qualsiasi azione efficace contro l’occupazione e l’offensiva israeliana sia sul piano mediatico che su quello diplomatico.

Dietro quella categoria comune di “Pace in Medio Oriente, due popoli, due stati” - inteso come massimo contenuto possibile di mobilitazione – si è cancellata la storia, la complessità, la verità e il senso di giustizia verso i palestinesi. In qualche modo si è introiettata quella logica dei due pesi e due misure che tanta rabbia provoca nelle popolazioni di tutta l’altra sponda del Mediterraneo.
Sotto questa cornice inossidabile e rassicurante si è infatti applicato un vergognoso embargo a Gaza nel 2006 quando la popolazione già era in emergenza umanitaria ma ci si è ben guardati dal sospendere l’accordo di cooperazione militare tra Italia e Israele. Si continua a negare il diritto al ritorno dei profughi palestinesi ma nessuno mette in discussione il diritto di un cittadino ebreo del Canada di insediarsi in Israele o in una colonia israeliana in Cisgiordania. Si applicano sanzioni all’Iran che ancora non ha le armi nucleari e accetta le ispezioni dell’AIEA ma non si applicano sanzioni ad Israele che già dispone di un arsenale nucleare e non accetta le ispezioni dell’AIEA.
Soprattutto si è accettato quel dogma della sicurezza – che i palestinesi dovrebbero assicurare a Israele ma non viceversa – il quale è un fattore che annulla tutti gli altri. La sicurezza è diventata come una fede che non ha bisogno e non dà spiegazioni. Va accettata senza discutere. Questo è valido da un capo di stato fino ad un bigliettaio della metropolitana di Roma che invoca la sicurezza per non dare spiegazioni e che solo davanti ad un tesserino da giornalista non ha potuto commettere un abuso di potere. Accettare il terreno della sicurezza significa voler rendere simmetrica una situazione che non lo è e non lo sarà mai.

Quando sentiamo che la parola d’ordine “pace in Medio Oriente, due popoli due stati” è regolarmente alla base delle dichiarazioni di Bush e di chi marcia ad Assisi, di Olmert e della sinistra europea, di Mubarak e della destra europea, non possiamo non chiederci se c’è qualcosa che non quadra. Come mai un progetto così definito e con un consenso così unanime non ha fatto un passo in avanti (anzi) negli ultimi quindici anni? Prima l’ostacolo era Arafat, ma Abu Ammar è stato prima isolato, assediato e poi forse ucciso. Poi l’ostacolo è diventato Hamas che ha vinto le elezioni. Domani sarà il contenuto delle preghiere del venerdi alla moschea di Al Aqsa a Gerusalemme e dopodomani il contenuto dei libri di testo degli alunni palestinesi e così via…

Noi dobbiamo rovesciare la logica ed anche rovesciare il tavolo dove ci vorrebbero costringere a ragionare ed agire.
Se in Medio Oriente il problema sono i rapporti di forza con Israele e la solitudine dei palestinesi traditi dai regimi arabi reazionari e filoimperialisti, il problema qui da noi – nei nostri dibattiti e nella nostra azione politica – è liberarsi dalla cultura e dalla logica eurocentrista e rompere il tabù del dibattito sul sionismo per affrontarlo in quanto ideologia e progetto politico coloniale perfettamente aderente alla logica colonialista nata proprio qui in Europa.
Tant’è che volevano dedicare la Fiera del Libro di Torino a Israele senza parlare della Palestina. Pensavano di poterlo fare senza problemi e con grande normalità, consumando così un vero e proprio politicidio della cultura, della identità e della storia dei palestinesi come se non esistessero, come se i popoli colonizzati fossero un dettaglio irrilevante della storia contemporanea. (e fortunatamente glielo abbiamo impedito).

Anche su questo è scattata un’altra impossibile simmetria contro cui dobbiamo batterci apertamente e cioè che chi è antisionista è anche antiebraico (non uso la categoria antisemitismo perché è sbagliata in tutti i sensi). Questa impossibile e inaccettabile simmetria ha trovato espressione anche nelle parole della più alta carica istituzionale della nostra repubblica: il Presidente Napolitano.
Una domanda. Ma chi si oppone alla destra al governo e alla sua ideologia xenofoba, razzista, prevaricatrice è forse anti-italiano? O chi ha lottato contro i neoconservatori statunitensi è antiamericano? Oppure la politica, le ideologie, il posizionamento politico, la storia, hanno una loro logica e un loro ruolo negli sviluppo degli avvenimenti?
I sionisti italiani (che non sono necessariamente ebrei ma sono coloro che aderiscono appunto ad un progetto politico) sostengono che il sionismo è come il Risorgimento italiano. Vogliamo discutere di almeno un paio di questioni?
La prima è che va detto che non tutti gli ebrei europei erano o sono sionisti. C’erano infatti anche i Bundisti (che avevano l’egemonia fino agli anni Trenta essendo legati alle correnti ideologiche del movimento operaio in crescita in tutta Europa). Vogliamo dirlo che i sionisti hanno collaborato con le forze più reazionarie europee per indebolire e annientare i bundisti? Vogliamo dirlo che l’insurrezione del Ghetto di Varsavia è stata guidata dai bundisti e dai comunisti anche contro quei sionisti che collaboravano con l’occupazione nazista?
Secondo. Se il Risorgimento italiano ha portato ad una delicata (e oggi vediamo ancora quanto fragile) unità nazionale del paese, possiamo negare che quella del Tirolo e di alcuni parti della Slovenia e della Croazia è stata una annessione colonialista prima e fascista poi? Che il Risorgimento e il nazionalismo di stampo liberale ha prodotto anche il colonialismo italiano in Africa, l’ideologia della Quarta Sponda e della Grande Proletaria che si è mossa?

Dentro la storia, le forze in campo si dividono per classi sociali, per ideologia, per interessi materiali e ambizioni politiche. L’unicità dell’ebraismo intorno al sionismo e dunque intorno al progetto di uno stato ebraico in Israele, è una menzogna smentita dalla storia e dall’attualità.
Ci sono stati nella storia e ci sono oggi migliaia di ebrei in Israele e nel mondo che non sono affatto sionisti e al contrario si battono - in quanto soggetti politici - contro il progetto sionista.
Il peso dello sterminio degli ebrei in Europa da un lato ha trasformato un orrore indiscutibile in uno standard acritico che devia e condiziona continuamente il dibattito sulla questione palestinese, dall’altro ha innescato un blocco nel dibattito e nell’analisi storica che ha privato la sinistra di ogni supporto intellettualmente attivo che l’ha inchiodata alla ritirata culturale e politica davanti alla spregiudicatezza degli apparati ideologici dello stato israeliano.
Avendo accettato senza reagire che gli storici, i giornalisti, gli intellettuali, i registi italiani, europei, israeliani e palestinesi venissero ostracizzati o ridotti al silenzio dagli anatemi dei gruppi sionisti (vedi Asor Rosa o Santoro, Costanzo e tanti altri), la sinistra da dove poteva attingere le idee per rinnovare una identità internazionalista adeguata alle sfide del XXI° Secolo?

La riuscita della grande manifestazione di sabato scorso e la campagna per il boicottaggio della Fiera del Libro dedicata a Israele a maggio, hanno dimostrato che se c’è ed agisce concretamente una soggettività attiva, una rete di associazioni, attivisti, intellettuali con una logica internazionalista e che non abbassa la testa e non capitola davanti agli assalti del blocco sionista in Italia, può accadere che gli intellettuali, i giornalisti, il popolo della sinistra e finanche qualche dirigente politico prenda coraggio e che i palestinesi si sentano – finalmente – meno soli nella loro lotta di liberazione che in qualche modo contribuisce a liberare anche noi stessi dai tabù culturali e dall’opportunismo. Come abbiamo promesso anni fa ad una donna palestinese nei campi profughi in Libano “Noi non molleremo” fino a quando non sarà assicurata una pace - ma con giustizia - per il popolo palestinese e nel Medio Oriente. Come ha detto Gino Strada due anni fa “Oggi è come ti schieri contro guerra e non sulla pace la vera discriminante”. Siamo convinti che nessuna pace sia possibile o accettabile in Medio Oriente senza rendere giustizia al popolo palestinese.

Sergio Cararo (Forum Palestina)

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